Il d.lgs. 66/2003 ha dato attuazione alla direttiva 93/107/CE, ridefinendo nel nostro ordinamento i limiti temporali della prestazione lavorativa, al fine di migliorare il rapporto tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro.
Va fatta una distinzione tra le pause periodiche (giornaliere, settimanali) che, in ragione della loro breve durata, mirano a garantire prevalentemente il recupero delle energie fisiche del lavoratore, pur prestandosi in senso lato anche ad una tutela più ampia della persona del lavoratore e dei suoi interessi. A queste pause vengono affiancati i riposi compensativi, che hanno la diversa funzione di compensare la particolare onerosità del lavoro festivo, notturno, in turni a orario ed altre condizioni di lavoro particolarmente gravose o usuranti.
Le ferie annuali per la loro durata e continuità sono invece finalizzate alla tutela globale della personalità del lavoratore. In altri termini (così Cester, Mattarolo, Tremolada, La nuova disciplina dell’orario di lavoro, Giuffrè 2003), “l’istituto delle ferie deve sì garantire il ripristino delle energie usurate dal servizio, ma ha quale scopo ulteriore quello di tutelare le esigenze di carattere ricreativo, culturale, di vita di relazione familiare e sociale”. Detta garanzia a tutela dell’intera personalità del lavoratore determina l’inderogabilità del limite minimo di 20 giorni annui, a norma degli artt. 36 Cost,, 2109 c.c., 10 d.lgs 66/2003, nonchè l’impossibilità di adempiere alla funzione tramite l’imputazione di singole giornate in conto ferie.
Con sentenza 147/07 (A.D. contro O. sp.a. e B. s.r.l.), il Tribunale di Gorizia, in funzione di Giudice del Lavoro, ha messo in discussione questa impostazione, rigettando il ricorso di un lavoratore dipendente di una Azienda del settore tessile, che lamentava – in particolare – la mancata fruizione delle ferie nella misura minima garantita per legge.
Il lavoratore svolgeva un lavoro a turnazioni, che si inserivano nel c.d. ciclo continuo aziendale, secondo il modello 3/1-3/3-3/2, dunque: 3 giornate lavorative di pomeriggio e 1 giornata di riposo; 3 giornate-notti lavorative e 2 giorni di riposo (escludendo il giorno in cui smontava di mattina); 3 giornate di lavoro pomeridiano e 2 di riposo.
In sostanza, ciascun turnista lavorava nel corso dell’anno solare con una media di 6 giornate alla settimana. Quanto alle ferie, il datore di lavoro interrompeva la turnazione collettivamente dal 3 al 15 agosto, imputando detta interruzione a ferie che, pertanto, venivano godute per soli 13 giorni alla anno.
Nella sentenza 146/07, il Giudice adito ritiene che i numerosi riposi concessi al lavoratore in virtù della turnazione a ciclo continuo possano in effetti essere ritenuti sostitutivi delle ferie, essendo qualificati “solo formalmente” come riposi compensativi ed essendo pertanto idonei a coprire abbondantemente, seppur sotto altra veste, le ferie e i permessi vari previsti dalla contrattazione collettiva di settore .
In particolare, i riposi compensativi vengono giudicati in tutto e per tutto equiparabili sotto il profilo funzionale alle ferie ovvero a festività infrasettimanali da calendario.
Tale rappresentazione omnicomprensiva dei riposi compensativi, che andrebbero ad assorbire anche una considerevole parte delle ferie spettanti al lavoratore, mal si concilia con la premessa relativa alle differenze tra i diversi generi di riposo dal lavoro.
Ci si chiede, allora, se il medico che fruisce di riposi per la reperibilità notturna perda il diritto alle proprie ferie, potendo già godere su di un numero congruo di giornate non lavorative.
Appare chiaro, invece, come il lavoratore che goda di detti riposi fruisca di un numero di giornate non lavorative che consentono semplicemente di recuperare le energie impiegate per il particolare sacrificio richiestogli dalla turnazione usurante. Il numero elevato di tali riposi indica semplicemente un corrispondente numero elevato ore di lavoro prestate in giornate festive o in orario notturno.
Le ferie devono dunque trovare il proprio inderogabile spazio nel corso dell’anno lavorativo, nel rigoroso rispetto del limite minimo di 20 giornate o del più elevato limite previsto dalla contrattazione collettiva a norma dell’art. 10 d.lgs. 66/2003 .
Matteo Belli e Fabio Petracci
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