Quando la condotta di mobbing del datore di lavoro integra il delitto di atti persecutori?

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(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 612-bis)

 

Indice:

Il fatto

La Corte di Appello di Salerno parzialmente riformava una sentenza del Tribunale di Salerno che a sua volta aveva affermato la penale responsabilità di un imputato per il delitto di atti persecutori aggravato ai sensi dell’art. 61, n. 11, cod. pen. (capo a), ritenendo in esso assorbite le condotte di minaccia contestate ai capi d), e) e g), e per il delitto di lesione personale di cui al capo c) e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti e ritenuta la continuazione tra i reati, lo aveva condannato alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa, ed al risarcimento del danno, che erano liquidati, separatamente, in favore delle costituite parti civili.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure il difensore dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo i seguenti motivi: 1) travisamento per omissione di una prova decisiva; 2) mancata assunzione di una prova decisiva sopravvenuta; 3) violazione dell’art. 612-bis cod. pen. e della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione dovuta, per il ricorrente, ad un’indebita selezione delle prove acquisite nel corso dell’istruttoria.

Anche l’altro difensore dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione che si doleva con particolar riguardo alla carenza dell’elemento soggettivo del reato in contestazione.

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il primo motivo del primo ricorso era reputato infondato, rilevandosi in particolare, a sostegno della sua reiezione, che, laddove la Corte di Appello, pur non ammettendo la prova testimoniale, avesse utilizzato la lettera come prova della veridicità dei fatti in essa dichiarati, sarebbe stato violato il principio di oralità, trattandosi di dichiarazioni provenienti da soggetto che semmai avrebbe dovuto essere sentito come testimone in dibattimento fermo restando che, qualora il documento rappresenti un atto descrittivo o narrativo, lo stesso può fungere da prova solo qualora la dichiarazione documentata abbia rilevanza innanzitutto essa stessa come fatto, e non quando abbia rilevanza esclusivamente come rappresentazione di un fatto, come dichiarazione, perché in questa ultima ipotesi, essa va acquisita e documentata nelle forme del processo; in altre parole, è inammissibile la prova quando con il documento si vuole accertare il fatto attestato nella dichiarazione, perché ciò può avvenire soltanto introducendola nel processo come testimonianza (vedi Sez. 2, n. 29645 del 14/09/2020; Sez. 2, n. 38871 del 04/10/2007).

Ciò posto, quanto al secondo e al terzo motivo del primo ricorso e al secondo ricorso tout court, gli Ermellini rilevavano che, come ricordato dal Procuratore generale nella sua memoria e come ammesso anche dal ricorrente nel suo atto introduttivo, la Corte di Cassazione ha già affermato che integra il delitto di atti persecutori la condotta di mobbing del datore di lavoro che ponga in essere una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere ostilità verso il lavoratore dipendente e preordinati alla sua mortificazione ed isolamento nell’ambiente di lavoro – che ben possono essere rappresentati dall’abuso del potere disciplinare culminante in licenziamenti ritorsivi – tali da determinare un vulnus alla libera autodeterminazione della vittima, così realizzando uno degli eventi alternativi previsti dall’art. 612-bis cod. pen. (vedi Cass., Sez. 5, n. 31273 del 14/09/2020), deducendosi contestualmente che, anche nel caso di stalking «occupazionale», per la sussistenza del delitto art. 612-bis c.p. è sufficiente il dolo generico, con la conseguenza che è richiesta la mera volontà di attuare reiterate condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, mentre non occorre che tali condotte siano dirette ad un fine specifico.

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, per la Suprema Corte, i comportamenti posti in essere dell’imputato erano stati correttamente valutati in sede di merito come idonei ad integrare tale fattispecie delittuosa, essendo consistiti in condotte volute e reiteratamente attuate nella consapevolezza che da essi ben poteva derivare, proprio per la loro reiterazione e per le loro modalità, uno degli eventi alternativamente previsti dall’art. 612-bis cod. pen..

Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando la condotta di mobbing del datore di lavoro integra il delitto di atti persecutori.

Difatti, in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, si afferma che integra il delitto di atti persecutori la condotta di mobbing del datore di lavoro che ponga in essere una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere ostilità verso il lavoratore dipendente e preordinati alla sua mortificazione ed isolamento nell’ambiente di lavoro – che ben possono essere rappresentati dall’abuso del potere disciplinare culminante in licenziamenti ritorsivi – tali da determinare un vulnus alla libera autodeterminazione della vittima, così realizzando uno degli eventi alternativi previsti dall’art. 612-bis cod. pen., fermo restando che, anche nel caso di stalking «occupazionale», per la sussistenza del delitto art. 612-bis c.p. è sufficiente il dolo generico, con la conseguenza che è richiesta la mera volontà di attuare reiterate condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, mentre non occorre che tali condotte siano dirette ad un fine specifico.

Tale provvedimento, quindi, può essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare se una condotta di mobbing del datore di lavoro integri il delitto previsto da questa norma incriminatrice.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Il presente testo, con materiale online tra cui formuario e giurisprudenza, è strumento operativo sia per i professionisti che per chiunque si trovi ad affrontare le problematiche connesse al fenomeno del mobbing. Si analizza l’argomento sotto due aspetti: uno giuridico e l’altro medico. Da un punto di vista giuridico si prende in considerazione il fenomeno in esame sia sotto il profilo sostanziale che processuale, indicando nel dettaglio i singoli comportamenti mobbizzanti, le responsabilità e le possibili tutele (giuridiche ed extragiuridiche) da attivare. La dignità della persona umana e il rispetto nei confronti dei lavoratori nei luoghi di lavoro costituiscono un punto qualificante della convivenza civile e, al contempo, una misura incentivante per una maggiore produzione lavora- tiva. Infatti, un ambiente di lavoro, dove siano bandite forme di violenza morale nei confronti dei lavoratori costituisce un punto essenziale anche per la migliore produttività aziendale. Invece, da un punto di vista medico, si analizza, in primis, il ruolo svolto dallo stress, sia acuto sia cronico, nell’innescare cambiamenti nella fisiologia dell’intestino e nella salute mentale e, in secondo luo- go, si presentano le principali metodiche utilizzate per rilevare una situazione di stress da lavoro correlato, attraverso l’impatto che quest’ultimo ha sulla salute psico-fisica del lavoratore.  Nicola Botta, laureato in Pedagogia, in Psicologia clinica, in Medicina e Chirurgia e specializzato in Psicoterapia Cognitiva e Psiconeuroimmunologia. Dal 1983 ad oggi lavora come Psicologo Clinico presso l’Asl di Salerno. È stato docente di Psicologia del Lavoro dal 2006 al 2011 presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. Attualmente, è docente di Psiconeuroimmunologia presso l’Open Academy of Medecine, a Venezia. Dal 1999 è responsabile del Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia presso l’UOSM DS 67, dell’Asl di Salerno. Dal 2000 si occupa di mobbing come coordinatore del gruppo di lavoro presso la stessa Asl. Autore di numerosi libri e scritti in materia del mobbing. Rocchina Staiano, Avvocato, Docente in Diritto della Previdenza ed assicurazioni sociali e in Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro presso l’Università di Teramo; Docente/formatore in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, ai sensi del D.M. 5 marzo 2013; Docente in vari Corsi di formazione e di master; Membro dei collegi dei probiviri della Cisl Regione Campania; Componente esterno della Commissione Lavoro e della Commis- sione Rapporti Internazionali UE del CNF; Consigliera di Parità della Provincia di Benevento. Autrice di numerose pubblicazioni e di contributi in riviste, anche telematiche.  

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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