Quando sussiste il dovere del giudice di garantire l’effettività del diritto di difesa in caso di negligenza del difensore attraverso la restituzione nel termine

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Normativa di riferimento: C.p.p. art. 175)

Il fatto

La Corte d’Appello di Firenze respingeva l’istanza di restituzione nel termine a norma dell’articolo 175 cod. proc. pen. per poter proporre impugnazione avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Pistoia il 31/10/2017, divenuta irrevocabile il 16/3/2017, con la quale D. H. veniva condannato per il reato di cui all’art. 628 cod. pen..

Posto che avverso la sentenza non risultava essere stato proposto appello e la pronuncia, pertanto, diveniva irrevocabile e la pena posta in esecuzione, il ricorrente chiedeva immediatamente spiegazioni al proprio difensore di fiducia che lo rassicurava circa l’avvenuta presentazione dell’appello, anche se dichiarava di non essersi fatto rilasciare l’attestazione di deposito dalla cancelleria e di non poter quindi documentare quanto affermato.

Il D. presentava pertanto tempestivamente istanza di restituzione in termini al fine di depositare “nuovamente” i motivi d’appello probabilmente già depositati.

La Corte territoriale, ritenuto che il mancato adempimento del difensore e la negligenza dello stesso, pur potendo comportare un pregiudizio ai diritti dell’imputato, non costituiscano forza maggiore o causo fortuito, respingeva la richiesta.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il suddetto provvedimento proponeva ricorso il D. che, a mezzo del difensore, deduceva il seguente motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 125 cod. proc. pen. quanto al mancato riconoscimento di caso fortuito e/o della forza maggiore con riferimento alla richiesta di restituzione ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen. avendo la difesa rilevato che il mancato rinvenimento dell’atto di appello nel fascicolo processuale avrebbe potuto essere stata determinato sia dallo smarrimento da parte della cancelleria, sia dalla negligenza del difensore, che, comunque, ne aveva rinvenuto una copia “uso studio” nel proprio fascicolo ed aveva pertanto assicurato al D. di averlo depositato pur non potendo documentare tale affermazione poiché non aveva fatto apporre sulla copia dell’atto la prevista attestazione; di conseguenza, sotto tali profili, il ricorrente, evidenziato che il corretto esercizio del diritto di difesa deve essere garantito in modo effettivo e concreto, così come riconosciuto anche dalla Corte Edu, rilevava la necessità di affrontare due diversi profili e segnatamente, per un aspetto, considerato che il difensore esercita una funzione pubblica, all’autocertificazione dello stesso rilasciata dovrebbe essere attribuita una rilevanza pari a quella riconosciuta all’attestazione della cancelleria, per un diverso aspetto, invece, dovrebbe affrontarsi il profilo relativo al dovere dello stato di garantire il diritto di difesa e la libertà dei cittadini, anche qualora la lesione a tali diritti fondamentali sia determinata dall’errore del difensore.

La richiesta formulata dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione

Perveniva in cancelleria la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale che concludeva per l’inammissibilità del ricorso.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile alla stregua delle seguenti considerazioni.

Gli ermellini osservavano prima di tutto che, per causa di forza maggiore, si deve intendere il fatto umano o naturale al quale il soggetto non può opporre una diversa determinazione e che, per tale motivo, è irresistibile mentre il caso fortuito, invece, consiste in ogni evento inevitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo e dunque, ciò che caratterizza dunque il caso fortuito è la sua “imprevedibilità” in guisa tale che nota distintiva della forza maggiore è l’elemento della “irresistibilità” e connotazione comune ad entrambi è la “inevitabilità” del fatto.

Chiarito ciò, i giudici di piazza Cavour facevano presente come nel caso di specie non vi fosse una ipotesi di evento inevitabile con la normale diligenza, né di causa di forza maggiore, cioè di evento irresistibile, giacché, con un comportamento improntato a normale diligenza, il difensore di fiducia avrebbe dovuto depositare l’atto di appello e, sempre che in effetti sia stato depositato, certezza che non può manifestare neanche lo stesso ricorrente, far certificare il tempestivo deposito rilevandosi al contempo, da una parte, che la funzione pubblica dell’avvocato non consente di attribuire all’autocertificazione del difensore di avere provveduto a depositare un atto un valore analogo all’attestazione di deposito rilasciata dalla cancelleria atteso che le modalità di presentazione dell’impugnazione sono tassative ed espressamente previste dall’art. 582 cod. proc. pen. per il quale “il pubblico ufficiale addetto vi appone l’indicazione del giorno in cui riceve l’atto e della persona che lo presenta, lo sottoscrive, lo unisce agli atti del procedimento e rilascia, se richiesto, attestazione della ricezione”, dall’altra, che, agli atti, alle dichiarazioni ed alle attestazioni dei soggetti che esercitano una funzione pubblica non è attribuito necessariamente il medesimo valore,  e ciò anche perché le singole attività, anche svolte dal medesimo soggetto, sono espressione della specifica funzione che di volta in volta le caratterizza ed il rilievo probatorio riconosciuto agli atti in queste compiuti è, nel caso, oggetto di specifica previsione normativa.

Venendo a trattare nello specifico la posizione del legale, la Corte metteva in risalto il fatto che, nella peculiare situazione dell’avvocato difensore, l’ordinamento attribuisce un potere certificatorio all’autentica della sottoscrizione del proprio assistito in calce all’elezione di domicilio e della procura speciale ai sensi degli artt. 100 e 122 cod. proc. pen., ovvero riconosce uno specifico valore all’attività compiuta dall’avvocato nella redazione dei verbali delle indagini difensive mentre nessuna previsione normativa, di contro, vi è in merito alle diverse attività attraverso le quali il difensore adempie al proprio mandato difensivo come, appunto, la predisposizione, redazione e deposito degli atti difensivi ed anche delle impugnazioni fermo restando che, qualora lo stesso ritenga necessario, ovvero anche solo prudente, documentare il corretto adempimento di una specifica attività, quale in particolare il deposito di un atto, è espressamente previsto (per le impugnazioni dall’art. 582 cod. proc. pen.) che lo stesso possa richiedere al funzionario l’attestazione di avvenuto deposito la quale, peraltro, può essere rilasciata esclusivamente dal pubblico ufficiale a ciò espressamente abilitato al quale devono essere anche corrisposti i diritti di cancelleria.

Posto ciò, per quanto atteneva le ulteriori critiche sollevate dalla difesa secondo le quali, alla luce della giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo, lo stato, e per questo il giudice, avrebbe il dovere di garantire l’effettività del diritto di difesa anche nei casi di negligenza del difensore ovvero dei funzionari della cancelleria, esse venivano stimate manifestamente infondate atteso che, per un verso, in assenza di attestazione dell’avvenuto deposito dell’impugnazione, l’asserita evenienza che l’atto di appello fosse stato smarrito dagli impiegati della cancelleria era ipotetica e non poteva essere tenuta in alcuna considerazione, per altro verso, in riferimento al dovere del giudice di garantire l’effettività del diritto di difesa in caso di negligenza del difensore, il Supremo Consesso evidenziava come potesse ritenersi che tale dovere sorge solo ed esclusivamente nei limitati casi in cui l’omesso adempimento dell’incarico sia stato determinato da una situazione di imprevedibile ignoranza della legge processuale penale tale, nel caso concreto, da configurare un’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore (Sez. 2, Sentenza n. 31680 del 14/07/2011, omissis, Rv. 250747; Sez. 6, n. 35149 del 26/06/2009, A., Rv. 244871) mentre, in tutti gli altri casi, l’inesatto adempimento della prestazione professionale da parte del difensore di fiducia, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, che si concretano in forze impeditive non altrimenti vincibili, le quali legittimano la restituzione nel termine, poiché consistono in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione non potendosi al contempo escludere, in via presuntiva, la sussistenza di un onere dell’assistito di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito, nei casi in cui il controllo sull’adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo (Sez. U, n. 14991 del 11/04/2006, omissis, Rv. 233419; Sez. 2, n. 48737 del 21/07/2016, omissis, Rv. 268438).

Tal che, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, la Corte dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

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Conclusioni

Questa sentenza è sicuramente interessante in quanto si chiarisce quando l’omesso adempimento del mandato difensivo possa legittimare l’assistito a chiedere la restituzione in termine.

Orbene, come appena visto, il margine entro cui una evenienza processuale di questo genere si possa verificare, è assai ristretto avendo la Corte ammesso una possibilità di tal genere solo nel caso in cui l’omesso adempimento dell’incarico sia stato determinato da una situazione di imprevedibile ignoranza della legge processuale penale tale, nel caso concreto, da configurare un’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore a nulla invece rilevando l’inesatto adempimento della prestazione professionale da parte del difensore di fiducia a qualsiasi causa ascrivibile.

Tal che, perlomeno alla luce di quanto statuito in siffatta pronuncia, è sconsigliabile una linea difensiva che faccia un generico riferimento all’inadempimento del legale per chiedere la restituzione in termine essendo per contro necessario la prova che tale omesso adempimento sia dipeso da una situazione di imprevedibile ignoranza della legge processuale penale ossia un caso evidentemente limite e di difficile verificazione nella prassi giudiziale.

 

 

 

 

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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