Rapina impropria e tentativo: un problema irrisolto

Redazione 01/12/00
Di Vincio Longo

Il reato di rapina impropria, a sensi dell’art. 628 comma 2° c.p., è integrato da “chiunque adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione (della cosa), per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità”.

C’è in Giurisprudenza una forte diatriba sulla ipotizzabilità del tentativo con riferimento alla condotta di quel soggetto che, immediatamente dopo aver posto in essere degli atti idonei ed univoci alla sottrazione della cosa, adopera violenza o minaccia alle persone per procurare a sé o ad altri l’impunità.

Parte della Giurisprudenza, argomentando dal tenore letterale dell’art. 628 c.p., che nell’indicare gli elementi costitutivi della rapina impropria fa esplicito riferimento alla “avvenuta sottrazione”, giunge alla conclusione che, laddove ci siano stati atti potenzialmente idonei all’impossessamento della cosa, senza che questa sia avvenuta, seguiti da atti idonei e diretti a procurare l’impunità, non può configurassi il tentativo di rapina impropria, poiché ne mancherebbe il “presupposto” necessario (cioè la sottrazione), dandosi luogo invece alla configurabilità del tentato furto ed eventualmente dell’altro autonomo reato che abbia come elemento costitutivo la violenza o la minaccia (Così Cass. Sez. V, 03/11/1999 nr. 3791). Dalla lettura della Sentenza non è però dato desumere quale sia la esatta qualificazione giuridica che la Cass. ha voluto dare al sostantivo “presupposto”. Poiché, se è chiaro che la S.C. non ha ritenuto la sottrazione come un elemento costitutivo del reato in esame, poiché, altrimenti, sarebbe dovuta giungere alla logica conseguenza che il giudizio di idoneità ed univocità ben può farsi anche per gli atti diretti alla sottrazione e che dunque è ben configurabile il tentativo di rapina impropria, non è però altrettanto chiaro perché la sottrazione non possa essere ritenuto elemento costitutivo del reato.

Pertanto, non resta altro da fare se non tentare di ricostruire il ragionamento che la S.C. ha fatto per giungere ad una tale conclusione.

Molto probabilmente, la S.C. ha ritenuto la sottrazione come una “condizione obiettiva di punibilità”, la quale va intesa come un elemento esterno, successivo o concomitante, al fatto di reato, ma sicuramente distinto dalla condotta criminosa e dall’evento tipico, che può essere causato da azione, volontaria o meno, del colpevole o anche di terzi. Trattasi di condizione, al verificarsi della quale, il legislatore ha subordinato, per motivi di convenienza e di opportunità, la punibilità del reato.

La Cassazione, presumibilmente, intendendo la sottrazione come condizione obiettiva di punibilità, ha così escluso che in riferimento a questa possa farsi un giudizio di idoneità ed univocità.

Tale tesi non sembra però sostenibile, perché la individuazione delle condizioni di punibilità non è certo lasciata all’arbitrio del legislatore e dell’interprete. Esse, al contrario, vanno individuate, nel rispetto del principio della offensività e della responsabilità personale, seguendo un criterio sostanziale – funzionale, da quei principi imposto.

Pertanto, per condizioni di punibilità devono intendersi quegli accadimenti, previsti dalla norma, che non accentrano l’offensività del fatto, così rendendolo meritevole di pena, ma che si pongono al contrario come del tutto estranei alla sfera dell’offesa, contribuendo a far ritenere opportuna la punibilità.

Detto questo, non sembra che la sottrazione della cosa nel reato di rapina impropria possa essere intesa come un semplice fatto estraneo all’offensività. Essa, al contrario, si pone come un accadimento che attiene proprio all’offesa del bene protetto, costituendo dunque uno degli elementi fondanti l’incriminazione stessa. Secondo quale ratio dosometrica, altrimenti, il legislatore punirebbe con la severissima pena prevista per il reato di rapina, quel soggetto che, sottratta la cosa, usa violenza o minaccia al fine di procurarsi la impunità? Si vuol dire cioè, che un così severo trattamento sanzionatorio non sarebbe giustificato se l’unico elemento attinente all’offesa fosse la violenza o minaccia perpetrata dopo la sottrazione. Essa, si giustifica invece se si tiene conto del precedente fatto offensivo compiuto dall’agente, appunto la sottrazione.

Se così è, non si capisce come la Cass. possa affermare che un giudizio di idoneità – univocità non possa essere fatto con riferimento alla condotta di sottrazione, conseguentemente ritenendo inconfigurabile il tentativo di rapina impropria.

Per tutto questo, sembra auspicabile un ritorno della S.C. sull’orientamento espresso in passato con la Sentenza nr. 1291 del 31/01/1991, in cui riteneva sussistere “il tentativo di rapina impropria quando l’agente, dopo aver compiuto atti idonei all’impossessamento della cosa altrui, che si sono arrestati in itinere per cause indipendenti dalla sua volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità.

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