Rapporti tra fattispecie di cui all’art. 178 cod.civ. e beni personali di cui all’art. 179 lettera f)

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Premessa

Il legislatore con la riforma del diritto di famiglia posta in essere con la legge 151 /1975 ha rivisitato l’istituto della comunione dei beni tra coniugi, portandolo ad essere il regime patrimoniale  legale[1] della famiglia, salvo diversa loro convenzione. Detto istituto, nonostante oramai siano passati anni dalla sua riforma, rimane fonte di spunti e riflessioni per l’interprete che si confronta con esso.

Detto ciò, con il presente contributo si intende indagare circa i rapporti intercorrenti tra la fattispecie di cui all’art.178 cod. civ. ed i beni personali di cui all’art. 179 lettera f). In altre parole, si intende fornire delucidazioni di cosa accada nell’ipotesi in cui, nel regime di comunione legale, si costituiscano aziende dopo il matrimonio, o vi siano incrementi di esse, qualora siano stati acquistati con il prezzo del trasferimento di beni personali di cui all’art 179 o con il loro scambio.

Ci si intende chiedere se la fattispecie sopra descritta comporti l’applicazione del regime della comunione de residuo di cui all’art 178 c.c. o quello della personalità dell’acquisto dei beni, ai sensi dell’art 179 lettera f).

La ricostruzione nell’uno o nell’altro senso è gravida di conseguenze, essendo nel primo caso non necessario ed anzi ultroneo l’intervento del coniuge non acquirente, mentre nell’altro caso, ai fini della configurabilità dell’acquisto personale, sarà necessaria l’osservanza dei crismi formali dell’art. 179 ovverosia delle dichiarazioni dei coniugi ivi indicate.

L’analisi procederà come segue: anzitutto si tracceranno i principi generali posti a presidio della disciplina della comunione legale alla luce della riforma del 1975, dopo di chè si analizzeranno le soluzioni ermeneutiche prospettabili riguardo il caso in esame. Fatto ciò, si valuteranno le conseguenze nel seguire l’una piuttosto che l’altra ricostruzione.

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Principi generali

Nell’ambito del regime patrimoniale dei beni tra coniugi, principio che permea la materia è quella del favor communionis.”

Anzitutto il legislatore ha ribaltato il precedente rapporto che c’era tra comunione e separazione dei beni, rendendo il primo quale regime legale dei coniugi in mancanza di loro scelta espressa.

L a ratio della riforma muove da un’esigenza evidente di conferire parità di trattamento nell’ambito del rapporto coniugale[2], cancellando ogni tipo di subalternità sia di natura economica piuttosto che sociale, in conformità al dettato dell’articolo 29 della Carta Costituzionale.

Il principio del favor communionis ha anche una declinazione pratica, nel senso che le varie ipotesi di acquisto compiute separatamente dai coniugi, ove non rientranti nei casi disciplinati dagli articoli 177 e seguenti, debbono essere intesi nel senso di ricadere nell’ambito della comunione dei beni.

Di detto principio la giurisprudenza[3] ha  fatto più volte applicazione per esempio nell’ipotesi di acquisito di un bene a titolo originario per usucapione o per accessione, qualora (si badi bene) la stessa avvenga su di un fondo in regime comunistico tra i coniugi.

Detto altrimenti, La ratio sottesa alla norma codicistica, secondo l’indirizzo ormai pacificamente accolto da dottrina e giurisprudenza, è quella di consentire al coniuge in regime di comunione legale di profittare di qualsiasi tipo di acquisto effettuato dall’altro, in linea con la visione solidaristica degli interessi economici della famiglia, non rilevando se trattasi di acquisti a titolo originario o derivativo,

Viceversa, le ipotesi di personalità dei beni ex art 179 c.c. resterebbero eccezionali, e ciascuna di esse sarebbe giustificata ora da un tipo di esigenza piuttosto che da un’altra.

Si può portare l’esempio dell’acquisto personale ai sensi della lettera a) di detto articolo, ove i beni che il coniuge possedeva prima del matrimonio non cadono nel regime comunistico in ossequio la principio di autodeterminazione dei coniugi; piuttosto che l’ipotesi di cui alla lettera b) la quale muove da un’evidente esigenza di sottrarre beni di valore morale affettivo elevato, posta la loro origine donativa o successoria.

Tuttavia, non si può tacere come la giurisprudenza e la dottrina non hanno portato alle estreme conseguenze detto principio, il quale altrimenti sarebbe stato strumento di iniquità, nonché di incoerenze logiche e giuridiche.

Si può riportare a titolo di esempio la fattispecie di acquisto per accessione della costruzione fatta su terreno di proprietà esclusiva di un coniuge, la quale rimane anche essa di esclusiva proprietà del titolare del fondo[4].

Detto ciò, occorre ora analizzare l’ipotesi di cui in premessa.

 

Soluzioni prospettabili

Alla luce di quanto detto sopra, una prima soluzione prospettabile potrebbe essere quella di ritenere che, qualora il coniuge, manente communione, acquisti un’azienda o incrementi un’azienda precedentemente costituita al matrimonio, con il prezzo del trasferimento o lo scambio dei beni personali di cui all’articolo 179 c.c., detto acquisto cada nel regime di cui all’articolo 178 c.c., e ciò per varie ragioni.

Anzitutto per il sopra analizzato principio secondo il quale si intende favorire una caduta degli acquisti nel regime comunistico, sia pure esso quello della comunione de residuo come nel caso in esame.

Altra argomentazione sarebbe il dettato letterale di cui all’articolo 178 c.c., il quale, nella sua apoditticità, non sembra contemplare eccezioni, le quali se volute sarebbero state espressamente indicate dal legislatore (“Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”).

Altra soluzione prospettabile, che a parere dello scrivente è da accogliere, è quella di considerare la fattispecie in esame sottratta dal regime di cui all’articolo 178 c.c., e che anzi il bene sia da considerare personale ai sensi dell’articolo 179, e ciò per le seguenti considerazioni.

In primo luogo, sebbene il principio del favor communionis sia sotteso al regime patrimoniale comunistico, è anche vero che esso deve confrontarsi, come ricordato, ad esigenze di coerenza logico- giuridica e sistematica. In altre parole, non sarebbero da accogliere soluzioni che comporterebbero incongruenze giuridiche tra fattispecie analoghe. Ed il caso in esame non sarebbe scevro di tali conseguenze, qualora si accolga la tesi della caduta in comunione. Infatti, si pensi al seguente esempio: qualora un’azienda venga acquisita dopo il matrimonio, ma tramite donazione o a titolo ereditario, non ci sarebbero dubbi ritenere il detto acquisto ricadente nell’ambito di applicazione dell’articolo 179 c.c. (e, specificatamente, nella lettera b)).

Sulla base di questo paragone, sarebbe illogico ritenere che l’azienda acquisita con lo scambio di beni personali o con il prezzo derivante dal loro trasferimento cada in comunione de residuo. Piuttosto si deve concludere, per esigenze di logica giuridica, che anche qualora si scambi un bene ereditario (o il prezzo del suo trasferimento) con un’azienda, detto acquisto ricada nell’ambito applicativo dell’articolo 179 lettera f)[5].

Anche la soluzione letterale è facilmente superabile dal collocamento topografico dell’art. 178 c.c., il quale, essendo precedente all’elencazione dei beni personali di cui all’articolo 179 c.c., si pone in un rapporto di regola/eccezione, al pari dell’articolo 177 e 179.

Conseguenze operative

Aderendo alla soluzione interpretativa che si è ritenuta preferibile, si deve ritenere che il coniuge non acquirente, nel caso in esame, debba intervenire nell’atto di acquisto e rendere la dichiarazione di cui all’articolo 179 c.c. secondo comma. Inoltre, nell’ atto di acquisto devono risultare espressamente le condizioni di cui all’articolo 179 lettera f).

In mancanza di tale dichiarazione, le conseguenze sarebbero l’inevitabile caduta del bene in comunione legale (potendosi chiedere se in tale ipotesi patologica si applichi la disciplina della comunione de residuo ex art 178 cc, piuttosto che la generale regola di cui all’art 177 della comunione legale piena)

Aderendo alla teoria della generale applicabilità dell’articolo 178 c.c., invece, l’atto di acquisto dell’azienda non sarebbe sottoposto a particolari crismi formali e l’azienda cadrebbe nella comunione de residuo ivi disciplinata.

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Note

[1] Genghini, Volontaria giurisdizione e regime patrimoniale della famiglia, Padova, Cedam, 2010, p. 328

[2] Genghini, cit., p.328

[3] Cass. n. 19984/2008; Cass. n. 14347/2000; Cass. n. 2983/1991.

[4] Cass. n.6020/2014, Cass. S.U. 651/1996 Secondo la Cassazione, infatti, qualora per assurdo l’immobile costruito sul suolo di proprietà di uno solo dei coniugi (ma con il danaro di entrambi) cadesse in comunione legale, si verificherebbe la coesistenza del diritto di proprietà esclusiva del singolo coniuge sul suolo con la comunione di entrambi i coniugi sulla costruzione realizzata.
Circostanza quest’ultima molto difficile da ipotizzare soprattutto ove si consideri che il diritto di “superficie” può nascere esclusivamente da una manifestazione di volontà del proprietario del suolo.

[5] In dottrina, per la tesi della personalità dell’azienda ex 179 lettera f) in tali casi si veda Russo, L’oggetto della comunione legale e i beni personali, in Commentario Schlesinger, Milano, Giuffrè, 1999, p. 117, secondo il quale i beni destinati all’esercizio dell’impresa oggetto della comunione legale differita ai sensi dell’art 178 sono solo quelli acquistati dal coniuge imprenditore con denaro personale. Quelli acquistati con denaro personalissimo sono invece insensibili alla comunione legale differita.uQ

Jacopo Lucarelli

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