Rapina con mascherina, sussiste l’aggravante

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Con la sentenza n. 1712 del 17.1.2022, la Cassazione ha stabilito che chi esegue una rapina indossando la mascherina, risponde di rapina aggravata per travisamento del volto. Difatti, la Suprema Corte ha ribadito che, la mascherina non permette di riconoscere in facile modo colui che sta compiendo il reato, pertanto deve essere considerata sussistente l’aggravante prevista dall’art.628 3 comma n.1 c.p.

Il reato di rapina aggravata.

Il reato di rapina consiste nel procurare un ingiusto profitto per sé a danno di un terzo, tramite l’uso della violenza o della minaccia.

L’aggravante sussiste quando per poter compiere tale progetto criminoso, l’autore del reato oscura il proprio volto, in modo da rendere impossibile il riconoscimento della sua identità e sfuggire così all’autorità giudiziaria.

Pertanto, è chiaro ed evidente che la sussistenza della suddetta aggravante risulta fondata quando consapevolmente l’agente del reato si serve di un qualsiasi mezzo per poter evitare che venga riconosciuto dalla polizia giudiziaria, quindi il travisamento del volto ha una funzione ben precisa ed è a vantaggio dell’autore della rapina e a svantaggio dell’autorità.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha specificato in maniera precisa che l’utilizzo della mascherina comportava un vantaggio per l’agente, che indossandola riusciva a non farsi riconoscere, e a sfuggire alle indagini della polizia giudiziaria. Pertanto, si deduce che secondo la Cassazione l’autore del reato si è servito consapevolmente della mascherina, per raggiungere lo scopo di rendere più difficile il suo riconoscimento, quindi l’utilizzo di questo strumento è risultato causale e utile al perseguimento del progetto criminoso del soggetto.

L’adempimento del dovere da parte di un cittadino.

La difesa dell’imputato ha rilevato come tattica difensiva che, la mascherina fosse obbligatoria, quindi egli ha dovuto eseguire un ordine che gli era stato imposto dalla legge, ragion per cui non è imputabile la condotta avuta, ai sensi dell’art.51 c.p.. Difatti, la scriminante, disciplinata dal suddetto articolo, stabilisce che chiunque commetta un fatto previsto dalla legge come reato, per poter adempiere un ordine datogli dalla legge o da un’Autorità superiore, non può essere punito.

Pertanto, nel caso di specie, l’imputato evocava tale scriminante, affermando che ha dovuto indossare la mascherina perché era obbligatoria, a causa della pandemia esistente e dei vari provvedimenti legislativi esistenti, quindi l’aggravante del travisamento non gli poteva essere contestata, perché egli eseguiva un ordine dato dallo Stato.

Questa causa di non punibilità, ha lo scopo di ribadire il principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico che non può essere illogico punendo un soggetto che ha adempiuto ad un dovere imposto dall’ordinamento stesso.

Tuttavia, la Corte si esprime in questo modo: ““deve rilevarsi che il travisamento medesimo risulta essere stato materialmente collegato alla commissione del delitto e comunque idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento dell’autore del fatto. La presenza di un evidente nesso di necessaria occasionalità con il fatto illecito contestato esclude la possibilità di ritenere tale condotta alla stregua di mero adempimento del dovere”.

In conclusione, si deduce che per la Cassazione è sufficiente che il travisamento fosse necessario al realizzarsi del progetto criminoso dell’individuo, per comportare la sussistenza dell’aggravante contestata, e quindi la Suprema Corte ha respinto il ricorso e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

Sentenza collegata

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Marco De Chiara

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