- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- La posizione assunta dalla difesa
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
Il fatto
Il Tribunale di Catanzaro, in parziale accoglimento di un appello proposto in sede de libertate, annullava una ordinanza cautelare, limitatamente al reato di cui all’art. 353-bis cod. pen. contestato al capo 9 dell’imputazione provvisoria, e, per l’effetto, era ridotta la durata della misura interdittiva del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione da dodici a cinque mesi.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione la pubblica accusa che deduceva i seguenti motivi: 1) illogicità manifesta della motivazione; 2) carenza della motivazione in quanto l’ordinanza impugnata, aderendo all’orientamento giurisprudenziale che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 353-bis cod. pen., inquadra la nozione “atto equipollente” solo nell’ambito di una “gara” o comunque di una procedura partecipata tra più aspiranti contraenti, con esclusione dell’affidamento diretto, secondo il ricorrente, aveva omesso di motivare sulla estraneità al perimetro applicativo della fattispecie dell’ipotesi in cui detto strumento venga utilizzato, come nel caso in esame, in maniera distorta.
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La posizione assunta dalla difesa
I difensori, a loro volta, depositavano di una memoria scritta eccependo sia la carenza di interesse a ricorrere del Pubblico ministero, che l’estraneità dei motivi dedotti dal perimetro del giudizio di legittimità.
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Il testo è aggiornato a: D.Lgs. 75/2020 (lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione); D.L. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni); L. 113/2020 (Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni) e D.L. 130/2020 (c.d. decreto immigrazione). Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, patrocinante in Cassazione; LL.B., presso University College of London; docente di diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali; coordinatore e docente di master universitari; autore di pubblicazioni e monografie in materia di diritto penale e amministrativo sanzionatorio; giornalista pubblicista.
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Gli Ermellini rilevavano, in via preliminare, come dovesse essere esaminata prioritariamente la questione relativa alla sussistenza dell’interesse a ricorrere del Pubblico ministero allorché, come nel caso in esame, la misura cautelare fosse stata, comunque, confermata, anche se non con riferimento a tutte le fattispecie criminose oggetto di contestazione provvisoria.
Orbene, i giudici di piazza Cavour notavano a tal proposito come sul tema non fosse ravvisabile un indirizzo univoco nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo un primo orientamento, infatti, l’interesse a ricorrere è direttamente correlato all’effetto conseguibile con l’accoglimento del ricorso, ovvero alla imposizione, modifica o mantenimento della misura e si è, pertanto, ritenuto che sussiste un interesse concreto e diretto alla affermazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza soltanto quando detta statuizione sia strumentale alla costituzione ovvero al mantenimento dello stato di privazione della libertà (in questo senso, Sez. 6, n. 23241 del 21/05/2019; Sez. 6, n. 2386 del 24/06/1998) fermo restando che, in applicazione di tale principio, è stato ritenuto inammissibile per carenza di interesse il ricorso per Cassazione del pubblico ministero che si dolga esclusivamente della ritenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per taluni dei delitti contestati, nel caso in cui l’ordinanza resa dal tribunale del riesame abbia comunque confermato la sussistenza della gravità indiziaria relativamente ad altri delitti, disponendo il mantenimento della misura (Sez. 6, n. 23241 del 21/05/2019).
Ciò posto, la Suprema Corte evidenziava come, analogamente, sia stato dichiarato inammissibile, per difetto di attualità dell’interesse all’impugnazione, il ricorso per Cassazione del pubblico ministero avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che abbia escluso la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale, in quanto l’incidenza della contestazione cautelare della circostanza sui termini di durata massima della custodia cautelare costituisce oggetto di situazioni future (Sez. 6, n. 3326 del 28/11/2014).
Terminata la disamina di questo indirizzo interpretativo, il Supremo Consesso notava come un altro orientamento abbia, invece, riconosciuto la sussistenza dell’interesse a ricorrere anche in ragione di una utilità pratica, anche di carattere processuale, derivante dall’accoglimento del ricorso, rilevando al contempo come sia stato, ad esempio, riconosciuto l’interesse del pubblico ministero a proporre appello avverso l’ordinanza cautelare emessa solo per alcuni dei reati contestati al fine di conseguirne l’estensione anche agli altri reati per i quali il giudice abbia ritenuto insussistenti i gravi indizi di colpevolezza (Sez. 1, n. 20286 del 17/06/2020) ovvero con riferimento all’ordinanza con la quale il tribunale del riesame, pur confermando il provvedimento applicativo della custodia cautelare in carcere, abbia escluso una circostanza aggravante ad effetto speciale quando dal riconoscimento della predetta circostanza possa conseguire l’applicazione di termini di durata della misura maggiori (Sez. 2, n. 45459 del 06/10/2016; Sez. 2, n. 32655 del 14/07/2015).
Ebbene, finito di illustrare questi due filoni interpretativi, la Corte di legittimità, nella pronuncia qui in commento, considerava di non potere aderire pienamente a nessuno dei due orientamenti sopra esposti in quanto se è indubitabile, come sostiene il primo indirizzo, che l’interesse a ricorrere del Pubblico ministero sia strettamente correlato alla imposizione o al mantenimento della misura cautelare, non può, tuttavia, escludersene la sussistenza anche nel caso in cui, a fronte di un’ordinanza che abbia sostanzialmente mantenuto la misura cautelare applicata, il ricorso sia volto al conseguimento di un risultato processuale immediato e diretto, e non futuro come invece sostiene il secondo indirizzo, quale, nel caso in esame, il ripristino dell’iniziale durata della misura interdittiva.
In particolare, a sostegno di tale conclusione, si faceva presente che, secondo la giurisprudenza della Cassazione, l’interesse a ricorrere va individuato in una prospettiva utilitaristica correlata agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente, consistente nella rimozione di una situazione di svantaggio processuale derivante dalla decisione o nel conseguimento di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995; Sez. U., n. 10372 del 27/9/1995).
Più nel dettaglio, quanto al Pubblico Ministero, si notava come detto interesse sia stato ravvisato allorché il gravame intenda perseguire un risultato non soltanto teoricamente corretto ma anche praticamente favorevole (Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995).
Orbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto alla fattispecie in esame, la Cassazione stimava come andasse ravvisata la sussistenza dell’interesse a ricorrere del Pubblico ministero in considerazione dell’immediato risultato processuale – il ripristino dell’iniziale durata della misura interdittiva – conseguibile a seguito dell’eventuale accoglimento del ricorso.
Premesso ciò, per quanto concerne il merito, il ricorso era reputato infondato ed era, pertanto, rigettato per le seguenti ragioni fermo restando che, ad avviso della Suprema Corte, per motivi di ordine logico, doveva essere esaminato prima il secondo motivo di ricorso posto che la sua infondatezza, con l’esclusione della configurabilità del reato di cui all’art. 353-bis cod. pen. nel caso in cui la scelta del contraente avvenga con procedura negoziata senza bando (art. 63 d. Igs. 18 aprile 2016, n. 50), consentiva di ritenere assorbito l’esame del primo motivo di ricorso.
Ebbene, una volta fatto presente che, secondo il ricorrente, l’ordinanza impugnata, nell’aderire all’orientamento ermeneutico che esclude l’affidamento diretto dalla nozione di “atto equipollente“, rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 353-bis cod. pen., ha omesso di motivare sulla irrilevanza dell’ipotesi in cui detto strumento venga utilizzato in modo distorto, il motivo era considerato infondato posto che, ad avviso della Corte di Cassazione, il riferimento al bando di gara costituisce un elemento normativo della fattispecie criminosa che richiama la disciplina di quelle procedure di scelta del contraente con la pubblica amministrazione connotate, qualunque sia il relativo nomen iuris, da un lato, dalla competizione tra più aspiranti contraenti e, dall’altro, dalla predeterminazione, di regola attraverso la pubblicazione del bando di gara, delle regole che disciplinano l’oggetto, il contenuto del contratto, i requisiti economici o tecnici richiesti agli operatori economici ed i criteri di selezione delle offerte visto che, secondo la giurisprudenza elaborata sempre in sede nomofilattica, in tema di turbata libertà degli incanti, si è in presenza di una procedura di gara, anche informale o atipica, ogni volta che la pubblica amministrazione proceda all’individuazione del contraente su base comparativa, a condizione che l’avviso informale o il bando o, comunque, l’atto equipollente indichino previamente i criteri di selezione e di presentazione delle offerte, ponendo i potenziali partecipanti nella condizione di valutare le regole che presiedono al confronto e i criteri in base ai quali formulare le proprie (Sez. 6, n. 9385 del 13/04/2017; Sez. 6, n. 8044 del 21/01/2016).
Oltre a ciò, sempre ad avviso del Collegio, l’individuazione dell’atto “equipollente” al bando di gara, ovvero dell’atto che ha valore ed efficacia a questo analoghi, non può prescindere dalla considerazione delle sue caratteristiche, di oggetto e finalità, cosicché può ritenersi tale solo quello che ha delle connotazioni a questo assimilabili in quanto predetermina le regole del gioco, ponendo i potenziali partecipanti nella condizione di valutare i criteri in base ai quali formulare le offerte e di conoscere i parametri che sovraintendono alla aggiudicazione e, dunque, alla stregua di tale criterio ermeneutico, possono ritenersi “equipollenti” al bando di gara sia l’avviso di indizione della gara che l’avviso di preinformazione (art. 59 d. Igs. n. 50 del 2016), ma non la mera determina di affidamento diretto dei lavori e da ciò consegue, pertanto, che non è configurabile il reato di turbata libertà degli incanti nel caso in cui la pubblica amministrazione addivenga alla scelta del contraente tramite procedura negoziata non preceduta dalla pubblicazione di un bando, rilevandosi al contempo come debba essere tuttavia precisato che siffatta impostazione ermeneutica non intende affatto attribuire una patente di liceità ad eventuali manovre collusive che abbiano condizionato la scelta del contraente, ma solo escluderle dal perimetro applicativo della norma incriminatrice in esame, potendo eventualmente ravvisarsi gli estremi di altre fattispecie, ricorrendone gli altri elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, quale, ad esempio, il reato di abuso di ufficio.
Ciò posto, pur in presenza di siffatto approdo ermeneutico, gli Ermellini notavano come vi sia un pronunciamento emesso dalla Cassazione che ha invece incluso nella nozione di atto equipollente del bando di gara anche la deliberazione a contrarre, qualora la stessa, per effetto della illecita turbativa, preveda l’affidamento diretto ad un determinato soggetto (Sez. 6, n. 13431 del 16/02/2017) dal momento che, in tale arresto, la Corte ha ritenuto che, poiché l’art. 353-bis cod. pen., a differenza dell’art. 353 cod. pen., non circoscrive il novero delle procedure tutelate, l’atto equipollente deve essere individuato con riferimento ad ogni atto che abbia l’effetto di avviare la procedura di scelta del contraente, ivi compresa, pertanto, anche la delibera a contrarre.
Pur tuttavia, nella pronuncia qui in commento, pur prendendosi atto, come appena visto, di tale orientamento interpretativo, gli Ermellini ritenevano tuttavia come codesta interpretazione ometta di considerare che, a dispetto della rubrica della norma, ove si richiama genericamente il procedimento di scelta del contraente, il precetto delimita tali procedure a quelle in cui la selezione è disciplinata da un bando o da un atto avente il medesimo valore e significato che, altro non può essere, al fine di poter essere considerato “equipollente“, che un atto che detti la lex specialis del procedimento e, dunque, ad avviso di questo Consesso, equipollente non può considerarsi qualunque atto alternativo al bando di gara che abbia l’effetto di avviare la procedura di scelta del contraente, ma solo quello che presenta caratteristiche analoghe e risponde alla medesima finalità del bando di gara.
Oltre a ciò, veniva infine fatto presente che siffatta interpretazione restrittiva della nozione di “atto equipollente” appare coerente con il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, ovvero l’interesse della Pubblica Amministrazione di poter contrarre con il miglior offerente (si veda in tal senso Sez. 6, n. 29267 del 05/04/2018).
Da ciò se ne faceva conseguire come il reato di cui all’art. 353-bis cod. pen. non fosse configurabile nel caso di specie per la non riconducibilità della delibera a contrarre nella nozione di atto equipollente al bando di gara.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quando il Pubblico ministero ha interesse a ricorrere.
Difatti, in tale pronuncia, con un orientamento intermedio rispetto a due diversi indirizzi interpretativi in cui si sostiene, secondo uno di essi, che ricorre un interesse concreto e diretto alla affermazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza soltanto quando detta statuizione sia strumentale alla costituzione ovvero al mantenimento dello stato di privazione della libertà, mentre, secondo l’altro, che detto interesse ricorre invece anche in ragione di una utilità pratica, anche di carattere processuale, derivante dall’accoglimento del ricorso, si afferma, per l’appuntamento con un ragionamento che media tra questi due filoni ermeneutici, che sussiste un interesse ad impugnare anche quando il ricorso sia volto al conseguimento di un risultato processuale immediato e diretto.
Orbene, pur apprezzandosi l’orientamento elaborato nella pronuncia qui in commento in quanto enunciato sulla scorta di quanto postulato dalle Sezioni Unite in diverse pronunce nella parte in cui è stato ivi postulato che l’interesse a ricorrere va individuato in una prospettiva utilitaristica correlata agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente, consistente nella rimozione di una situazione di svantaggio processuale derivante dalla decisione o nel conseguimento di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, rilevandosi al contempo, quanto al Pubblico Ministero, come detto interesse sia ravvisabile allorché il gravame intenda perseguire un risultato non soltanto teoricamente corretto ma anche praticamente favorevole, sarebbero comunque opportuno che su tale questione intervenissero tali Sezioni al fine di comporre tale contrasto giurisprudenziale.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale provvedimento, proprio perché prova a fare chiarezza su questa tematica procedurale, non può che essere positivo.
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