Quando il minore dev’essere social

Quando il minore dev’essere social: il consenso alla pubblicazione di una foto di un minore su un social network da parte dei genitori.

 

Le nuove tecnologie e, specialmente, i social network pongono quasi quotidianamente una nutrita serie di questioni giuridiche di non agevole soluzione. Un problema frequente attiene la prassi, molto diffusa, della pubblicazione sui social network di fotografie di minori da parte di soggetti diversi dai genitori e, magari, neppure appartenenti alla famiglia. Rispetto a queste situazioni occorre comprendere in quali termini debba essere prestato il consenso da parte dei genitori e se il medesimo debba operare congiuntamente o disgiuntamente.

La materia di cui si discute è disciplinata dall’art. 10 c.c. e dalla L. 633/1941, c.d. Legge sul diritto d’autore.

In particolare, l’art. 10 del codice civile sancisce che: «Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni».

Il diritto all’immagine è un diritto della persona (rectius, un declinato dell’ampio diritto della personalità riconosciuto dall’art. 2 Cost.) e, secondo una parte della giurisprudenza, costituirebbe una specificazione del diritto all’identità personale, ossia del diritto di ciascun individuo ad esser riconosciuto come sé medesimo anche socialmente, costituendone un aspetto “statico”.

Il disposto codicistico va letto in combinazione con l’art. 96 della l. 633 del 1941 che stabilisce quanto segue: «Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell’articolo seguente (…)».

Il successivo art. 97 pone delle deroghe a questa regola generale, stabilendo l’inoperatività della medesima in ipotesi particolari, ma che non hanno a che vedere con la tutela del minore.

Il dato legislativo, dunque, pone al centro il consenso all’utilizzo ed alla pubblicazione dell’immagine, quale atto giuridico attraverso il quale la condotta di colui che utilizza l’immagine assume liceità.

Appare quasi superfluo sottolineare che il consenso del soggetto minorenne non possa considerarsi validamente prestato, tranne in casi particolari (il codice civile disciplina i casi in cui gli atti compiuti dagli incapaci assumono validità).

In relazione ai minori degli anni 18, dunque, il consenso viene prestato dai genitori, esercenti la responsabilità genitoriale[1].

Chiarito questo aspetto, resta aperto l’interrogativo se il consenso alla pubblicazione dell’immagine sia un atto da compiersi congiuntamente o disgiuntamente dai genitori.

Il problema ermeneutico non pare di agevole soluzione e, dunque, va ricostruito secondo i principi generali dell’ordinamento.

A favore della tesi del “consenso congiunto” militano una serie di argomentazioni: in primis quella giusta cui si tratterebbe di un atto di straordinaria amministrazione, avendo ad oggetto un c.d. diritto della persona che, al pari del diritto alla salute, rientra nel novero dei diritti indisponibili (rectius limitatamente disponibili), inalienabili, assoluti ed imprescrittibili. Se non pare potersi dubitare che la prestazione di consenso ad un trattamento sanitario per un minore sia atto da compiersi congiuntamente, ben potrebbe sostenersi che anche il consenso all’utilizzo dell’immagine sarebbe soggetto alla medesima disciplina.

In secundis, il codice civile considera come atti di straordinaria amministrazione i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento[2]; un’interpretazione un po’ forzata, forse futuribile, ma non per questo assurda potrebbe portare a ritenere che l’atto giuridico (pur non essendo un contratto) con il quale i genitori consentono alla pubblicazione dell’immagine di un figlio possa avere una qualche rilevanza economica, atteggiandosi per l’utilizzatore come un diritto personale di godimento[3]. Sul punto, invero, è noto che i social network siano latori d’interessi patrimoniali, provvedendo, tra l’altro, la “profilazione commerciale” degli (spesso inconsapevoli) utenti.

Se, dunque, attribuissimo all’immagine un valore economicamente apprezzabile non parrebbe così assurdo prevedere per il suo “sfruttamento” il consenso congiunto dei genitori, al pari di quanto avviene per i normali contratti costitutivi di diritti personali di godimento.

A favore della tesi del consenso disgiunto, invece, operano considerazioni.

Il diritto all’immagine è certamente un diritto della personalità ma, a differenza del diritto alla salute, non trova una copertura costituzionale diretta (vedasi art. 32 Cost.), ma “mediata”, cioè un riconoscimento implicito da parte dell’art. 2 Cost., utilizzato come norma aperta per la tutela dei diritti degli individui, inclusi i c.d. “nuovi  diritti” privi di addentellati normativi. Di talché non sembrerebbe possibile operare l’analogia, per quanto attiene al consenso congiunto, tra diritto alla salute e diritto all’immagine.

Ma vi è di più, a favore dell’ipotesi giusta cui il consenso sia atto esercitabile dai genitori disgiuntamente, parrebbe  essersi pronunciata la Corte di Cassazione. I Giudici di piazza Cavour, in un caso avente ad oggetto la pubblicazione della foto di un minore su un giornale accanto al padre e ad una procace attrice in topless hanno affermato che: «(…)La Corte territoriale ha anche accertato che, quando le foto vennero scattate e poi pubblicate, il padre del minore, con il quale il ragazzo era stato ripreso, aveva la potestà di genitore su di lui, ravvisando quindi nel comportamento del padre stesso – il quale ha esposto il figlio “in luogo pubblico in compagnia di una attrice famosa, come tale notoriamente soggetta all’interesse dei fotografi delle riviste del tipo di quella in questione” – un implicito consenso alla ripresa fotografica del figlio e alla pubblicazione della fotografia, (..)

Una volta accertato dalla Corte di appello il consenso prestato dal padre, quale genitore esercente la potestà, alla ripresa fotografica riguardante il figlio minore e alla sua pubblicazione, resta superata e priva di rilevanza, ai sensi della L. n. 633 del 1941, art. 97, comma 1, la questione se il servizio fotografico di cui trattasi sia stato svolto in pubblico (…)» (Cass. Civ. sez. I, 29 settembre 2006 n. 21172).

Dalla lettura degli stralci di motivazione si evince che la Corte ha ritenuto sufficiente il consenso di un solo genitore.

Le conseguenze dell’adesione a tale tesi sono che il consenso alla pubblicazione dell’immagine del minore può considerarsi valido se prestato da un solo genitore

Se questo è vero, lo è altrettanto il fatto che l’altro genitore può in ogni momento revocare il consenso disgiuntamente e, con ciò, rendendo la pubblicazione non più lecita, imponendone la rimozione.
La conseguenza pratica, in tal caso, sarebbe uno “scontro di consensi e dissensi” che potrebbe risolversi mediante un ricorso al giudice ai sensi dell’art. 316 c.c. che disciplina i conflitti tra esercenti la responsabilità genitoriale.

Accedendo, invece, alla tesi del “consenso congiunto” la pubblicazione delle immagini ad opera di terzi sarebbe ab initio illegittima qualora anche uno solo dei genitori non abbia assentito a tale attività.

 


[1] Ai sensi dell’art. 320 c.c. «I genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, rappresentano  i figli nati e nascituri in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. Gli atti di ordinaria amministrazione, esclusi i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore».

[2] Art . 320 c.c. «Gli atti di ordinaria amministrazione, esclusi i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore».

[3] Nella giurisprudenza statunitense il valore economico dell’immagine è certamente tenuto in grande considerazione e da tali longitudini giungono le categorie del “danno da annacquamento” e da “svilimento” dell’immagine.

Giulio Magliano

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