(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 314
Il fatto
La Corte di Appello di Bari aveva confermato la condanna alla pena ritenuta di giustizia resa in primo grado dal Tribunale di Trani nei confronti di una persona imputata del delitto di peculato.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Proponeva ricorso nell’interesse dell’imputato il difensore di fiducia e adduceva tre diversi motivi di ricorso così formulati: 1) violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza degli estremi oggettivi della condotta di peculato nonchè in relazione alla omessa rinnovazione della istruttoria dibattimentale ai sensi dell’alt 603 cod. proc. pen.; 2) violazione di legge e vizio di motivazione per quel che riguarda la ritenuta sussistenza del dolo; 3) violazione di legge e vizio di motivazione per le argomentazioni spese per escludere l’applicabilità alla specie della diminuente prevista dall’art. 323 bis, cod. pen,
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
In ordine ai primi due motivi, si ritenevano le argomentazioni ivi addotte non condivisibili alla luce di quell’orientamento nomofilattico secondo cui integra il reato di peculato la condotta del pubblico agente che ritardi il versamento all’ente del danaro riscosso in ragione della funzione svolta oltre il ragionevole limite di tempo derivante dalla complessità delle operazioni di versamento o dalla necessità di attendere anche a doveri di ufficio di diversa natura: tale comportamento costituisce infatti un inadempimento non ad un proprio debito pecuniario, ma all’obbligo di consegnare il denaro al suo legittimo proprietario, con la conseguenza che, sottraendo la “res” alla disponibilità dell’ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile, egli realizza una inversione del titolo del possesso “uti dominus” Sez. 6 , n. 3601 del 14/01/2021; Sez. 6, n. 53125 del 25/11/2014) fermo restando che ciò che rileva nel caso di specie non è il mero ritardo nel versamento bensì la certa interversione del titolo del possesso.
Oltre a ciò, veniva altresì fatto presente, per quanto riguardava la denegata rinnovazione istruttoria, che essa, oltre a essere stata puntualmente motivata dalla Corte territoriale, risultava vieppiù giustificata dalla genericità dell’assunto perché non mirava a comprovare che nel caso le specifiche somme non riversate inizialmente furono destinate alla cassa contanti ma solo a ribadire una astratta potenzialità in tal senso nel caso indifferente rispetto alla decisione da assumere.
Quanto al dolo, per gli Ermellini, la sentenza non meritava censure di sorta perché il profilo soggettivo nel caso riscontrato veniva coerentemente correlato alla volontaria appropriazione delle somme invertendo le ragioni del possesso al momento del parziale e ingiustificato riversamento dell’incasso non avendo trovato giustificazione alcuna l’immediato inadempimento all’obbligo di pronta consegna integrale dei fondi ricevuti nell’interesse dell’ente.
Non erano ritenute infine degne di accoglimento le censure riguardanti la motivazione adottata nel denegare l’applicazione dell’attenuante ex art 323-bis cod. pen. atteso che l’attenuante speciale in questione presuppone che il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l’entità del danno economico o del lucro conseguito ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato (Sez. 6 n. 8295 del 09/11/2018; Sez. 6, n. 30178 del 23/05/2019).
Orbene, sempre per i giudici di Piazza Cavour, in questa cornice, assumeva valenza dirimente il rilievo ascritto in sentenza all’intensità del dolo sotteso alla condotta contestata, realizzata, per come emergeva dal complessivo tenore della decisione impugnata, all’interno di un più ampio contesto di marcata inadeguatezza della gestione contabile riferibile all’imputato e immediata espressione di una disarmonica conduzione delle disponibilità economiche dell’ente utile a definire nel suo più intenso portato il perimetro effettivo della relativa vicenda a giudizio.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante dato che in essa è chiarito quando la condotta del pubblico agente, che ritardi il versamento all’ente del danaro riscosso in ragione della funzione svolta, integra il reato di peculato.
Difatti, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, si afferma che integra il reato di peculato la condotta del pubblico agente che ritardi il versamento all’ente del danaro riscosso in ragione della funzione svolta oltre il ragionevole limite di tempo derivante dalla complessità delle operazioni di versamento o dalla necessità di attendere anche a doveri di ufficio di diversa natura: tale comportamento costituisce infatti un inadempimento non ad un proprio debito pecuniario, ma all’obbligo di consegnare il denaro al suo legittimo proprietario, con la conseguenza che, sottraendo la “res” alla disponibilità dell’ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile, egli realizza una inversione del titolo del possesso “uti dominus” fermo restando che ciò che rileva in tali casi non è il mero ritardo nel versamento, bensì la certa interversione del titolo del possesso.
Tale provvedimento, pertanto, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare se il pubblico agente, il quale ritardi il versamento all’ente del danaro riscosso in ragione della funzione svolta, agendo in tal modo, commetta il delitto preveduto dall’art. 314 cod. pen..
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta decisione, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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