La nuova fattispecie di autoriciclaggio, per molto tempo auspicata ed ora inserita nell’ordinamento con L. 15 dicembre 2014, n. 186, presenta vari profili di connessione con la materia dei reati tributari rispetto anche alle conseguenze sanzionatorie per l’ente. Da rilevare infatti come la tutela degli interessi finanziari degli Stati membri e dell’Unione Europea venga attuata non solo tramite la previsione di delitti tributari ma anche sfruttando il legame con altri istituti. Il tema relativo ai limiti di ammissibilità della confisca verso l’ente per reati di matrice fiscale occupa infatti attualmente un ruolo di spicco nel dibattito nazionale proprio a fronte di tali legami.
Criminalità economica e tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea
Il diritto penale, extrema ratio dell’ordinamento e idoneo a comprimere la libertà personale del singolo, costituisce un nucleo duro di appannaggio esclusivamente statale, rispetto a cui gli Stati membri sono restii a limitare la propria sovranità. Il processo di unificazione e armonizzazione europea trova pertanto dei limiti in materia repressiva, procedendo tramite l’utilizzo di direttive, fonti non self-executing, idonee a preservare una sfera di autonomia al singolo Stato membro.
La lotta al crimine transnazionale, tuttavia, ha portato il legislatore sovranazionale a delineare spazi di competenza dell’UE anche in materia penale. Il settore penale tributario si inscrive in tale ambito, rappresentando la materia in cui forse più sono state sperimentate varie tecniche di cooperazione giudiziaria, come il mandato d’arresto europeo o la neoistituita Procura europea.
La sempre maggiore attenzione degli operatori del diritto verso i reati tributari deriva dal collegamento esistente tra la tutela degli interessi finanziari dell’UE e la tenuta del Welfare State. Note sono infatti le varie teorie economiche che hanno evidenziato come la corruzione ed ancor di più l’evasione incidano negativamente sul mercato comune e sul sostentamento dello Stato sociale. La lotta a tali fenomeni, pertanto, è funzionale al corretto sviluppo di un mercato comune efficiente.
Sistemi repressivi e tecniche di tutela del d.lgs. 74/2000
In tal senso si è inserito il d.lgs.74/2000, c.d. manette agli evasori, oggetto di riforma con il d.lgs. 158/2015, che mira a combattere il fenomeno dell’evasione in conformità con i principi di effettività, proporzionalità e certezza della risposta sanzionatoria. Nella delineazione del sistema repressivo tributario particolare peso è stato attribuito al principio di offensività e materialità, limitando l’utilizzo dello strumento penale alle sole condotte effettivamente lesive ed escludendo, per esempio la punibilità del tentativo[1].
Tra le tecniche di tutela la confisca rappresenta attualmente lo strumento maggiormente utilizzato per prevenire e reprimere fenomeni attinenti alla criminalità economica. La confisca, nelle sue varie declinazioni, è un mezzo efficace e capace di svolgere una funzione repressiva e al tempo stesso preventiva rispetto a tali fenomeni criminosi. La misura ablatoria va, infatti, a colpire il profitto, centro dell’interesse ed obiettivo ultimo della criminalità economica.
La confisca del risparmio di spesa
L’efficacia di tale strumento ha portato il legislatore a delineare molteplici ipotesi di confisca, diretta o per equivalente, obbligatoria o facoltativa, avente natura penale od amministrativa, misura di sicurezza o di prevenzione.
L’art. 12-bis, d.lgs.74/2000, in particolare, prevede una forma di confisca obbligatoria, sia nella forma diretta che per equivalente, rispetto ai beni che costituiscono profitto o prezzo dell’attività illecita. La natura e consistenza del profitto del reato tributario è stato oggetto di analisi da parte di dottrina e giurisprudenza. Secondo la giurisprudenza maggioritaria[2] profitto del reato tributario sarebbe il c.d. risparmio di spesa, posta virtuale e negativa, corrispondente alla somma risparmiata dall’agente e non versata all’erario. La posta così descritta, tuttavia, spesso non è imputabile al patrimonio della singola persona fisica, facendo parte del capitale di una persona giuridica.
L’agente in tal caso opera nell’interesse proprio e della società di cui fa parte che cresce e si sviluppa tramite operazioni fraudolente, tese ad ottenere e accumulare un risparmio di imposta. Si pensi al noto fenomeno delle frodi carosello, vantaggiose per la stessa società che riesce ad essere maggiormente competitiva sul mercato.
L’ammissibilità della confisca verso l’ente è stato ed è tuttora oggetto di attenzione da parte della scienza giuridica a fronte dell’assenza dei reati tributari nel d.lgs. 231/2001, in materia di responsabilità amministrativa dell’ente derivante da reato.
Mentre unanime appare la dottrina e la giurisprudenza nell’escludere l’operatività della confisca per equivalente verso l’ente, opinioni controverse si rintracciano per la confisca diretta.
Lo strumento per equivalente, infatti, potrebbe colpire solo il patrimonio dell’autore del reato, e non la persona giuridica in cui lo stesso operi, salvo che non si ravvisino i presupposti ex art. 6, comma 5, d.lgs. 231/2001. L’art. 6 inserisce uno strumento di chiusura del sistema nel caso in cui la persona giuridica abbia tratto un vantaggio dalla commissione di un reato, a prescindere dal catalogo dei reati presupposto. In tal caso la confisca perderebbe la sua connotazione sanzionatoria ponendosi come una forma di ripristino dell’ordine economico perturbato dal reato, che comunque ha determinato una illegittima locupletazione per l’ente, ad ‘obiettivo’ vantaggio del quale il reato è stato commesso dal suo rappresentante (Cass. SS. UU., 30/01-05/03/2014, n. 10561). L’esclusione della natura afflittiva della misura la rende conforme al principio di legalità e ai suoi corollari (tassatività, irretroattività e riserva di legge). La giurisprudenza sovranazionale ha in più occasioni affermato che le garanzie proprie della materia penale devono accompagnare tutti quegli strumenti che presentino una natura afflittiva e sanzionatoria a prescindere dal nomen iuris. In tal caso l’estensione della confisca all’ente sarebbe possibile in quanto la misura avrebbe natura amministrativa e non sanzionatoria.
Secondo la giurisprudenza attualmente maggioritaria l’assenza dei reati tributari nell’impianto del d.lgs. 231/2001 non osterebbe, tuttavia, all’ammissibilità di una confisca diretta del profitto verso l’ente[3], nel caso in cui sia possibile congelare la somma risparmiata e rimasta nelle casse della società. Sarebbe il rapporto di immedesimazione organica che lega il vertice dell’ente alla persona giuridica a fondare tale possibilità. La società in tali ipotesi non potrebbe ritenersi estranea al reato, avendo agito tramite il suo rappresentante.
Sul punto, contraria è la posizione della dottrina che in tali ipotesi ravvisa una palese violazione dei principi di legalità, tassatività e divieto di analogia in malam partem. Interessante notare come la principale critica avanzata da tali autori riguardi la stessa possibilità di configurare una confisca diretta rispetto ad una posta negativa, non esistente in rerum natura, quale è il risparmio di imposta. Si definirebbe confisca diretta ciò che in realtà è una confisca per equivalente, relativa alla somma di denaro corrispondente a quanto risparmiato.
Le nuove prospettive derivanti dalla punibilità dell’autoriciclaggio
La delineazione del nuovo reato di autoriciclaggio e l’inserimento dello stesso tra i reati presupposto per la responsabilità dell’ente sembra incidere sulla possibilità di confiscare il profitto del reato tributario all’ente, modificando i termini della questione.
Il reato tributario può integrare infatti il delitto presupposto per la condotta di autoriciclaggio, in particolare, nel caso in cui l’agente dopo aver ottenuto un indebito risparmio di imposta con l’evasione investa lo stesso nel mercato lecito. Si assisterebbe ad un concorso di reati, eventualmente avvinto dal nesso di continuazione.
In tali ipotesi la confisca per equivalente verso l’ente, ammessa per l’ipotesi di autoriciclaggio, comprenderebbe anche il risparmio di imposta in quanto lo stesso costituisce parte del profitto del reato. L’estensione dell’ambito di ammissibilità dello strumento non riguarderebbe solo l’an ma anche il quantum confiscabile, in quanto il profitto del reato di autoriciclaggio non è costituito solo dal risparmio di imposta ma anche dagli utili ricavati investendo le somme risparmiate.
La creazione del reato di autoriciclaggio sembrerebbe aver posto fine al dibattito relativo alla confisca del risparmio di imposta verso l’ente, almeno quando le somme risparmiate vengano reinvestite nel mercato.
Il legame tra lotta all’evasione e art. 648-ter.1c.p. è riscontrabile anche sotto un ulteriore profilo. La fattispecie, infatti, ha reso punibile l’investimento del risparmio di imposta nel mercato lecito, prima non possibile tramite le fattispecie di Riciclaggio e Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita. Siffatta ricostruzione trova i suoi limiti sul piano probatorio e processuale, essendo particolarmente difficoltoso accertare simili condotte, data la consistenza stessa del risparmio di imposta.
L’analisi del rapporto tra reati tributari e Autoriciclaggio occuperà, con ogni probabilità, l’attenzione della scienza giuridica nei prossimi anni e pone ancora una volta al centro del dibattito il bilanciamento tra le istanze repressive ed il principio di proporzionalità. L’estensione dell’ambito di ammissibilità della confisca, nonché la punibilità dell’autoriciclaggio del risparmio di imposta, porta con sé il rischio di pervenire a sanzioni sproporzionate e carenti sotto il profilo dell’offensività.
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Note
[1]Oggi tale profilo è messo in discussione dall’attuazione della Dir. 2017/1371 (direttiva Pif) che all’art. 5 prevede la punibilità del tentativo.
[2]Si veda in particolare quanto statuito da Cass. Sez. Un. 18374/2013
[3]Sul punto si veda la Cass. SS. UU., 30/01-05/03/2014, n. 10561 (Gubert).
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