Rapporti tra privacy e giornalismo: la tutela dei dati sensibili

Sommario:
1.   Profili generali.
2.   Esonero dagli adempimenti-privacy per l’attività giornalistica.
3. Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica
3.1. Limiti al diritto di cronaca: essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico.
3.2. Personaggi noti.
3.3. Tutela dei dati sensibili nell’esercizio della professione giornalistica.
3.3.1. Dati relativi alla salute.
3.3.2. Dati relativi alla sfera sessuale.
3.3.3. Dati sensibili relativi ai personaggi noti.
4. Conclusioni.
 
 
 
1. Profili generali.
 
La libertà di informazione è un diritto costituzionalmente garantito.
Ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione, “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
La tutela normativa della manifestazione del pensiero si estende non solo alla libertà di informare ma anche alla libertà di essere informati.
D’altra parte, la libertà di espressione è sottoposta a limiti volti alla salvaguardia di altri diritti inviolabili, quali la riservatezza, l’identità personale e la protezione dei dati personali.
L’ordinamento giuridico tutela, al pari del diritto di cronaca, la dignità ed il decoro delle persone, riconoscendoli e garantendoli come diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità[1].
In questo contesto, si inserisce il diritto alla protezione dei dati personali, considerato un diritto autonomo rispetto a quello alla riservatezza[2].
In particolare, la protezione dei dati personali garantisce a chiunque la tutela delle informazioni che lo riguardano e assicura che il loro trattamento, da parte dei soggetti titolari, si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dell’individuo[3].
I dati personali oggetto di tutela possono anche essere pubblici ma, al fine di evitare eventuali accostamenti pregiudizievoli, devono essere comunque trattati con liceità e correttezza[4]. La riservatezza, diversamente, definisce la soglia a partire dalla quale la vita di ogni persona è libera dall’ingerenza altrui e può essere derogata solo in casi espressamente previsti dalla legge[5].
La protezione dei dati personali non rappresenta comunque un limite alla libertà di informazione ed è improprio considerarla tale. Essa ne stabilisce i confini e non ne rappresenta una limitazione[6].
Le principali regole cui devono attenersi i giornalisti nella loro professione sono la verità dei fatti, l’essenzialità dell’informazione e l’interesse pubblico alla notizia.
Allo stesso tempo, l’attività giornalistica è vista dal legislatore con un certo favore, tanto da prevedere delle deroghe alla disciplina generale sulla privacy a beneficio di coloro che trattano i dati per scopi informativi. E’ riconosciuto, quindi, al giornalista un particolare “status”, che lo esonera da tutta una serie di adempimenti che renderebbero di fatto difficile, se non impossibile, l’esercizio della professione[7].
 
2. Esonero dagli adempimenti-privacy per l’attività giornalistica.
 
Il regime derogatorio e speciale per l’esercizio dell’attività di informazione è previsto dal Titolo XII del Codice della privacy, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, che regola le attività svolte per “finalità giornalistiche e altre manifestazioni del pensiero”.
In linea generale, il Codice in materia di protezione dei dati personali prevede una serie di adempimenti a carico del titolare del trattamento dei dati e a tutela dei soggetti cui si riferiscono i dati medesimi. Il trattamento effettuato con finalità giornalistiche è caratterizzato, invece, da una disciplina semplificata.
Si segnala, innanzitutto, che i destinatari delle disposizioni di legge stabilite dal Titolo XII in esame sono, non solo i giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti, ma in generale anche tutti coloro che compiono “un trattamento temporaneo di dati finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero”[8]. Ciò che rileva, pertanto, non è tanto la qualifica di chi fa informazione ma l’attività giornalistica in sé.
Le disposizioni del Titolo XII del d.lgs. 196/2003 prevedono che ai trattamenti svolti per finalità giornalistiche non si applicano le disposizioni del Codice della privacy che richiedono:
1)      la necessaria autorizzazione del Garante prevista per il trattamento di dati sensibili (art. 26 del Codice della privacy)[9];
2)      le garanzie particolari, quali l’autorizzazione di legge o del Garante, previste per il trattamento di dati giudiziari (art. 27 del Codice della privacy)[10];
3)      i casi particolari in cui è consentito il trasferimento dei dati all’estero[11].
Il trattamento dei dati suddetto è effettuato anche senza il consenso dell’interessato, richiesto dagli articoli 23 e 26 del Codice della privacy[12]. In tal senso, la Cassazione ha confermato le citate deroghe alla disciplina generale sulla privacy a favore dell’attività giornalistica[13].
L’art. 138 del Codice della privacy pone, inoltre, un limite alla tutela del soggetto cui i dati personali si riferiscono, nel caso in cui questi intenda conoscere dall’editore (titolare del trattamento) l’origine dei suoi dati, che costituisce la c.d. fonte della notizia[14]. In tale ipotesi prevalgono, infatti, le disposizioni in tema di segreto sulle fonti che chiedano di rimanere riservate[15].
Anche il Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, di cui si tratterà in seguito, prevede disposizioni speciali per l’esercizio della professione giornalistica, enunciando, innanzitutto, le peculiarità del diritto di cronaca che giustificano le deroghe appena citate[16].
Con riguardo all’informativa ex art. 13 del Codice della privacy, cui è tenuto in generale il titolare del trattamento dei dati nei confronti degli interessati, l’art. 2 del Codice deontologico stabilisce che il giornalista, nel raccogliere le notizie, rende note la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta “salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa”[17].
Inoltre, fatta palese tale attività, il giornalista non è tenuto a fornire gli altri elementi dell’informativa suddetta, mentre può conservare i dati raccolti, per tutto il tempo necessario al perseguimento delle finalità proprie della sua professione[18].
L’art. 12 del Codice deontologico tutela, altresì, il diritto di cronaca in ordine alla possibilità per il giornalista di trattare dati idonei a rivelare provvedimenti del casellario giudiziale, come le sentenze di condanna, le sentenze di proscioglimento, l’applicazione di pene accessorie etc. In particolare, per l’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria non è richiesto che una espressa disposizione di legge o un provvedimento del Garante specifichino le rilevanti finalità di interesse pubblico del trattamento di dati giudiziari, i tipi di dati trattati e le precise operazioni autorizzate[19].
 
3.Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica.
 
La disciplina sulla privacy prevede, oltre ad un regime di favore, anche dei limiti peculiari per le attività aventi finalità giornalistiche, che tengono conto delle caratteristiche e delle peculiarità dell’attività di informazione.
L’art. 137 comma III del Codice in materia di protezione dei dati personali chiarisce, infatti, che,in caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità di giornalismo, restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti della persona e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico[20].
Ciò significa che il giornalista può divulgare solo i dati che risultino indispensabili per informare la collettività su accadimenti di interesse collettivo.
Quanto ai limiti del diritto di cronaca, si richiama in primo luogo la giurisprudenza concernente la diffamazione a mezzo stampa. I caratteri della notizia, che garantiscono al giornalista di non incorrere nelle sanzioni penali e civili previste per l’offesa della reputazione altrui, sono, in particolare, la verità, l’interesse pubblico e la correttezza formale[21].
Con legge n. 675/1996, trasfusa poi nel d.lgs. n. 196/2003, il Garante della privacy ha promosso l’adozione da parte del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti di un Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica[22].
Le disposizioni del suddetto Codice sono volte a contemperare i diritti fondamentali della persona con il diritto dei cittadini all’informazione e alla libertà di stampa, stabilendo le regole di esercizio della professione giornalistica nel rispetto della dignità e della riservatezza delle persone.
Esso si rivolge non solo agli iscritti all’albo dell’Ordine dei giornalisti, ma anche a chiunque altro, occasionalmente o non, eserciti attività pubblicistica (art. 13 Codice deontologico).
Il rispetto delle disposizioni contenute nel Codice deontologico costituisce condizione essenziale per la liceità e correttezza del trattamento dei dati personali e, “in caso di violazione delle sue prescrizioni, il Garante può vietare il trattamento ai sensi dell’articolo 143, comma 1, lettera c) del Codice” (art. 139, comma V, d.lgs. n. 196/2003)[23]. Ciò significa che il Garante può disporre il blocco o vietare il trattamento dei dati e, in caso di inosservanza del provvedimento del Garante, il titolare del trattamento medesimo può incorrere in una sanzione penale[24].
Sempre in caso di violazione delle norme del Codice deontologico, l’Ordine dei giornalisti può avviare, dal canto suo, procedimenti disciplinari nei confronti degli iscritti.
L’art. 2 della legge n. 69/1963 sancisce, infatti, che la libertà d’informazione e di critica è un diritto insopprimibile dei giornalisti, limitato tuttavia dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui[25].
Le sanzioni disciplinari, previste dalla legge n. 69/1963, si applicano però solo ai soggetti iscritti all’albo dei giornalisti e mai a coloro che esercitino occasionalmente attività pubblicistica, ai quali comunque si rivolge il Codice di deontologia in esame.
Pertanto, colui che, esercitando occasionalmente un’attività pubblicistica, leda un diritto altrui in violazione delle disposizioni del Codice deontologico suddetto è soggetto esclusivamente all’intervento del Garante e non a quello dell’Ordine. L’adozione di provvedimenti disciplinari è, infatti, espressione del potere di vigilanza dell’Ordine dei giornalisti sulla condotta e sul decoro dei propri iscritti[26].
 
3.1. Limiti al diritto di cronaca: essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico.
 
L’art. 137 del Codice della privacy (d.lgs. 196/2003) indica, come si è detto, i limiti generali all’attività giornalistica: l’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico.
Il Codice deontologico stabilisce, in particolare, che il giornalista, nel raccogliere dati sensibili delle persone, è tenuto a garantire il diritto all’informazione su fatti di interesse pubblico e nel rispetto dell’essenzialità dell’informazione, evitando riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti, a meno che non si tratti di dati riguardanti circostanza o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico (art. 5)[27].
Ai sensi dell’art. 6 del Codice deontologico, “la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti”.
La sfera privata delle persone note deve essere, comunque, rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica[28].
Il principio di essenzialità dell’informazione è violato quando il giornalista divulga dati sovrabbondanti rispetto al fatto di cronaca in sè, quali ad esempio l’anno di nascita, il luogo di residenza, la composizione del nucleo familiare, la professione del coniuge della vittima[29].
L’interesse pubblico alla notizia è affievolito in caso di notizie non attuali, prevalendo in queste ipotesi il c.d. diritto all’oblio. Se ad esempio i fatti sono accaduti molto tempo prima, il giornalista, che intende pubblicarli di nuovo, deve garantire il diritto all’oblioe all’identità personale della persona cui si riferiscono i fatti. E’ necessario, in tal caso, tener conto del diritto dell’interessato a vedere rispettata la propria attuale dimensione sociale e affettiva, che può essere molto diversa rispetto al momento dei fatti[30].
 
3.2. Personaggi noti.
 
Rispetto alle persone note o che esercitano funzioni pubbliche, il giornalista dispone di più ampi margini di discrezionalità nella diffusione di informazioni personali loro riguardanti, ove queste assumano rilievo in base al ruolo o al carattere pubblico dell’attività dei soggetti[31].
Tuttavia, l’art. 6 del Codice deontologico stabilisce che anche la sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata “se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica”, a maggior ragione se attinenti alla salute o alle abitudini sessuali [32].
Anche con riguardo ai personaggi noti, la stampa e i media devono, quindi, rispettare la loro dignità e la loro sfera più intima, astenendosi dal diffondere dettagli non indispensabili ed evitando spettacolarizzazioni di vicende drammatiche della loro vita. E’ da ritenere, pertanto, illecita e vietata la pubblicazione di alcuni dettagli ritenuti eccedenti ed idonei a rivelare, ad esempio, le possibili abitudini sessuali dell’interessato[33].
Il rilievo pubblico di una persona non può, altresì, affievolire la tutela riconosciuta a congiunti e, in particolare, ai minori[34].
Il Consiglio d’Europa ha ricordato che i media devono evitare di diffondere informazioni sulla vita privata e familiare dei politici e dei rappresentanti delle istituzioni, a meno che queste siano direttamente connesse alla condotta tenuta dal politico o dal rappresentante in questione[35].
La pubblicazione di dati riferiti a persone note, è disciplinata anche dalla legge sul diritto d’autore (legge n. 633/1941), che, all’art. 97, sancisce: “non occorre il consenso della persona ritratta quando la riproduzione dell’immagine è giustificata della notorietà o dall’ufficio pubblico coperto”.
Il Garante della privacy ha sostenuto, infine, che, quando le informazioni o le immagini relative a fatti privati di persone note sono stati raccolti in modo illegale o con artifici, è necessario che gli operatori nel settore dell’informazione evitino che il legittimo esercizio del diritto di cronaca arrechi pregiudizio a persone che sono innanzitutto vittime di estorsioni[36].
 
3.3. Tutela dei dati sensibili nell’esercizio della professione giornalistica
 
Il Codice della privacy ed il Codice deontologico in esame stabiliscono garanzie particolari per la tutela dei dati sensibili, che sono i dati in grado di rivelare, tra l’altro, lo stato di salute e la vita sessuale delle persone.
La ragione della loro più penetrante tutela risiede nella particolare natura che li rende suscettibili di essere utilizzati a fini discriminatori[37]. E’ questo il caso dei dati relativi a malattie, orientamento sessuale, origini razziali o etniche[38].
 
3.3.1. Dati relativi alla salute.
 
Il Codice deontologico stabilisce, in particolare, che il giornalista, nel far riferimento allo stato di salute di una determinata persona, identificata o identificabile, ne rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza e al decoro personale, specie nei casi di malattie gravi o terminali, e si astiene dal pubblicare dati analitici di interesse strettamente clinico (art. 10 Codice deontologico).
In questi casi, secondo la giurisprudenza, la regola di condotta generale è quella di garantire l’anonimato della persona cui i dati sanitari si riferiscono, così da informare la collettività su fatti di interesse pubblico salvaguardando, altresì, la dignità del malato.
Non si ritiene sussistente alcun illecito, qualora i fatti siano riferiti in modo completo per una corretta informazione del pubblico e, tuttavia, non siano riconducibili all’interessato per avere il cronista provveduto a modificare il cognome dell’interessato sì da non renderlo riconoscibile[39].
Si precisa, altresì, che la circostanza che l’illecita pubblicazione trova origine in notizie diramate da talune agenzie di stampa, che non hanno omesso di indicare le generalità dell’interessato, non esime le altre testate giornalistiche dal dovere di garantire l’anonimato dell’interessato[40].
L’effettivo anonimato non è garantito se il soggetto è comunque individuabile. La diffusione di informazioni concernenti lo stato di salute di una persona, indicata mediante le generalità o altri riferimenti idonei a renderla agevolmente identificabile, rappresenta nella sostanza una violazione del Codice di deontologia per l’attività giornalistica[41].
L’Ufficio del Garante ha, inoltre, più volte evidenziato che il diritto di cronaca, qualora coinvolga aspetti sensibili della vita delle persone e, in particolare, dati di carattere sanitario, non può prescindere dal rispetto di alcuni principi quali il dovere di raccogliere e utilizzare i dati correttamente, con trasparenza e lealtà, per scopi espliciti e secondo un criterio di proporzionalità rispetto ai fini perseguiti[42].
I diritti e la dignità delle persone disabili sono richiamati da un altro documento deontologico posto a tutela del decoro e dell’etica professionale, la Carta dei doveri del giornalista[43]handicap, come sancisce il suddetto documento, sono tutelatiin analogia con quanto già sancito per i minori dalla Carta di Treviso[44].. I portatori di
Tale Carta impone al giornalista di usare il massimo rispetto anche nei confronti dei soggetti di cronaca che per ragioni sociali, economiche o culturali hanno minori strumenti di autotutela. In tal senso, il Garante per la protezione dei dati personali ha vietato ad un’emittente televisiva di diffondere alcune immagini che mostravano un soggetto “senza fissa dimora” in un evidente stato di difficoltà fisica e psichica, ritenendole lesive della sua dignità, oltre che raccolte in violazione dei principi di correttezza e di trasparenza[45].
 
3.3.2. Dati relativi alla sfera sessuale.
 
Le informazioni relative alla sfera sessuale della persona godono anch’esse di una particolare protezione. Il giornalista deve astenersi dalla descrizione di abitudini sessuali riferite ad una determinata persona, identificata o identificabile.
Nel riferire fatti di cronaca collegati ad abitudini o orientamenti sessuali di una persona, il giornalista è tenuto quindi a tutelare l’interessato, non solamente mediante l’omissione delle sue generalità, ma anche evitando di divulgare elementi che consentono una sua identificazione anche solo nella cerchia ristretta di familiari e conoscenti. Ciò, in ragione del fatto che le informazioni diffuse possono rivelare aspetti della vita dell’interessato medesimo, eventualmente non noti alla suddetta cerchia di persone[46].
 
3.3.3. Dati sensibili relativi a personaggi noti.
 
In ordine alle persone che rivestono una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica, è prevista una maggiore elasticità per i mass-media con riguardo ai dati concernenti il loro stato di salute e la loro sfera sessuale.
In questi casi, infatti, la relativa pubblicazione è ammessa, ma pur sempre nell’ambito del perseguimento dell’essenzialità dell’informazione e nel rispetto della dignità della persona (artt. 10 e 11 Codice deontologico).
Il Garante sostiene, quindi, che margini più ampi per la diffusione di dati relativi allo stato di salute o alle abitudini sessuali possono essere previsti con riferimento a persone note, ma solo quando l’informazione possa assumere rilievo sul loro ruolo e sulla loro vita pubblica e non vengano diffusi precisi dettagli. In tal senso, potrà essere rilevante, ad esempio, l’informazione relativa alla malattia che ha colpito un uomo politico o altra personalità di rilievo pubblico ove ciò sia necessario al fine di informare il pubblico sulla possibilità che ha lo stesso uomo di continuare a svolgere il proprio incarico[47].
 
4. Conclusioni
 
Il Codice della privacy ed il Codice deontologico attribuiscono, in definitiva, ai giornalisti la responsabilità – che è anche la condizione stessa alla quale viene riconosciuto loro il pieno e libero esercizio del diritto di cronaca – di valutare concretamente quando ricorrano i presupposti per il legittimo e corretto esercizio di tale diritto[48].
Tale operazione, tuttavia, non è sempre così semplice ed immediata, rappresentando ogni caso un caso a sé, ricco di peculiarità e di problemi applicativi.
Al giornalista è richiesta quindi esperienza, professionalità e conoscenza della normativa sulla privacy, per poter individuare i confini ed i limiti da tener presente per un’informazione corretta e rispettosa dei diritti della persona.
Non si può trascurare, d’altro canto, che molti aspetti dell’attività giornalistica sono affidate in sostanza alla coscienza e all’etica del singolo professionista, il quale è tenuto ad agire seguendo linee non sempre ben demarcate dall’ordinamento giuridico e che caratterizzano la libertà e l’indipendenza di una professione, quale è quella giornalistica, cui è affidato un costante bilanciamento degli interessi in gioco da effettuarsi ogni volta che si fa informazione.
Allo stesso tempo, le regole dettate dal Codice della privacy e dal Codice deontologico pongono una preoccupazione altrettanto rilevante per l’esercizio della professione giornalistica.
Il rischio che si corre è che, per evitare di sottoporsi alle diverse sanzioni previste per le violazioni della privacy, la collettività non venga informata neanche su ciò che potrebbe essere legittimamente divulgato.
L’affermarsi della disciplina e della cultura della privacy ha indotto, infatti, molti soggetti pubblici e privati a non fornire più ai giornalisti informazioni che in passato erano comunicate senza problemi, invocando arbitrariamente la normativa sulla privacy.
Gli stessi giornalisti si trovano spesso in difficoltà nel divulgare dati personali e sensibili di persone coinvolte in fatti di cronaca.
Ciò crea un ostacolo artificioso al libero esercizio della professione giornalistica e al diritto dei cittadini di essere informati, che rischia di portare ad una vera e propria censura o, peggio ancora, ad una auto-censura.
 
 
Valeria Falcone
 
 


[1] La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali 4 novembre 1950 sancisce, all’art. 8, che “Ogni persona ha il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”.
 
[2] La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea 7 dicembre 2000 riconosce, all’art. 8, l’autonomia del diritto alla protezione dei dati personali rispetto agli altri diritti fondamentali della persona, stabilendo che: “Ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente.” Ancor prima, il Consiglio d’Europa promulgava la Convenzione internazionale di Strasburgo n. 108 del 28 gennaio 1981 con riferimento al trattamento automatizzato di dati personali. Dal momento che la Convenzione del 1981 costituisce il primo atto internazionale a carattere vincolante sul tema, essa segna una pietra miliare in ordine alla regolamentazione dell’utilizzo dei dati personali. In attuazione delle direttive comunitarie 1995/46/CE e 2002/58/CE, anche l’ordinamento giuridico italiano, prima con la legge n. 675/1996 ora con il d.lgs. n. 196/2003, disciplina la materia. In particolare, nel 1996 è stato istituito il Garante per la protezione dei dati personali e sono stati fissati i principi-guida della materia.
 
[3] Per dato personale si intende “qualsiasi informazione relativa a persona fisica, giuridica, ente o associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”. E’ quindi ricompreso in questa definizione, come ha più volte affermato il Garante nelle proprie decisioni, anche il materiale fotografico, nonché tutte quelle informazioni che permettono di risalire indirettamente all’identità di un soggetto. Per trattamento si intende, invece, qualunque operazione concernente la raccolta, la registrazione, la conservazione o la diffusione di dati. Costituisce, pertanto, trattamento di dati personali anche la semplice divulgazione di un servizio giornalistico, contenente informazioni su una determinata persona. Il d.lgs. n. 196/2003 individua, inoltre, le figure del “titolare”, del “responsabile” e dell’“incaricato” del trattamento. Nell’ipotesi di trattamento in ambito giornalistico, il titolare è l’editore, il responsabile è colui che può esser designato tale dall’editore, mentre l’incaricato del trattamento è il giornalista autore dell’articolo o del servizio giornalistico.
 
[4] Ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 196/2003, i dati personali devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza, devono essere esatti e aggiornati, pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati e devono essere conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati. I dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali, secondo il Codice della privacy, non possono essere utilizzati.
 
[5] Il diritto alla riservatezza cessa con la divulgazione dei fatti da parte della persona, ovvero con il consenso di quest’ultima. In particolare, in relazione a dati riguardanti circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico, è fatto salvo il diritto di addurre successivamente motivi legittimi meritevoli di tutela. Secondo la visione di Stefano Rodotà, “L’intimità dovrebbe designare un modo d’essere del vivere che non è solitudine, né semplice riservatezza, non un allontanamento, non un’opacità della vita, ma la possibilità di coglierla nella sua interezza, fuori d’ogni controllo o interferenza” (S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, 2006). Cfr. anche Imperiali Riccardo e Imperiali Rosario, Codice della privacy – Commento alla normativa sulla protezione dei dati personali, Il Sole 24 Ore, 2005.
 
[6] “Il diritto alla privacy non vieta la divulgazione di materie che siano di pubblico o generale interesse. E’ l’invasione indebita della privacy dell’individuo ad essere punita, ed è questa invasione che deve essere impedita per quanto possibile” (Samuel D. Warren e Louis D. Brandeis, The right to privacy, ed. Garante per la protezione dei dati personali, 12/2005). “Tra libertà di informazione e tutela della privacy c’è un costante rapporto dialettico, una continua tensione, che può talvolta sfociare in un vero e proprio conflitto. Da una parte sta il diritto fondamentale all’informazione, dall’altra stanno i diritti della personalità – riservatezza, intimità, identità, dignità – diritti e valori che l’informazione è di per sé in grado di ferire. Questi diritti vanno resi compatibili con una costante ricerca di bilanciamento, di equilibrio” (Comunicato stampa Garante 14/03/2006 in www.garanteprivacy.it). 
 
[7] Parpaglioni Mara, Giornalismo e privacy: Il diritto-dovere di cronaca e il rispetto della dignità delle persone, in www.cronistilombardi.it, 09/2002.
 
[8] L’art. 136 del Codice della privacy sancisce, infatti, che: “Le disposizioni del presente titolo si applicano al trattamento: a) effettuato nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità; b) effettuato dai soggetti iscritti nell’elenco dei pubblicisti o nel registro dei praticanti di cui agli articoli 26 e 33 della legge 3 febbraio 1963, n. 69; c) temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero anche nell’espressione artistica”.
 
[9] Sono dati sensibili i dati idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale delle persone (art. 4 lett. d) del Codice della privacy).
 
[10] Sono dati giudiziari i dati personali idonei a rivelare provvedimenti in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato di una persona (art. 4 lett. e) del Codice della privacy).
 
[11] Tali casi sono previsti dagli articoli 42-45 del Codice della privacy cui si rinvia.
 
[12] Con riguardo ai dati personali, l’art. 23 del d.lgs. n. 196/2003 stabilisce che il loro trattamento da parte di privati è ammesso solo con il consenso espresso dell’interessato, mentre, con riferimento ai dati sensibili, il successivo art. 26 stabilisce che essi possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante, nell’osservanza dei presupposti e dei limiti stabiliti dal presente codice, nonché dalla legge e dai regolamenti.
 
[13] Cassazione civile, sez. I, 25 giugno 2004, n. 11864 in Giust. civ. 2005, f. 11, I, 2731;Tribunale Milano, 25 novembre 2004 in Giustizia a Milano 2004, 79.
 
[14] L’art. 138 del Codice prevede che “In caso di richiesta dell’interessato di conoscere l’origine dei dati personali ai sensi dell’articolo 7, comma 2, lettera a), restano ferme le norme sul segreto professionale degli esercenti la professione di giornalista, limitatamente alla fonte della notizia”. In generale, l’art. 7 del Codice sancisce che “I. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile. II. L’interessato ha diritto di ottenere l’indicazione: a)dell’origine dei dati personali; b) delle finalità e modalità del trattamento; c) della logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;d) degli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato; e) dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati. III. L’interessato ha diritto di ottenere: a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati; b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati; c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato. IV. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte: a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta; b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale”.
 
[15] Valeria Falcone, Segreto giornalistico ed esigenze processuali, in www.diritto.it, 11/2007; Franco Abruzzo, Segreto professionale dei giornalisti e perquisizioni nei giornali, in www.odg.mi.it, 12/2004.
 
[16] L’articolo 1 del Codice deontologico sancisce, infatti, che “In forza dell’art. 21 della Costituzione, la professione giornalistica si svolge senza autorizzazioni o censure. In quanto condizione essenziale per l’esercizio del diritto-dovere di cronaca, la raccolta, la registrazione, la conservazione e la diffusione di notizie su eventi e vicende relative a persone, organismi collettivi, istituzioni, costumi, ricerche scientifiche e movimenti di pensiero, attuate nell’ambito dell’attività giornalistica e per gli scopi propri di tale attività, si differenziano nettamente per la loro natura dalla memorizzazione e dal trattamento di dati personali ad opera di banche dati o altri soggetti. Su questi principi trovano fondamento le necessarie deroghe previste dai paragrafi 17 e 37 e dall’art. 9 della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea del 24 ottobre l995 e dalla legge n. 675/96”.
 
[17] Tali principi sono stati ribaditi dal Garante della privacy, che ha accolto i ricorsi di tre imam, ai quali si erano rivolti due giornalisti fingendosi coniugi di fede musulmana alla ricerca di un  consulto religioso. In particolare, il Garante ha ritenuto violato l’obbligo del giornalista di rendere note le finalità di un colloquio, ossia di star raccogliendo informazioni per un servizio giornalistico, essendo stati usati, invece, degli "artifici". In questo caso non ricorreva, secondo l’Autorità, un’ipotesi prevista dal Codice deontologico alla quale si appellava invece la società televisiva  che consente al “giornalista che raccoglie notizie” di non qualificarsi solo nel caso in cui “ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa” (Newsletter Garante 16/10/2007 e Provv.ti Garante 05/07/2007 in www.garanteprivacy.it – doc. web nn. 1435035 e 1436163).
 
[18] L’art. 13 del Codice della privacy prevede, in particolare, al comma I, che “L’interessato o la persona presso la quale sono raccolti i dati personali sono previamente informati oralmente o per iscritto circa: a) le finalità e le modalità del trattamento cui sono destinati i dati; b) la natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati; c) le conseguenze di un eventuale rifiuto di rispondere; d) i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di responsabili o incaricati, e l’ambito di diffusione dei dati medesimi; e) i diritti di cui all’articolo 7 (cfr. nota 18); f) gli estremi identificativi del titolare e, se designati, del rappresentante nel territorio dello Stato … e del responsabile”.
 
[19] Relazione 2005 Garante della privacy, 7 luglio 2006, par. 7.2 in www.garanteprivacy.it
 
[20] Aggiunge l’art. 137 in commento: “Possono essere comunque trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico”.
 
[21] Essi sono frutto dell’attività interpretativa della giurisprudenza e traggono origine dalla famosa pronuncia della Corte di Cassazione 18 ottobre 1984 n. 5259, anche detta “il decalogo del giornalista”. Si richiama, tra tutte, la sentenza dellaCassazione civile, sez. III, n. 6973 del 22 marzo 2007 (www.legge-e-giustizia.it) secondo cui: “ Il diritto di cronaca (e di critica) è la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti, anche lesivi della reputazione, sancito in linea di principio dall’art. 21 Cost. e regolato dalla L. 8 febbraio 1948 n. 47. Esso è considerato legittimamente esercitato dalla ormai consolidata giurisprudenza di legittimità quando ricorrano le seguenti condizioni: a) utilità sociale dell’informazione; b) verità (oggettiva o anche solo putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti, che non è rispettata quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o anche solo colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente collegati ai primi da mutarne completamente il significato; c) forma civile dell’esposizione, cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da perseguire, improntata a serena obiettività, almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui tutti hanno diritto (continenza)”.
 
[22] La circostanza che il Codice deontologico in questione sia stato adottato con decisione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti del 29 luglio 1998, che sia stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (G.U. del 3 agosto 1998, n. 179) e che la legge sulla privacy vi faccia espresso rinvio (art. 139 d.lgs. n. 196/2003), costituendo uno degli allegati al Codice della privacy, gli conferisce una valenza praticamente “normativa” di fonte di secondo grado e comunque superiore a quella dei Codici deontologici in generale, in quanto ritenuto dalla legge un Codice “necessario” (Parpaglioni Mara, Giornalismo e privacy: Il diritto-dovere di cronaca e il rispetto della dignità delle persone, in www.cronistilombardi.it).
 
[23] In generale, il Garante che accerti una violazione della normativa sulla privacy può: a) prescrivere al titolare le misure opportune o necessarie per rendere il trattamento conforme a legge; b) disporre il blocco o vietare, in tutto o in parte, il trattamento che risulta illecito o non corretto anche per effetto della mancata adozione delle misure necessarie di cui sopra, oppure quando, in considerazione della natura dei dati o, comunque, delle modalità del trattamento o degli effetti che esso può determinare, vi è il concreto rischio del verificarsi di un pregiudizio rilevante per uno o più interessati (art. 143 lett.c) d.lgs. 196/2003). Il Codice sulla privacy prevede che chiunque, essendovi tenuto, non osservi il provvedimento adottato dal Garante ai sensi dell’art. 143, comma 1, lettera c), è punito con la reclusione da tre mesi a due anni (art. 170 d.lgs. 196/2003). E’ prevista, infine, un’ipotesi di responsabilità civile per chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali (art. 15 d.lgs. 196/2003 ).
 
[24]Si segnala, inoltre, che il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche e ambientali e pubblicità degli atti di indagine, esaminato ed approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 17 aprile 2007, modifica il comma V dell’art. 139, richiamando, in caso di violazioni delle prescrizioni del codice di deontologia, una nuova ipotesi di violazione amministrativa: “Illeciti per finalità giornalistiche” (art. 164 bis Codice sulla privacy). In applicazione di tale disposizione, il Garante per la protezione dei dati personali, se accerta la violazione, può condannare il giornalista alla sanzione amministrativa della pubblicazione, nella testata attraverso la quale è stata commessa la violazione nonché, ove ritenuto necessario, anche in altre testate, della decisione che accerta la violazione, per intero o per estratto, ovvero di una dichiarazione riassuntiva della medesima violazione. La pubblicazione è effettuata, secondo le modalità indicate dall’ordinanza, a spese dei responsabili.
 
[25] I giornalisti che si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionale, o di fatti che compromettano la propria reputazione o la dignità dell’Ordine, sono sottoposti, secondo l’art. 48 della legge n. 69/1963, a procedimento disciplinare. Le sanzioni disciplinari che l’Ordine può comminare sono, in particolare, l’avvertimento, la censura, la sospensione dall’esercizio della professione per un periodo non inferiore a due mesi e non superiore ad un anno, la radiazione dall’albo (art. 51 legge n. 69/1963).
 
[26] L’art. 13 del Codice deontologico sancisce, infatti, che: “Le presenti norme si applicano ai giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti e a chiunque altro, anche occasionalmente, eserciti attività pubblicistica. Le sanzioni disciplinari, di cui al titolo III della legge n. 69 del 1963, si applicano solo ai soggetti iscritti all’albo dei giornalisti, negli elenchi o nel registro”.
 
[27] Nel dettaglio, la norma fa riferimento alla raccolta di dati personali atti a rivelare origine razziale ed etnica, convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, opinioni politiche, adesioni a partiti, sindacati, associazioni o organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonchè dati atti a rivelare le condizioni di salute e la sfera sessuale.
 
[28] L’art. 6 del Codice deontologico determina l’ambito di applicazione del principio di essenzialità dell’informazione (Trib. Milano 25/11/2004 in Giustizia a Milano 2004, 79). Inoltre, i principi di essenzialità e di interesse pubblico delle notizie appaiono logicamente ed indissolubilmente connessi, posto che la notizia non essenziale è appunto una notizia non rispondente all’interesse pubblico (Trib. Roma 06/05/2005 in Redazione Giuffrè 2005).
 
[29] Trib. Roma 22/03/2005 in Dir. informatica 2005, 261.
 
[30] Il Garante ha conseguentemente ritenuto illecita la nuova diffusione, nel corso di una trasmissione televisiva, delle immagini di un processo – già mandate in onda sedici anni prima -, che ritraevano una donna mentre reagiva vivacemente alla richiesta di condanna, formulata dal pubblico ministero nei confronti di una persona a cui la stessa era all’epoca legata sentimentalmente (Provv. Garante 07/07/2005 in www.garanteprivacy.it – doc. web n. 1148642).
 
[31] Il Garante ha osservato, in tal senso, che riferire gli orientamenti politici di determinate persone note (ad es. di un attore, di un regista o di uno sceneggiatore) può, in alcuni casi, risultare rilevante ai fini di una qualificazione più completa dell’attività e del ruolo da esse svolto, contribuendo, ad esempio, ad inquadrare scelte professionali o a fornire chiavi di lettura di temi affrontati, oppure a sollecitare valutazioni in ordine ai rapporti tra determinate produzioni e il contesto politico istituzionale in cui esse si collocano (Provv. Garante 02/03/2006 in www.garanteprivacy.it – doc. web n. 1246867). Cfr anche Provv. Garante 07/07/2005 in www.garanteprivacy.it doc. web n. 117029.
 
[32] Questo principio è stato alla base del provvedimento con cui il Garante ha vietato all’editore di un settimanale di diffondere ulteriormente dati personali di carattere sanitario riguardanti la principessa Diana Spencer, contenuti in un servizio dedicato all’incidente mortale occorso a quest’ultima nel 1997. Il Garante ha rilevato che siffatta pubblicazione, oltre a caratterizzarsi nel suo insieme per un accanimento informativo rispetto ad un fatto ormai risalente nel tempo, non era giustificata sul piano dell’essenzialità dell’informazione e aveva concretizzato una manifesta lesione della dignità dell’interessata; ha inoltre ricordato che le garanzie in materia operano anche a tutela di persone decedute (Provv. Garante 15/07/2006 in www.garanteprivacy.it – doc. web n. 1310796). Cfr. anche Samuel D. Warren e Louis D. Brandeis, The right to privacy, ed. Garante per la protezione dei dati personali, 12/2005.
 
[33]Nella fattispecie, in relazione ai ripetuti servizi giornalistici dedicati al grave malore e al ricovero di un noto imprenditore per cause legate all’abuso di sostanze stupefacenti, il Garante ha sostenuto che, anche quando si tratti di figure pubbliche, stampa e media devono rispettare la dignità delle persone e la loro sfera più intima, astenendosi dal diffondere dettagli non indispensabili ed evitando spettacolarizzazioni e accanimenti morbosi (Provv. Garante 12/01/2006 in www.garanteprivacy.it – doc. web. n. 1213631). Cfr. anche Mauro Paissan (a cura di), Privacy e giornalismo, ed. Garante per la protezione dei dati personali, 2006.
 
[34]In tal senso, il Garante ha ritenuto illecito il comportamento di un settimanale che, nel dare notizia di un presunto legame sentimentale di un noto personaggio, aveva pubblicato un articolato servizio fotografico in cui comparivano componenti della sua famiglia ritratti in alcuni momenti della vita privata e venivano diffusi diversi altri dati personali, unitamente alle foto del luogo di residenza e della palazzina di famiglia(Provv. Garante 23/11/2005 in www.garanteprivacy.it – doc. web. n. 1200112 e Relazione Garante 2005, pag. 60).
 
[35] Sono queste le indicazioni principali contenute nella Dichiarazione che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha approvato il 12 febbraio 2004 a Strasburgo (www.coe.int). Nella Dichiarazione, i Ministri ricordano che la libertà di espressione è un diritto fondamentale tutelato dall’Articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma sottolineano anche che l’esercizio di tale diritto comporta doveri e responsabilità attinenti, in particolare, al rispetto di altri diritti fondamentali come il diritto alla privacy (sancito dall’Articolo 8 della Convenzione). L’esigenza di bilanciare libertà di espressione e diritto al rispetto per la vita privata, entrambi principi fondamentali della Convenzione, impone di non rivelare particolari della vita privata delle figure pubbliche e dei loro familiari, a meno che tali informazioni siano direttamente pertinenti in quanto gettano luce sulle modalità con cui tali figure pubbliche svolgono le funzioni alle quali sono state chiamate; è sempre necessario, ad ogni modo, evitare di causare un vulnus a soggetti terzi (Newsletter Garante 16/02/2004 in www.garanteprivacy.it). 
 
[36] Il Garante ribadisce, infatti, che occorre evitare che una ingiustificata diffusione di dati o notizie comporti che chi è già vittima di un reato di estorsione subisca una ulteriore e più grave violazione dei suoi diritti fondamentali (Comunicato stampa Garante 07/12/2006 in www.garanteprivacy.it).
 
[37] A questo proposito, si richiama l’art. 9 del Codice deontologico che stabilisce che il giornalista, nell’esercitare il diritto dovere di cronaca è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali.
 
[38] Per le altre informazioni “sensibili”, invece, la segretezza non è un strumento di per sé idoneo a evitare le discriminazioni, poiché le manifestazioni di opinioni politiche e sindacali o gli atti di culto avvengono abitualmente in pubblico, ma il divieto di raccogliere questo tipo di dati è il presupposto per il libero esercizio di questi diritti fondamentali. Il divieto di operare “schedature” su tali attività risponde alla finalità di impedire discriminazioni tra i cittadini e per garantire quindi un “uguale” e libero esercizio di diritti costituzionalmente garantiti, come quello di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), di libertà di associazione e di riunione (artt. 17 e 18 Cost.) e di professare liberamente la propria fede religiosa (art. 19 Cost.). Dunque, più che di tutela alla privacy, in questi casi si deve parlare di difesa del principio di uguaglianza. Non è in questione la sfera privata ma la posizione dell’individuo nell’organizzazione sociale, politica, economica (Rodotà Stefano, Tecnologie e diritti, Il Mulino, 1995).
 
[39] Nel caso di specie, si trattava di un soggetto malato di AIDS e nelle more deceduto coinvolto in una indagine di polizia giudiziaria il cui cognome era stato significativamente cambiato (Tribunale Roma, 18 marzo 2004 in Dir. informatica 2004, 286).
 
[40] Provv. Garante 23/11/ 2005 in www.garanteprivacy.it – doc. web. n. 1225898.
 
[41]Il Garante ha ritenuto illecita, pertanto, la diffusione di informazioni concernenti una persona in condizioni di salute particolarmente critiche, indicata mediante riferimenti che avevano comportato la sua identificabilità, con specifici riferimenti anche ai sintomi della patologia e alle ipotesi formulate sulla diagnosi (Provv. Garante 23/11/2005 inwww.garanteprivacy.it – doc. web. n. 1225898). Il Garante ha esaminato, inoltre, un caso significativo in relazione al servizio di cronaca pubblicato da un quotidiano a tiratura nazionale, incentrato sulla vicenda di una donna, in coma irreversibile e in stato di gravidanza, e sulla decisione dei medici e dei familiari di tenerla se necessario in vita artificialmente per consentire la nascita prematura del figlio. E’ stato ritenuto illecito il servizio che aveva portato a pubblicare dati non indispensabili che nel loro insieme avevano reso identificabili gli interessati, specie nel loro contesto territoriale, fornendo informazioni di natura strettamente clinica relative alla donna, nonché a possibili convinzioni etico-religiose dei suoi familiari (Provv. Garante 13/07/2005 inwww.garanteprivacy.it – doc. web. n. 1152080).
 
[42] Tali principi sono stati ribaditi con riferimento al trattamento di dati effettuato, da un noto programma televisivo, per realizzare un servizio sull’eventuale uso di stupefacenti da parte dei parlamentari. Per raggiungere lo scopo alcuni collaboratori della trasmissione avevano, infatti, raccolto campioni di sudore di deputati usando alcuni artifici. Il Garante, avendo ravvisato la violazione di legge nei termini suindicati, ha disposto il blocco dell’ulteriore trattamento dei dati personali raccolti (Provv. Garante 10/10/2006 in www.garanteprivacy.it – doc. web n. 1345622) cui ha fatto seguito, anche alla luce delle risultanze istruttorie, l’adozione di un divieto (Provv. Garante 14/12/2006 in www.garanteprivacy.it – doc. web n. 1370954).
Un secondo intervento del Garante ha riguardato il trattamento di dati effettuato per realizzare un servizio volto a documentare l’uso di stupefacenti da parte dei frequentatori di un locale notturno milanese, sempre all’insaputa degli interessati. (Provv. Garante 19/10/2006 in www.garanteprivacy.it – doc. web n. 1350853 e Provv. Garante 14/12/2006 in www.garanteprivacy.it – doc. web n. 1370781).
Come ha precisato l’Autorità, nei due casi richiamati la violazione si era concretizzata già al momento della raccolta non informata dei dati (nonché della detenzione di filmati e risultati di test relativi a persone individuabili) e ciò in ragione delle modalità di tale raccolta e della natura particolarmente delicata dei dati.
 
[43] Documento Consiglio nazionale Ordine giornalisti e Federazione nazionale Stampa italiana 8 luglio 1993.
 
[44] La Carta di Treviso, emanata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della Stampa italiana il 5 ottobre 1990 e recentemente aggiornata con delibera CNOG 30/03/2006, è richiamata anche dal Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, con riferimento alla tutela dei minori (art. 7).
 
[45] Provv. Garante 07/07/2005 in www.garanteprivacy.it – doc. web. n. 1170284.
 
[46] Provv. Garante 06/05/2004 in www.garanteprivacy.it – doc. web. n. 1007634.
 
[47] Provv. Garante 06/05/2004 in www.garanteprivacy.it – doc. web. n. 1007634.
 
[48] Parpaglioni Mara, Giornalismo e privacy: Il diritto-dovere di cronaca e il rispetto della dignità delle persone, in www.cronistilombardi.it
 

Falcone Valeria

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