(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 341-bis)
1. La questione
Il Tribunale di Messina, con sentenza emessa in data 15 giugno 2021 all’esito del giudizio di primo grado, ha dichiarato l’imputato colpevole del reato di cui all’art. 341-bis cod. pen. e, ritenute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, lo ha condannato alla pena di tre mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita.
A sua volta la Corte di Appello della medesima città confermava la decisione adottata dal giudice di prime cure e condannava l’appellante (imputato) al pagamento delle spese del grado e della rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla parte civile.
Ciò posto, averso il provvedimento posto in essere dalla Corte territoriale proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’accusato che, con unico motivo (erronea applicazione dei criteri adottati per valutare la prova), tra le argomentazioni ivi addotte, sosteneva come la motivazione della sentenza impugnata non sarebbe stata idonea a dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla fattispecie incriminatrice contestata in quanto il delitto di cui all’art. 341-bis cod. pen. postula che l’offesa sia percepita da almeno due soggetti diversi dai pubblici ufficiali offesi ed estranei alla pubblica amministrazione.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
Il ricorso summenzionato era ritenuto infondato poiché, ad avviso del Suprema Corte, il motivo proposto era manifestamente infondato e, comunque, diverso da quelli consentiti dalla legge.
In particolare, la Suprema Corte addiveniva a siffatta conclusione giacché, a suo parere, ai fini dell’integrazione del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, è necessario che l’offesa attinga l’apprezzamento di sé del pubblico ufficiale sia nella dimensione personale, sia nella dimensione funzionale e sociale, in quanto si può giustificare la tutela assicurata ai pubblici ufficiali dalla fattispecie di cui all’art. 341-bis cod. pen., rafforzata rispetto a quella dei comuni cittadini, soltanto allorché sia minata, più che la reputazione del singolo esponente, la reputazione dell’intera pubblica amministrazione, rilevando al contempo che, per tale ragione, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di oltraggio, l’offesa all’onore ed al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di almeno due persone, tra le quali non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall’offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni, essendo integrato il requisito della pluralità di persone unicamente da persone estranee alla pubblica amministrazione (ossia dai “civili“), ovvero da persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spazio-temporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente (ex plurimis: Sez. 6, n. 6604 del 18/01/2022; Sez. 6, n. 30136 del 09/06/2021, che ha rilevato che in tema di oltraggio, l’offesa all’onore ed al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di almeno due persone, tra le quali non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall’offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni).
Orbene, a fronte di tale quadro ermeneutico, gli Ermellini ritenevano come la Corte di Appello di Messina avesse fatto una corretta applicazione di tali principi nella sentenza impugnata e, pertanto, la condotta accertata era stata, per la Corte di legittimità, correttamente ricondotta alla fattispecie di oltraggio a pubblico ufficiale.
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando sussiste il delitto di cui all’art. 341-bis cod. pen., perlomeno in riferimento ad uno degli elementi costitutivi, richiesti ai fini della sua integrazione, ossia che la condotta delittuosa sia compiuta “in presenza di più persone”.
Si afferma difatti in tale pronuncia, lungo il solco di un pregresso orientamento nomofilattico, che l’offesa all’onore ed al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di almeno due persone, tra le quali non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall’offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni, essendo integrato il requisito della pluralità di persone unicamente da persone estranee alla pubblica amministrazione (ossia dai “civili“), ovvero da persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spazio-temporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente.
Ove quindi dovesse verificarsi una situazione diversa da quelle appena menzionate, ben potrà la difesa dell’imputato elaborare una linea argomentativa che, avvalendosi di questo approdo ermeneutico, sostenga l’insussistenza di siffatto illecito penale.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questa tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
Compendio di Diritto Penale – Parte speciale
Il testo è aggiornato a: D.Lgs. 75/2020 (lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione); D.L. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni); L. 113/2020 (Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni) e D.L. 130/2020 (c.d. decreto immigrazione). Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, patrocinante in Cassazione; LL.B., presso University College of London; docente di diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali; coordinatore e docente di master universitari; autore di pubblicazioni e monografie in materia di diritto penale e amministrativo sanzionatorio; giornalista pubblicista.
Fabio Piccioni | Maggioli Editore 2021
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