(Ricorso dichiarato inammissibile)
(Riferimento normativo: C.p.p. artt. 591; 606, c. 3).
Il fatto
La Corte di Appello, sezione per i minorenni, di Catania confermava la sentenza del tribunale per i minorenni di Catania del 9 maggio 2017 di condanna dell’imputato in relazione al delitto di danneggiamento aggravato di parti meccaniche ed elettriche di un cancello esposto sul confine della proprietà privata solcata da una via comune a più proprietà, alla pubblica fede.
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questo provvedimento, proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato adducendo i seguenti motivi: a) violazione di legge processuale per avere la Corte territoriale rigettato la richiesta di rinnovazione della istruttoria in grado di appello mediante l’escussione di testi (madre e sorella dell’imputato, imputate in procedimento connesso, per lo stesso fatto commesso in concorso da persone maggiorenni ed una terza persona) la cui deposizione si sarebbe rivelata, in ipotesi, decisiva ai fini del decidere, trattandosi di testi a discarico da citare a confutazione dei testi di accusa, su capitoli di prova che tuttavia non risultano indicati; b) manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione per avere la Corte territoriale errato nella valutazione delle prove a carico dell’imputato ed aver irragionevolmente svalutato le prove documentali a discarico; c) violazione e falsa applicazione della legge penale per l’illegittima negazione da parte del tribunale di primo grado della sospensione condizionale della pena per difetto dei presupposti di fatto indicati all’art. 635 c.p., comma 3.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il Supremo Consesso dichiarava il ricorso inammissibile alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si faceva presente in via preliminare che, tra la fattispecie incriminatrice contestata all’atto dell’esercizio dell’azione penale (danneggiamento di oggetti altrui, aggravato dall’essere le cose danneggiate esposte alla pubblica fede) e quella oggi vigente (art. 635 c.p., comma 2, n. 1), sussiste piena continuità normativa essendo perfettamente coincidenti le condotte incriminatrici ante e post riformulazione (D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 2, comma 1, lett. l) ferma restando, ai sensi dell’art. 2 c.p., la disciplina sanzionatoria prevista dalla legge più favorevole (coincidente nella fattispecie con la precedente ipotesi aggravata) rilevandosi al contempo che, nel senso della perfetta continuità normativa, si era espressa la giurisprudenza di legittimità formatasi negli ultimi tre anni (tra le tante: Sez. 2, n. 51438, del 20/10/17, Rv. 271332; Sez. 2, n. 28360, del 26/5/2017, Rv. 271002).
Premesso ciò, gli ermellini osservavano come, a proposito del rigetto della richiesta di rinnovazione in appello della istruttoria dibattimentale, il giudice della revisione nel merito avesse offerto congrua motivazione circa la ritenuta superfluità della rinnovata istruttoria trattandosi di soggetti dichiaranti (due dei quali imputati in procedimento connesso, in quanto maggiorenni imputati della medesima condotta contestata al ricorrente ed un terzo per il quale non è altrimenti intuibile la relazione di conoscenza dei fatti indicati in imputazione) già indicati in primo grado a confutazione dei testi di accusa, la loro “scoperta” appare cronologicamente non sopravvenuta rispetto al giudizio di primo grado versando nel campo di applicazione disciplinato dall’art. 603, comma 1, del codice di rito, che attribuisce al giudice una forma di discrezionalità, nella ammissione, legata al solo parametro della ritenuta impossibilità di decidere allo stato degli atti.
Detto questo, la Cassazione evidenziava come la Corte territoriale avesse compiutamente motivato in fatto circa la assoluta superfluità della rinnovazione richiesta in quanto: a) le circostanze a discarico in ordine alle quali tali soggetti avrebbero dovuto deporre non erano state affatto descritte dalla parte interessata ed in tal caso la richiesta difetta di specificità (Sez. 5, Rv. 274623; conf. Rv. 267863); b) la parte istante era decaduta in primo grado dalla prova a confutazione non avendo provveduto alla citazione dei “testi” (nelle forme previste dall’art. 210 c.p.p.) per nessuna delle udienze dibattimentali fissate e nonostante le numerose occasioni di rinvio in istruttoria mentre è pacifica in giurisprudenza la decadenza dalla prova che si realizza in tali casi (Sez. 6, n. 594, del 21/11/2017, Rv. 271939; Sez. 4, n. 22585, del 25/1/2017, Rv. 270170) e dunque, in presenza di tale congrua e logicamente condivisibile motivazione, il giudice di legittimità non aveva pertanto accesso alla valutazione del merito in ordine alle necessità istruttorie ravvisate dai ricorrenti (Sez. 6, n. 48093, del 10/10/2018, Rv. 274230; Sez. 5, n. 23580, del 19/2/2018, Rv. 273326; Sez. 3, n. 7680, del 13/1/2017, Rv. 269373; Sez. 3, n. 47963, del 19/9/2016, rv. 268657; Sez. 6, n. 8936, del 13/1/2015, Rv. 262620).
Venendo a trattare le successive doglianze, erano stimati del pari inammissibili, a fronte della doppia decisione conforme di condanna, fondante su congruo e non contraddittorio ordito motivazionale, i motivi svolti in merito alla ricostruzione dei fatti, alla consistenza del compendio probatorio ed al travisamento della prova in quanto tutte si risolvevano nella inammissibile richiesta di valutazione della capacità dimostrativa delle prove già assunte nel merito che è esclusa dal perimetro che circoscrive la giurisdizione di legittimità.
Gli ermellini facevano a tal proposito presente che il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato debba essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva” ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica” perchè sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia intimamente “contraddittoria” ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass. sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516) non essendo deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo e di conseguenza, alla stregua di ciò, essendo inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Cass. sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
Chiarito ciò, i giudici di legittimità ordinaria sottolineavano altresì come a loro dire le censure svolte con detti motivi si risolvessero peraltro nella mera riproposizione delle argomentazioni già prospettate al giudice della revisione nel merito e da questi motivatamente respinte senza svolgere alcun ragionato confronto con le specifiche argomentazioni spese in motivazione, senza cioè indicare le ragioni delle pretese illogicità o della ridotta valenza dimostrativa degli elementi a carico, e ciò a fronte di puntuali argomentazioni contenute nella decisione impugnata, con cui il ricorrente rifiutava di confrontarsi mentre in sede di legittimità era stato in più occasioni postulato che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili “non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato” (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, omissis, Rv. 255568), e che le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo “non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato” (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, omissis, Rv. 259425) ritenendosi più in particolare, che è “inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso” (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, omissis, Rv. 243838).
Proseguendo la disamina di questa particolare problematica di ordine procedurale, gli ermellini mettevano in risalto il fatto che, nella medesima prospettiva, fosse stata rilevata in sede nomofilattica, per un verso, l’inammissibilità del ricorso per cassazione “i cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti già illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato” (Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, omissis, Rv. 244181) non essendo comunque sufficiente, ai fini della valutazione di ammissibilità, che ai motivi di appello vengano aggiunte “frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e l’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito” (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, omissis, Rv. 254584).
Poste tali premesse di metodo e di limite, si ribadiva come la Corte di merito, la cui motivazione si fondava e si integrava con quella consonante del giudice di primo grado, avesse spiegato in maniera chiara, logica e coerente che, in assenza di qualsivoglia elemento di sospetto sulla attendibilità dei testi d’accusa escussi in primo grado e sulla genuinità del narrato, le plurime descrizioni del fatto si erano integrate perfettamente tra loro convergendo verso la indicazione dell’imputato come concorrente nelle condotte illecite descritte in imputazione.
Analizzando infine il terzo motivo di ricorso, gli ermellini osservavano come il vizio lamentato non fosse annoverabile tra quelli proposti alla Corte di merito, nè con i motivi di appello, nè in sede di conclusioni e, a fronte di ciò, stante il chiaro disposto dell’art. 606 c.p.p., comma 3, non era dunque prospettabile per la prima volta con i motivi di ricorso nella sede di legittimità (negli esatti termini, Sez. U., n. r.g. 48862/2017, ud. 25/10/2018, informazione provvisoria: fermo il dovere di motivazione da parte del giudice, l’imputato non può dolersi della mancata applicazione della sospensione condizionale della pena, qualora non l’abbia richiesta nel giudizio di appello).
Terminato l’esame di questo ricorso, che era dichiarato inammissibile, come già segnalato in precedenza, i giudici di legittimità ordinaria decidevano che, in ragione della minore età del ricorrente al momento del fatto ed in ossequio alle disposizioni dettate per il rito speciale per gli imputati minorenni, non andasse disposta la condanna alle spese del giudizio, nè altre sanzioni accessorie previste dall’art. 616 c.p.p., (Sez. 3, n. 5754, del 16/1/2014, Rv. 259134: Il minorenne che abbia proposto ricorso per cassazione non può essere condannato, in caso di rigetto o dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione, al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende; conf. Sez. 1, n. 26870, del 3/10/2014, Rv. 264025).
Conclusioni
La sentenza in commento è assai interessante specialmente nella parte in cui si chiarisce quando un ricorso per cassazione deve essere considerato inammissibile.
In questa pronuncia, difatti, vengono richiamati diversi precedenti con cui la Cassazione ha stabilito in che modo possa configurarsi questa inammissibilità.
In particolare, sono stati richiamati i seguenti criteri ermeneutici: 1) i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato; 2) è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso; 3) è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti già illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato non essendo comunque sufficiente, ai fini della valutazione di ammissibilità, che ai motivi di appello vengano aggiunte frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e l’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito.
Tal che è evidente, argomentando a contrario, che un ricorso può considerarsi ammissibile nella misura in cui: a) i motivi del ricorso siano determinati e muniti della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato; b) i motivi del ricorso siano muniti di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso; c) i motivi del ricorso enuncino ragioni ed argomenti già illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo nella misura in cui siano ancorati alla motivazione del provvedimento impugnato e in esse si faccia riferimento della decisività dei ragionamenti ivi sostenuti rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, proprio per l’utile chiarimento compiuto in relazione a siffatta problematica procedurale, pertanto, non può che essere positivo.
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