Il 15 maggio 2020, su alcuni quotidiani di rilevanza nazionale, venivano pubblicati articoli con i quali si diffondeva la notizia, con corredo anche generoso di particolari, che l’UE era pronta ad aprire una procedura d’infrazione nei confronti di molti Stati Membri – fra i quali l’Italia – per avere, con lo stumento del voucher, negato i rimborsi dei viaggi annullati causa Covid-19. Si faceva riferimento ad una lettera formale inviata fra l’altro al Governo italiano, il quale, avrebbe avuto un breve termine entro il 28 maggio 2020, per adottare provvedimenti finalizzati a superare la presunta violazione del diritto comunitario.
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Giuseppe Cassano | 2020 Maggioli Editore
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Soft law
La raccomandazione rientra nell’ampio labirinto di atti non tipizzati e non riconducibili fra le fonti tradizionali del diritto, definiti “soft law“[1]. Secondo il Morbidelli: “a) la soft law consiste in regole di condotta prive di coercibilità in senso tradizionale; b) non è ascrivibile tra le fonti del diritto; c) tali regole possono tuttavia produrre effetti pratici”.
L’articolo 288 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea qualifica espressamente le raccomandazioni come atti giuridici non vincolanti, avendo in tal modo “inteso investire di un potere di persuasione e di stimolo le istituzioni autorizzate ad adottarle, potere distinto da quello di adozione degli atti dotati di forza cogente”.
La Corte Europea ha chiaramente sposato il principio che “soft law is no law” [2] ed in più di una pronuncia ha escluso che una raccomandazione potesse essere sottoposta al sindacato giurisdizionale a mezzo della proposizione di un ricorso in annullamento per il semplice fatto che essa non produce effetti giuridici cogenti.
In un interessante studio sulle raccomandazioni[3] è stato precisato che le stesse possono anche essere prese in considerazione come criterio interpretativo per risolvere le controversie interne, ma è anche vero che difficilmente un giudice italiano potrebbe seguire una fumosa linea-guida di un atto di soft law e considerarlo superiore ad una norma interna cogente come, ad esempio, l’art. 88 bis della legge n. 27 del 30 aprile 2020.
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Del resto, pur volendo avvicinarsi alle posizioni di coloro che in una raccomandazione della Commissione UE volessero riscontrare qualche valore obbligatorio nei confronti dei destinatari, nel caso della raccomandazione del 13 maggio 2020, non è dato ravvisare regole dotate di un buon livello di precisione, ma solo meri auspici che richiamano i seguenti presupposti “normativi” di riferimento:
a) l’art. 12 paragrafi 3 e 4 della Direttiva Pacchetti 2015/2302 (quella che ha generato il deficitario art. 41 comma 4 del Codice del Turismo novellato nel 2018) che ha mostrato tutta la sua inadeguatezza durante l’emergenza Covid-19, costringendo molti Stati Membri a ricorrere concitatamente ai voucher al fine di scongiurare disastri peggiori;
b) orientamenti interpetativi ed informali del 18 e 19 marzo 2020 sull’applicazione della Direttiva 2015/2302 sulle modalità di rimborso. In questi documenti si sottolinea chiaramente che: “This document is not legally binding and provides only guidance. It has not been formally adopted or endorsed by the European Commission and cannot be regarded as an official position of the European Commission. It only reflects the views of the Commission’s Directorate-General for Justice and Consumers. The authoritative interpretation of Union law remains within the sole remit of the Court of Justice of the European Union“. Si risparmia la traduzione in quanto balza subito agli occhi che trattasi di documento non vincolante.
Fra l’altro il medesimo documento, precisa: “[…]Tenuto conto delle tensioni sulla liquidità degli operatori turistici a causa della mancanza di nuove prenotazioni associate a richieste di rimborso, i viaggiatori dovrebbero considerare di accettare che il loro pacchetto turistico sia posticipato a un momento successivo. Vista l’attuale incertezza nell’elaborare piani di viaggio, ciò potrebbe essere fatto mediante una nota di credito (il cosiddetto “voucher”). Tuttavia, il viaggiatore dovrebbe avere la possibilità di chiedere un rimborso completo se, alla fine, non utilizza il voucher. Inoltre, dovrebbe essere garantito che il buono sia coperto da un’adeguata protezione in caso di insolvenza. In ogni caso, prima di annullare, ti consigliamo di contattare il tuo tour operator o agenzia di viaggi […]”.
La raccomandazione del 13 maggio 2020 è un chiaro atto di debolezza della Commissione UE che ha deciso di non intervenire con un atto dagli effetti vincolanti (non c’era il tempo materiale per una Direttiva, ma si poteva adottare quantomeno una Decisione) e, per il momento, ha deciso di trincerarsi dietro un atto di sofl law, una raccomandazione fra l’altro molto insicura e poco chiara, a tratti addirittura contraddittoria.
Infatti, nell’art. 11 si raccomanda quanto segue: “Al fine di rendere i buoni più attraenti, gli organizzatori e i vettori potrebbero valutare la possibilità di emettere buoni con un valore superiore all’importo dei pagamenti effettuati per il pacchetto turistico o il servizio di trasporto originariamente prenotato, ad esempio mediante una somma forfettaria supplementare oppure aggiungendo ulteriori elementi di servizio“. Tuttavia, in precedenza, nel considerando n. 4 della raccomandazione, la Commissione aveva preso atto che: ” Nell’Unione i settori dei viaggi e del turismo segnalano una riduzione delle prenotazioni tra il 60 % e il 90 % rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Le richieste di rimborso presentate dai viaggiatori a causa delle cancellazioni superano di gran lunga il livello delle nuove prenotazioni. Secondo le stime preliminari della European Travel Agents’ and Tour Operators’ Association (ECTAA), la pandemia di Covid-19 potrebbe causare una perdita di 30 miliardi di EUR (meno 60 %) nel primo trimestre del 2020 e di 46 miliardi di EUR (meno 90 %) nel secondo trimestre rispetto al fatturato atteso in base agli anni precedenti“. Con quale coraggio si può chiedere ad operatori di un settore al collasso di rendere i buoni più attraenti aumentandone il valore o offrendo servizi aggiuntivi ?
All’art. 11 si raccomanda: “Al fine di limitare le ripercussioni negative sui passeggeri o sui viaggiatori durante la pandemia di Covid-19, gli Stati membri dovrebbero considerare attivamente la possibilità di istituire regimi di garanzia per i buoni, con i quali garantire ai passeggeri o ai viaggiatori il rimborso in caso di insolvenza dell’emittente dei buoni“. Al successivo art. 18 si raccomanda ulterioramente: “A seguito del fallimento di un vettore o di un organizzatore, gli Stati membri possono decidere di soddisfare le richieste di rimborso dei passeggeri o dei viaggiatori. Se viene effettuato dopo la procedura di liquidazione e quindi non rappresenta un sostegno alla liquidità a favore dell’operatore turistico o del vettore – che non svolgerebbero più alcuna attività economica – bensì va a vantaggio unicamente dei passeggeri e dei viaggiatori, tale rimborso non costituisce un aiuto di Stato. Regimi di questo tipo possono pertanto essere attuati dagli Stati membri senza previa approvazione della Commissione“. Tutto molto corretto ed impeccabile, peccato che la Commissione forse non sa che in Italia nel recentissimo Decreto Rilancio le misure in favore del Turismo sono state pressochè inesistenti per mancanza di risorse e non immagina che uno Stato che non ha le risorse per aiutare uno dei suoi settori economici più produttivi difficilmente potrà trovare risorse per soddisfare un futuro “fondo vittime voucher”.
A voler essere severi ci si chede come mai il Legislatore comunitario che ha varato, dopo anni di gestazione, la Direttiva Pacchetti non avesse avuto la lungimiranza di disciplinare nella sede opportuna situazioni come questa che adesso pretenderebbe di risolvere con un tardivo miscuglio di soft law composto da raccomandazioni ed orientamenti informali.
Dopo aver tentato di tracciare negli artt. 3-12 le caratteristiche dei buoni, accomunando quelli dei vettori a quelli degli organizzatori di pacchetti – senza prendere affatto in considerazione che tali contratti sono regolati da normative diverse ed impattano in maniera totalmente diversa sotto il profilo organizzativo ed economico – la Commissione lancia un appello, negli artt. 15-20, agli Stati Membri per attuare misure di sostegno economico in favore sia delle PMI sia delle grandi aziende, dopo che nel precedente considerando 25, si era dichiarata “pronta a fornire assistenza e consulenza agli Stati membri per quanto riguarda le questioni relative alle politiche in materia di aiuti di Stato nell’elaborazione di tali misure“. Forse si è poco attenti ma, fino ad oggi, non si è percepito neppure un brandello di queste capacità di assistenza e consulenza.
Il “capolavoro” è contenuto nell’art. 21 “Le organizzazioni dei consumatori e dei passeggeri a livello nazionale e dell’Unione dovrebbero incoraggiare i viaggiatori e i passeggeri ad accettare, in luogo di un rimborso in denaro, buoni che presentino le caratteristiche e godano della protezione in caso di insolvenza descritte nella presente raccomandazione” e nel conclusivo art. 22: “Le organizzazioni imprenditoriali, dei consumatori e dei passeggeri a livello nazionale e dell’Unione e le autorità degli Stati membri, compresi gli organismi nazionali preposti all’applicazione della legge, dovrebbero contribuire a informare tutte le parti interessate della presente raccomandazione e cooperare per garantirne l’attuazione“.
Notizie infondate
Dopo che l’art. 88 bis della legge n. 27 del 30 aprile 2020 al comma 12 aveva precisato che il voucher non è suscettibile di accettazione da parte del destinatario, la Commissione nella raccomandazione ne profila la possibilità addirittura di riscattarlo in caso di mancato utilizzo, portando il livello di conflittualità, già alto, fra Consumatori e Professionisti del settore turistico a livelli ancora superiori.
In questo modo l’UE raccomanda, il Governo italiano non può fare altro che mettere toppe e le vere vittime di questa tragedia (Consumatori e Professionisti del Turismo) probabilmente saranno costrette a risolvere i loro problemi nelle aule giudiziarie.
Il giorno dopo la fantomatica procedura di infrazione – pubblicizzata su presupposti infondati – si era già trasformata in una lettera di incoraggiamento della Commissione ma poche testate giornalistiche hanno fornito quest’ultima notizia.
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Note
[1] Il Prof. Giuseppe Morbidelli (Professore Ordinario di Diritto Amministrativo all’Università La Sapienza di Roma, nell’editoriale della Rivista della regolazione dei mercati – Fascicolo 2/2016) così descrive la “soft law” : “Il fenomeno della soft law è noto e studiato da tempo. Come si sa il termine nasce nel diritto internazionale per indicare una panoplia di atti non tipizzati e non riconducibili entro le tradizionali fonti del diritto (denominati, ad es., dichiarazioni di principi, raccomandazioni, risoluzioni, carte, codici di condotta, linee guida, programmi d’azione, ecc.), ed ha avuto una serrata consolidazione ed anzi un florilegio di manifestazioni nel diritto europeo, tanto che se ne sono dovute individuare tre subcategorie: la pre law (strumenti preparatori di atti giuridici vincolanti quali Libri bianchi, Libri verdi, piani di azione); la post law (strumenti di interpretazione di atti vincolanti, come linee guida, codici di condotta, comunicazioni interpretative, direttive); la para law (strumenti alternativi ad atti vincolanti quali dichiarazioni, raccomandazioni, pareri)”.
[2] Corte giust. 20 febbraio 2018, Belgio/Commissione, causa C-16/16 P, EU:C:2018:79 “[…] Sono esenti dal controllo giurisdizionale previsto dall’articolo 263 TFUE tutti gli atti che non producono effetti giuridici vincolanti, quali gli atti preparatori, gli atti confermativi e gli atti di mera esecuzione, le semplici raccomandazioni e i pareri, nonché, in linea di principio, le istruzioni di servizio” Cfr. Ordinanza del Tribunale, 27 ottobre 2015, Belgio/Commissione, cit., punto 17. Analogamente Corte giust. 12 settembre 2006, Reynolds Tobacco e a./Commissione, causa C-131/03 P, EU:C:2006:541, punto 55; Corte giust. 14 maggio 2012, Sepracor Pharmaceuticals (Ireland)/Commissione, causa C-477/11 P, EU:C:2012:292, punto 52.
[3] Grazia Vitale, Il controllo di legittimità sulle raccomandazioni dell’Unione europea, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2019. Disponibile in: http://www.osservatoriosullefonti.it. In questo lavoro (cfr. pag. 16) è stato precisato che: “[…] Non può tacersi, poi, del fatto che le raccomandazioni, nonostante in principio non vincolanti, siano idonee a produrre effetti giuridici significativi anche al livello degli Stati membri. I giudici nazionali, ad esempio, possono utilizzarle quali strumenti di interpretazione della normativa interna che abbia dato loro attuazione. Sebbene, infatti, le raccomandazioni non possano attribuire ai singoli diritti azionabili innanzi alle istanze giudiziarie interne, la Corte di giustizia ha espressamente affermato che esse “non possono essere considerat[e] (…) priv[e] di qualsiasi effetto giuridico. Infatti, i giudici nazionali sono tenuti a prendere in considerazione le raccomandazioni ai fini della soluzione delle controversie sottoposte al loro giudizio, in particolare quando esse sono di aiuto nell’interpretazione di norme nazionali adottate allo scopo di garantire la loro attuazione, o mirano a completare norme comunitarie aventi natura vincolante”
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