Rapporti del minore con gli avi

Redazione 10/04/15

Secondo i dati ISTAT 2012, in Italia vivono 12,3 milioni di ultrasessantacinquenni, cioè il 20,8% della popolazione, con un aumento di tale dato sia rispetto al passato che in una proiezione futura[1].

Estratto dal libro di Angelo Argese “Interesse del minore a procedure giudiziarie”

Il dato sull’invecchiamento, che vede il nostro Paese secondo solo alla Germania[2], registra una presenza di ben 12 milioni di nonni e può essere letto come indicativo di una importante risorsa sociale al pari di una vera e propria istituzione[3]. I nonni rappresentano un utile aiuto per la famiglia, non solo dal punto di vista economico, per i lavori domestici e per il disbrigo di questioni burocratiche, ma anche, e soprattutto, nella gestione ed educazione dei nipoti, la metà dei bambini fino a 13 anni, infatti, vengono affidati a loro, quando non sono a scuola o con i genitori[4]. Il ruolo dei nonni è stato riconosciuto nella sua importanza anche dall’art. 1 della legge 159 del 2005: “è istituita la Festa nazionale dei nonni quale momento per celebrare l’importanza del ruolo svolto dai nonni all’interno delle famiglie e della società in generale”. Non si può negare che uno sviluppo sereno del bambino possa aversi in modo pieno quando egli viva in un contesto di relazioni familiari pacifiche; si riscontrano nella realtà, tuttavia, casi in cui la conflittualità riguarda lo schema verticale della famiglia (i rapporti genitori-nonni) e gli effetti, inevitabilmente, si ripercuotono sulla serenità emotiva del minore. Nei casi di separazione dei genitori i nonni svolgono un ruolo indispensabile perché rappresentano, per i figli della coppia, la continuità della famiglia in un momento di incertezza, di paura per il futuro e di perdita di punti di riferimento stabili[5]. In alcuni casi può risultare che gli avi si schierino con uno dei due genitori in conflitto riproducendo, così, l’elevata conflittualità della coppia[6]. In caso diverso, quando si accerti, al contrario, un atteggiamento di distanza dei nonni  dalle dinamiche conflittuali della coppia ed un ruolo educativo valido verso i nipoti, e di rispetto del rapporto affettivo genitori-figli, essi possono risultare un punto di riferimento importante per lo stesso collocamento e affidamento dei minori[7].

Oggi l’art. 317 bis c.c., come riformato[8], riconosce esplicitamente il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. Prima di questa chiara ed importante previsione, l’ordinamento riconosceva, all’art. 155 c.c., il diritto alla relazione esclusivamente al minore lasciando ai nonni, interessati a coltivare relazioni con i nipoti, la possibilità di ottenere tale soddisfazione solo in forma indiretta, attraverso, cioè, la tutela dello stesso diritto del minore, rivolgendosi al Tribunale per i Minorenni. La dottrina pre-riforma fondava la sua posizione sugli artt. 330 e 333 c.c. laddove la condotta del genitore, che ostacoli le relazioni tra nonni e nipoti, si configuri come abuso della potestà genitoriale o, comunque, pregiudizievole per l’interesse del minore all’equilibrio psicofisico[9]. Il diritto riconosciuto al minore poteva, e si deve ritenere possa ancora oggi, essere sacrificato solo per rimuovere o evitare pregiudizi al bambino. Gli avi potevano, dunque, rivolgersi, ex art. 336 c.c., al giudice specializzato per chiedere che venisse rimossa la condotta pregiudizievole e ripristinato il loro rapporto con i minori, nell’esclusivo interesse di questi ultimi. Oggi, tale concetto è integrato nell’art. 317 bis c.c. che riconosce esplicitamente il diritto degli avi a coltivare (rectius, mantenere) rapporti significativi con i nipoti seppure la previsione normativa permetta agli ascendenti, nel caso di lesione del loro diritto, di adire il giudice per i provvedimenti opportuni nell’interesse esclusivo dei minori.

La Suprema Corte, ha precisato che “ il rifiuto del genitore può ritenersi giustificato solo in presenza di serie e comprovate ragioni che sconsiglino di assicurare e regolamentare i rapporti con i nonni”[10], quindi operando una inversione dell’onere probatorio, essendo ormai indiscussa, in dottrina, l’esigenza del minore in età formativa a rapporti affettivi con la famiglia in senso esteso[11]. Tale scelta, eventualmente adottata dal genitore, sarà valutata anche alla luce delle dichiarazioni del minore, la cui audizione, nel caso abbia compiuto dodici anni o, se di età inferiore, ove sia capace di discernimento, è prevista dall’art. 336 bis c.c..

Pur potendo, dunque, lo stesso nipote manifestare le proprie scelte consapevoli, ad esempio confermando di non voler vedere i nonni, quelle dichiarazioni dovrebbero essere attentamente e tecnicamente valutate dal giudice e da esperti per escludere un condizionamento da parte dei genitori, assimilabile al fenomeno PAS. Insomma, una valutazione che permetta di rilevare quel convincimento, espresso dal minore, come effettivamente libero e personale.

La configurabilità di un vero e proprio diritto soggettivo, in capo all’avo, di intrattenere una relazione affettiva stabile con i nipoti, era già confermata, secondo alcuni, dalla pronuncia n.9606/98 della Cassazione in quanto individuata come un diritto inviolabile della persona. A questo si aggiunge un forte riconoscimento della valenza sociale ed affettiva della relazione tra nonni e nipoti da parte della Suprema Corte che evidenziava come “la presenza dei nonni diventi sempre più rilevante nell’ambito della famiglia, non potendo ritenersi privi di tutela vincoli che affondano le loro radici nella tradizione familiare, la quale trova il suo fondamento anche nell’ art. 29 Cost.”[12]. Nella sentenza n.17191 del 2011 la Cassazione precisava che il riconoscimento al solo minore del diritto a conservare rapporti significativi con i nonni ha la finalità di evitare, per quanto possibile, che la separazione produca traumi nello sviluppo della personalità del minore[13].

Riguardo alla ripartizione delle competenze nel tema in esame, dunque, gli ascendenti possono adire il Tribunale per i Minorenni, per effetto della modifica apportata all’art.38 disp. att. c.c.[14].


Angelo Argese
 


[1] Nel 2001 la parte della popolazione che aveva superato i 65 anni era il 18,7%, nel 1991 il 15,3%. Secondo la proiezione ISTAT, nel 2065 il numero di anziani potrebbe raggiungere i 20 milioni. Le stime indicano una aspettativa di vita media di 79,4 anni per gli uomini e  di 84,5 per le donne.

[2] Secondo il rapporto Istat 2008 in Italia sono presenti 144 persone con più di 65 anni ogni 100 con meno di 15,solo  nel 1992 il dato era di 97 anziani ogni 100 ragazzi.

[3] Geccele M., Danza G., Nonni e nipoti, un rapporto educativo, Ist. Rezzara, Vicenza, 1993. Secondo gli autori è necessario valorizzare il potenziale educativo dei nonni in grado di fornire un apporto valido allo sviluppo dell’identità personale  integrando il ruolo di genitori ed istituzioni.

[4] 6 milioni e 600 mila nonni si prendono regolarmente cura dei propri nipoti, soprattutto se di tenera età, avendo, nell’85,6% dei casi, nipoti con meno di 13 anni. Tale compito è facilitato dalla  residenza dei nonni nello stesso comune dei nipoti, nel 68,1% dei casi. Rapporto su famiglia e società, ISTAT, 2006.

[5] Di Vita, Salerno, La valutazione della famiglia. Dalla ricerca all’intervento, Franco Angeli, 2006.

[6] In Italia, il 4,7% dei nonni ha un rapporto conflittuale con i genitori dei nipoti, il 58,6% dichiara di avere un rapporto molto cooperativo ma solo il 57,4% dichiara di sentire la piena libertà di agire con i propri nipoti, Dozza L., Frabboni F., Lo sguardo dei nonni. Ritratti generazionali, Franco Angeli, 2013. Si veda anche Cigoli V., Psicologia della separazione e del divorzio, Il Mulino, Bologna, 1998.

[7] Nella sentenza del 19 novembre 2009, il Tribunale per i Minorenni di Lecce, disponeva l’affidamento di due minori ai nonni paterni perché “da sempre coinvolti nel percorso di crescita delle bambine con un atteggiamento di equidistanza e di obiettivo riconoscimento delle carenze, tanto della nuora che del proprio figlio, pur nella salvaguardia del loro ruolo affettivo nella vita delle figlie, possono rappresentare un importante punto di riferimento per queste ultime”.

[8] La modifica è prevista dall’art. 42 del decreto legislativo n.154 del 28 dicembre 2013.

[9] Si veda Cassazione 14 febbraio 1981, n.1115, in Giustizia Civile, 1982, I, p.748 con nota di Dogliotti. Nella sentenza in questione, la Corte ritiene sufficiente a giustificare l’ intervento del giudice ex art. 333 c.c. la potenziale dannosità del divieto del genitore, senza, cioè, che sia necessario fornire anche la prova di quel danno.

[10] Cassazione, sentenza del 25 settembre 1998, n. 9606.

[11] Sul punto si veda Putti P.M., Il diritto di visita degli avi: un sistema di relazioni affettive che cambia, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2002, p. 900.

Si veda, inoltre, Cass. Civ., sez.I, sentenza 10126 del 14 maggio 2005, la quale stabiliva che la figura della nonna, seppure anziana, esclude lo stato di abbandono del minore. In tale occasione la Suprema Corte precisa che al fine di accertare l’ adottabilità, è necessario un accertamento in positivo circa il fatto che l’ inidoneità educativa di genitori e parenti abbia determinato o possa provocare danni gravi ed irreversibili all’equilibrio del minore.

[12] Così si esprimeva la Cassazione nella sentenza 10126 del 14 maggio 2005. Nello stesso senso, si veda Cassazione 4568/1999.

[13] Lo stesso legislatore, pur avendone occasione, con la redazione della l.54/2006, sia in riferimento all’art. 155 c.c, che invece prevedeva solo il “diritto” del nipote, sia in riferimento all’art. 709 ter c.p.c., che prevedeva che anche per la violazione delle disposizioni riguardanti la frequentazione con gli avi il giudice potesse disporre il risarcimento del danno a carico di un genitore e a favore dell’altro oppure a favore del minore senza, tuttavia, prevederlo a favore dell’avo direttamente leso, non aveva affermato un diritto specifico in capo all’ascendente del genitore. A sostegno della tesi dell’esclusione di un autonomo diritto degli avi, è, anche, la lettura di diverse disposizioni codicistiche che, pur attribuendo loro un ruolo in relazione alla posizione del minore, lo inquadrano come limitato e sussidiario, posto esclusivamente in modo funzionale all’interesse del minore; a differenza dei genitori che vedono riconosciuta una posizione di diritto-dovere.

[14] Modifica operata dall’art. 96 lett. C) del decreto lgs.154/13.

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