Una delle novità più salienti introdotte con le recenti modifiche apportate all’art. 186 CdS, si rinviene nel testo del comma 2-bis.
Esso prevede, infatti, una circostanza che aggrava la pena base prevista per la guida in stato di ebbrezza e che recita testualmente : ”Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le sanzioni di cui al comma 2 del presente articolo e al comma 3 dell’articolo 186-bis sono raddoppiate ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per centottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea all’illecito. Qualora per il conducente che provochi un incidente stradale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l), fatto salvo quanto previsto dal quinto e sesto periodo della lettera c) del comma 2 del presente articolo, la patente di guida è sempre revocata ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. È fatta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 222.”
Tale norma trova puntuale ed omologa previsione nel testo del successivo articolo 187 1-bis : “Se il conducente in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope provoca un incidente stradale, le pene di cui al comma 1 sono raddoppiate e, fatto salvo quanto previsto dal settimo e dall’ottavo periodo del comma 1, la patente di guida è sempre revocata ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. È fatta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 222.”.
Or bene, la ulteriore condizione oggettiva che viene necessariamente richiesta in abbinamento a quella basilare soggettiva, o della ebbrezza alcolica o dell’alterazione da stupefacenti, per ritenere operative le circostanze aggravanti in oggetto, consiste nella condotta di avere provocato un incidente stradale, vale a dire di essere il soggetto attivo e diretto nella causazione dell’evento dannoso.
La verificazione dell’incidente stradale (ed ogni sua conseguenza dannosa), quindi, deve essere imputabile, sul piano esclusivo, al soggetto imputato (o della violazione dell’art. 186 , oppure di quella dell’art. 187 CdS).
Il caso di specie, invece, proponeva alla valutazione dei Supremi giudici una digressione rispetto all’originaria previsione fattuale, posto che all’imputato-ricorrente veniva contestato il “coinvolgimento” nell’incidente stradale.
Vale a dire che la descrizione del comportamento in base al quale è stata formulata l’ipotesi di reato attribuita al ricorrente ha prestato il fianco ad una evidente censura del Collegio di legittimità.
In primo luogo, la critica ha trovato ragion d’essere perché, esaminando l’imputazione sul piano puramente lessicale, si deve rilevare la presenza di un’assoluta improprietà (l’uso dell’espressione “essere coinvolto” in luogo di quella “avere provocato” – la quale riverbera indubbi effetti anche in punto di diritto -.
E’, infatti, del tutto pacifico che la previsione normativa di aggravamento sanzionatorio della pena base (in entrambi i reati) debba rimanere circoscritta alla condotta di chi cagiona, per propria responsabilità e colpa un sinistro.
L’atto di cagionare, dunque, inteso come gesto di natura indubbiamente colposa.
Esso, però, trova il suo fondamento, sia fattuale che giuridico, in un comportamento attivo dell’individuo, che si ponga come violazione di uno tra i plurimi precetti normativi del CdS e ne sia diretta conseguenza.
In secondo luogo – ed in stretto legame logico con il principio sopra affermato – la Corte di legittimità precisa, inoltre, che, comunque, la situazione di chi è coinvolto in un incidente stradale non può (e non deve) formare oggetto di confusione con quella di chi lo provoca.
Dopo avere risolto, infatti, agevolmente il dato puramente formale e tassativo dell’individuazione della condotta oggetto della previsione contenuta dall’aggravante, la Corte di Cassazione affronta, quindi, anche il tema concernente l’evidente impossibilità di conferire analogo significato alle due distinte condotte.
Sotto questo ultimo specifico profilo, il Collegio afferma – in maniera tanto lapidaria, quanto convincente – che ove si ritenesse di operare un’eventuale equiparazione fra soggetto che provoca e soggetto che viene (incolpevolmente e suo malgrado) coinvolto in un sinistro, ci troverebbe dinanzi ad “un’inammissibile ipotesi di analogia in malam partem”.
Tale divieto, deducibile dall’art. 25 comma 2° Cost., trova fondamento nel fatto che tale forma di analogia contrasta in tutta evidenza con le esigenze garantistiche del principio di legalità e, soprattutto, quello di tassatività.
Vale a dire, quindi, che sarebbe inaccettabile tanto nel nostro ordinamento giuridico, che nel nostro sistema legislativo, riconoscere la possibilità di estendere gli effetti punitivi di una norma incriminatrice di natura penale, rivolta, quindi, a sanzionare specifiche condotte, anche nei confronti di altri comportamenti o (situazioni), che seppure simili, non siano espressamente previsti ex lege.
Ulteriore conferma dell’assunto, si ricava, inoltre, esemplificativamente dal testo degli artt. 1 e 199 c.p., che sanciscono il principio per cui nessuno può essere sottoposto a pena o a misura di sicurezza se non sulla base di una norma di legge e dall’art. 25 della Cost. secondo cui: “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fato commesso“.
Tornando conclusivamente alla sentenza in commento, appare, quindi, del tutto incontroversa e pacifica l’esaltazione dell’infungibilità e dell’inconfondibilità interpretativa del verbo “provocare” (l’incidente), il quale, pertanto, configura l’unica condotta in capo alla quale viene riconnesso il trattamento sanzionatorio aggravato in relazione agli artt. 186 comma 2-bis e 187 comma 1-bis Cds.
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