Quasi flagranza: chiarimenti della Cassazione

Scarica PDF Stampa Allegati

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 33469 del 3 settembre 2024, ha fornito chiarimenti sulla c.d. “quasi flagranza” di reato.

Per un valido supporto per professionisti consigliamo: Codice penale e di procedura penale e norme complementari -Edizione 2024. Aggiornato alla Riforma Nordio e al decreto Svuota Carceri

Corte di Cassazione – Sez. V Pen. – Sent. n. 33469 del 03/09/2024

Cass-33469-2024.pdf 158 KB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Indice

1. I fatti

Il Tribunale di Roma ha convalidato l’arresto del ricorrente ritenendo sussistente lo stato di flagranza del reato ed applicato la misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di Roma.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente il presupposto della flagranza del reato sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e da una sua amica e di quanto rilevato dalle forze dell’ordine casualmente di passaggio.
Nello specifico, la persona offesa ha riferito di aver visto il ricorrente intento a frugare nella sua borsa e di essere riuscita a fermarlo con l’aiuto di alcuni amici in sua compagnia, così riprendendosi la busta che il medesimo aveva sottratto dalla sua borsa.
All’esito di un controllo più accurato si è resa conto della mancanza del cellulare e, a tale proposito, ha aggiunto di aver visto, mentre il ricorrente frugava nella sua borsa, un altro soggetto che, accanto all’indagato, si allontanava.
Avverso tale ordinanza, è stato proposto ricorso per Cassazione dall’indagato, denunciando, con un unico motivo, la nullità dell’ordinanza ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. per violazione e falsa applicazione degli artt. 380, 382 e 391 cod. proc. in merito alla sussistenza della flagranza.
L’arresto del ricorrente è avvenuto a seguito di trattenimento della persona offesa e l’intervento del personale di Polizia è avvenuto mezz’ora dopo la sottrazione e sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, e dalla di lei amica, senza alcun riscontro diretto da parte degli operanti.
Sulla base della giurisprudenza di legittimità, non è ravvisabile neppure una condizione di “quasi flagranza” che richiede l’immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all’arresto delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato.

2. Quasi flagranza: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, sottolinea che “l’arresto in flagranza di reato da parte del privato, nei casi consentiti dalla legge ai sensi dell’art. 383 cod. proc. pen., si risolve nell’esercizio di fatto dei poteri anche coattivi e nell’esplicazione delle attività procedimentali propri degli organi di polizia giudiziaria normalmente destinati a esercitare tale potere“.
Nel caso di specie, si rientra in un’ipotesi in cui non si è mai perso il contatto tra l’autore del fatto di reato e la persona offesa che ha riferito di avere visto, insieme ad altra sua amica, il ricorrente intento a frugare nella propria borsa. Nonostante la reazione di quest’ultimo che ha tentato di divincolarsi, è riuscita a trattenerlo fino all’arrivo provvido di una pattuglia della Polizia locale.
La fattispecie in esame rientra, pertanto, nell’ipotesi di cui alla prima parte dell’art. 383 cod. proc. pen., di arresto eseguito nei confronti di chi sia “colto” nell’atto di commettere il reato.
La Corte ha ritenuto sussistente l’ipotesi di cui alla seconda parte dell’art. 382, comma 1, cod. proc. pen. ovvero di chi “subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima“.
L’art. 382 cod. proc. pen. richiede che chi procede all’inseguimento abbia avuto cognizione diretta del delitto, ma non postula la coincidenza del soggetto inseguitore con chi procede l’arresto.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha ripreso un consolidato principio di diritto secondo il quale “non è necessario che la polizia giudiziaria, ove proceda all’arresto di chi è inseguito dalla vittima o da altre persone, abbia avuto diretta cognizione del reato, essendo sufficiente che essa abbia avuto diretta cognizione dell’inseguimento, ad opera di terzi ed immediatamente dopo il reato, dell’autore del delitto che si sia dato alla fuga“; è altresì “rilevante il fatto che colui che lo esegue si determini – indipendentemente dalla condizione personale di appartenenza alla forza pubblica ovvero di privato cittadino – in virtù della diretta percezione della situazione fattuale, costitutiva della stato di flagranza dell’autore del reato, e non sulla base di informazioni ricevute da terzi“.
Aggiunge la Corte che la c.d. “quasi flagranza” presuppone che l’inseguimento dell’indagato sia attuato subito dopo la commissione del reato, a seguito e a causa della sua diretta percezione, da parte della polizia giudiziaria, del privato o di un terzo, ma non postula la coincidenza del soggetto inseguitore con quello che procede all’arresto.
Per questi motivi, la Corte ha rigettato il ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Riccardo Polito

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento