Quando può ritenersi consumato il delitto di indebita compensazione
(Riferimento normativo: D.lgs, 10/03/2000, n. 74, art. 10-quater)
1. La questione
La Corte di Appello di Milano confermava una sentenza del Tribunale di Lodi, resa in esito a giudizio abbreviato, in forza della quale l’imputato, nella qualità di legale rappresentante di una società a responsabilità limitata, era stato condannato alla pena di anni due di reclusione per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui al D.Lgs. n. 74/2000, artt. 5 (capo 1) e 10-quater, comma 2 (capo 2), relativamente all’anno d’imposta 2015.
Ciò posto, avverso il provvedimento summenzionato la difesa dell’accusato proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, si deduceva violazione di legge e vizio motivazionale in riferimento alla mancata indicazione delle ragioni di fatto e di diritto per le quali sarebbero sussistiti gli elementi materiale e psicologico del reato di indebita compensazione (art. 10-quarter d.lgs. n. 74/2000).
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato infondato.
In particolare, gli Ermellini, dopo avere fatto presente che nel caso di specie risultavano presentati modelli F24 negativi, e che non vi era documentazione di alcun genere idonea a suffragare siffatte poste in tesi deducibili, a sostegno di siffatta decisione, richiamavano quell’orientamento nomofilattico secondo il quale il delitto di indebita compensazione di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-quater, si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale (Sez. 3, n. 23027 del 23/06/2020; Sez. 3, n. 4958 del 11/10/2018), rilevandosi al contempo che siffatto delitto non presuppone la presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione annuale, a differenza di quello di dichiarazione infedele di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, in cui il mendacio del contribuente si esprime proprio nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all’Iva.
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando può ritenersi consumato il delitto di indebita compensazione.
Difatti, fermo restando che l’art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000 prevede, da un lato, che è “punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro” (comma primo), dall’altro, che è “punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro” (comma secondo), si afferma in tale pronuncia, lungo il solco di un pregresso orientamento nomofilattico, che il delitto de quo si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale.
Tale provvedimento, quindi, ben può essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare se questo illecito penale possa ritenersi perfezionato (o meno).
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, dunque, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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