Il rapporto di portierato non è provato dalla mera presenza nello stabile in orari non lavorativi

Il Contratto Collettivo Nazionale dei Portieri e Custodi, distingue le diverse figure professionali del custode, del portiere e dell’addetto alle pulizie dello stabile in condominio, classificandoli in: lavoratori addetti alla vigilanza, custodia, pulizia e mansioni accessorie degli stabili adibiti ad uso di abitazione o ad altri usi; portieri che prestano la loro opera per la vigilanza e le altre mansioni accessorie degli stabili, senza alloggio ovvero con alloggio e quelli destinati anche alla videosorveglianza; lavoratori addetti alla pulizia e/o alla manutenzione degli immobili, dei relativi impianti ed apparecchiature e/o alla conduzione di impianti sportivi, spazi a verde, in quanto pertinenza di immobili e/o complessi immobiliari adibiti ad uso di abitazione o ad altri usi.

Ciò posto, al fine di verificare la sussistenza di un rapporto di portierato, non risulta sufficiente la dimostrazione della concessione in godimento di un appartamento all’interno dello stabile in condominio, con contestuale esonero dal pagamento delle spese condominiali, né la presenza del dipendente all’interno dello stabile in orari extra-lavorativi, ritenuta normale proprio in virtù della residenza al suo interno.

Tanto ha implicitamente ritenuto la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23049, pubblicata in data 3 ottobre 2017.

La stessa ha rigettato il ricorso per cassazione proposto da una dipendente del condominio, con il quale la stessa chiedeva, sostanzialmente, una rilettura del materiale probatorio acquisto dalle corti di merito, possibilità preclusa al giudice di legittimità, salvo non sia riscontrabile un vizio sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica della sentenza impugnata.

Nel caso concreto, il Tribunale di Lecco, con sentenza confermata dalla Corte d’Appello di Milano, chiamata a decidere sul gravame proposto dalla lavoratrice, aveva rigettato la domanda della stessa – inquadrata con mansioni di addetta alla pulizie – volta ad ottenere il pagamento di differenze retributive, sulla scorta dell’asserito svolgimento di mansioni superiori, quali quelle di portiere.

Le corti territoriali avevano escluso la sussistenza di un rapporto di portierato, in difetto di adeguati riscontri probatori, i testimoni escussi, infatti, in relazione alle mansioni espletate dalle ricorrente, si erano limitati a confermare che la ricorrente fosse presente anche in orari differenti da quelli contrattualmente previsti, ma che ciò non appariva dirimente, in considerazione del fatto che la stessa risiedeva nello stabile condominiale, né dalle lettere di assunzione quale addetta al servizio di pulizie secondo l’orario ivi stabilito, e che <<la concessione in godimento dell’appartamento, con esonero dal pagamento delle spese condominiali, finiva soltanto per riconoscere la disponibilità manifestata dalla lavoratrice, con indubbia reciproca convenienza>>.

Pertanto, afferma la Suprema Corte, <<come si evince agevolmente dall’articolata motivazione dell’impugnata sentenza, i giudici di merito hanno esaurientemente esaminato le acquisite risultanze istruttorie, apprezzandole quindi con più che sufficienti e lineari argomentazioni, poi sfociate nella conseguente decisione, sicché in sede di legittimità, nell’ambito della c.d. critica vincolata, nei limiti rigorosamente fissati dall’art. 360 del codice di rito, non è consentito a questa Corte alcun riesame dei fatti, laddove come nella specie non si riscontrino specifici errori di diritto rilevabili nella pronuncia de qua, peraltro neanche adombrati dalla ricorrente (cfr. Cass. n. 25332 del 28/11/2014: la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione, che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa; ne deriva che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti>>.

Il ricorso, pertanto, deve essere respinto e la ricorrente condannata al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del condominio.

Ed invero, al fine di valutare la sussistenza di un rapporto di lavoro e, in particolare, di quello di portierato, occorre sì verificare l’occupazione dell’alloggio condominiale, ma anche <<le particolari modalità della prestazione senza predeterminazione di orario ma in relazione al contenuto delle mansioni medesime, la continuità della prestazione, l’inserimento stabile nella struttura datoriale, l’assenza di rischio d’impresa, e la rilevanza di tali aspetti in relazione ad un rapporto di lavoro di portierato (cfr., per alcune delle questioni indicate, Sez. L, Sentenza n. 11638 del 04/12/1990, secondo la quale nel rapporto di portierato, in cui la subordinazione deve essere ravvisata nell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro, esercitato anche mediante il controllo dei singoli condomini, la somministrazione dell’alloggio ubicato nell’edificio condominiale, ove non risulti giustificata da un diverso titolo, deve presumersi effettuata, in favore del lavoratore che vi dimora, al fine di svolgervi il servizio di portierato, che implica l’attività di vigilanza e custodia, alla prestazione delle quali è finalizzata la suddetta somministrazione>> (Cass. n. 5297/2014).

Sentenza collegata

53159-1.pdf 413kB

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Avv. Accoti Paolo

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