(Annullamento con rinvio)
Novità nomofilattica.
(Normativa di riferimento: C.p.p., artt. 275, c. 2, 284)
Il fatto
Con ordinanza in data 27 ottobre 2017 il Tribunale per il riesame di Milano respingeva l’appello proposto nell’interesse di A.H. avverso il provvedimento del Tribunale di Milano che aveva respinto la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere in atto allo stesso inflitta.
Riteneva difatti il Tribunale del riesame, che sebbene l’appellante fosse stato condannato a pena inferiore ad anni tre, e precisamente a quella di anno 1 e mesi 4 di reclusione per i delitti di associazione a delinquere e occupazione abusiva, il ruolo da questi svolto nei fatti nonchè l’assenza di adeguato domicilio imponessero il mantenimento della misura maggiormente afflittiva.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso detto provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo con distinti motivi:
– inosservanza di legge essendo stata mantenuta la misura maggiormente afflittiva senza considerazione dello specifico ruolo svolto dall’indagato, assolutamente marginale nello svolgimento dei fatti, trattandosi di soggetto incaricato di sostituire le porte delle abitazioni occupate;
– violazione di legge e difetto di motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla ritenuta necessità di applicare la misura cautelare della custodia in carcere benchè il ricorrente disponesse di stabile riferimento abitativo e fosse soggetto munito di permesso di soggiorno.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
La Cassazione accoglieva il suddetto ricorso per le seguenti ragioni.
I giudici di legittimità ordinaria, nell’addivenire a questa decisione, facevano prima di tutto presente che, con l’introduzione dell’art. 275 c.p.p., comma 2 bis, il legislatore ha previsto un generale divieto, non operante nei casi dei reati di particolare allarme sociale di cui al terzo comma dello stesso articolo, di applicabilità della custodia cautelare in carcere per tutte le ipotesi in cui la pena detentiva irrogata od irrogabile non sia superiore a tre anni; fatta eccezione per altri reati pure indicati nello stesso comma 2 bis, il divieto di applicazione della misura della custodia in carcere che ha quindi portata generalizzata rispetto a tale limite di pena, non opera solo quando sia il giudice che procede ad accertare l’inadeguatezza di ogni altra misura ovvero “gli arresti domiciliari non possano essere disposti per mancanza di uno dei luoghi di esecuzione indicati nell’art. 284, comma 1, del presente codice“.
Alla stregua del tenore letterale di questo precetto normativo, di conseguenza, la Corte riteneva come dovesse escludersi che, nel concetto di inesistenza di uno dei luoghi ove scontare gli arresti domiciliari, potesse rientrare anche l’eventuale inadeguatezza della abitazione sotto il profilo della regolarità dell’occupazione della medesima ovvero della regolarità edilizia; ogni valutazione sul punto non pareva giustificabile alla luce del chiaro portato normativo che preclude l’applicazione ed il mantenimento della custodia carceraria nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata una pena inferiore ad anni 3 di reclusione giacchè, per un verso, l’eccezionalità del mantenimento della misura maggiormente afflittiva in tali casi, il giudizio negativo può essere ancorato soltanto alla mancanza del luogo ove scontare gli arresti domiciliari e non anche ad una valutazione di inadeguatezza dello stesso, per altro verso, l’eccezionalità dell’inserimento carcerario per soggetti condannati a pene modeste, per le quali peraltro risultano spesso attuabili in fase di esecuzione regimi alternativi, impone la revoca dello stesso a fronte della non sussistenza delle condizioni dettate dal citato art. 275 c.p.p., comma 2 bis che prevede appunto solo il caso della “mancanza di uno dei luoghi indicati dall’art. 284….“.
Tal che, alla luce di queste considerazioni giuridiche, gli ermellini ritenevano il provvedimento impugnato censurabile in sede di legittimità avendo il tribunale del riesame di Milano compiuto una valutazione di inadeguatezza del luogo di possibile detenzione domiciliare ancorato ad una irregolarità che non pareva comunque decisiva anche in considerazione dell’assai limitato residuo pena e pertanto disponevano l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza al competente tribunale per nuovo esame, nello svolgimento del quale il giudice avrebbe dovuto attenersi ai principi in precedenza indicati.
Conclusioni
La sentenza qui in commento è senz’altro condivisibile.
Difatti è evidente che, ai fini della concessione o meno della misura cautelare degli arresti domiciliare, non dispiega rilievo alcuno lo stato di regolarità urbanistica dell’abitazione ove il ristretto dovrebbe scontare il periodo di custodia cautelare in regime di arresti domiciliari atteso che, ai fini del giudizio di adeguatezza, non rileva il luogo ove si deve scontare questa misura cautelare in sé e per sé considerata, quanto invece il fatto che la concessione degli arresti domiciliari garantisca il soddisfacimento delle esigenze cautelari sottese all’applicazione della misura cautelare stessa nonché che il soggetto ristretto, una volta sottoposto al regime degli arresti domiciliari, rispetti tale vincolo non violandolo in alcun modo.
In altri termini, quello che conta davvero è che gli arresti domiciliari siano ritenuti adeguati, in relazione alle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), e ciò avviene solo quando, per un verso, elementi specifici in relazione alla personalità del soggetto inducano a ritenere che quest’ultimo non sia propenso a disubbidire all’ordine di non allontanarsi dal domicilio, in violazione della cautela impostagli, per altro verso, la gravità del fatto, le motivazioni di esso e la pericolosità dell’indagato depongano nel medesimo senso, ossia per la propensione all’osservanza delle prescrizioni [argomentando a contrario: Cass. pen., sez. VI, n. 53026/2017; in senso conforme, Cass. pen., sez. I, 6/03/1997, n. 1878 (“In tema di misure cautelari, l’inadeguatezza degli arresti domiciliari, in relazione alle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274. lett. c), c.p.p., può essere ritenuta soltanto quando elementi specifici, inerenti al fatto, alle motivazioni di esso ed alla personalità del soggetto indichino quest’ultimo come in qualche modo propenso all’inosservanza dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio a fini criminosi, perseguiti ad ogni costo, in violazione della cautela impostagli”)].
Nel caso di specie, tale valutazione sembra essere mancata atteso che, dalla lettura della decisione in commento, sembra evincersi come il giudice di merito non avesse verificato l’idoneità della misura degli arresti domiciliari rispetto a quanto appena scritto, limitando il suo vaglio prognostico al sol fatto che l’abitazione, ove il ricorrente avrebbe dovuto essere sottoposto agli arresti domiciliari, non fosse adeguato per tale scopo.
Discorso tuttavia diverso sarebbe quello in cui (e non è il caso in oggetto) un immobile si rilevi di per sé inidoneo ad essere abitato come può essere il caso in cui l’abitazione sia priva di un idoneo piano igienico-sanitario (così: Cass. pen., sez. II, n. 3696/2015) in quanto non rileva in tale ipotesi l’abitazione in relazione alla sua adeguatezza per soddisfare o meno le esigenze cautelari e per prevenire la pericolosità del ristretto in vinculis quanto piuttosto per il fatto che un immobile privo di un impianto igienico-sanitario idoneo a questo scopo non consente l’abitabilità di quell’immobile e, dunque, non può rappresentare un valido luogo dove essere sottoposti agli arresti domiciliari ma, si ripete, qui, nella pronuncia in esame, l’inidoneità dell’immobile è stata parametrata alle sole irregolarità di ordine edilizio e non al fatto che la medesima non potesse essere abitata.
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