Rapporto tra il contratto di comodato senza scadenza e il provvedimento di assegnazione della casa famigliare

Mei Cristiana 13/12/07
Il comodato, previsto e disciplinato dagli articoli 1803 e seguenti del codice civile, è un contratto reale essenzialmente gratuito che produce, in capo al comodatario effetti obbligatori, quale l’obbligo di costituire e conservare il bene, sia esso mobile o immobile, con la diligenza del buon padre di famiglia; di non  servirsene che per l’uso determinato dal contratto o dalla natura della cosa (1804 c.c.); di non concedere a terzi in godimento il bene senza il consenso del comodante (1804 c.c.) e di restituire il bene alla scadenza convenuta o quando se n’è servito in conformità del contratto (1809 c.c.).
Il contratto di comodato non produce effetti reali poiché non costituisce, in capo al comodatario, un diritto di proprietà, ma semplicemente un diritto personale di godimento.
La ratio sottesa a tale tipo di contratto e alla sua caratteristica essenzialmente gratuita, attiene a rapporti di fiducia, di amicizia e di parentela tra le parti. Esso viene posto in essere, generalmente, tra soggetti legati da uno di tali vincoli tanto che, come previsto dall’art. 1811 c.c., alla morte del comodatario, il comodante può chiedere agli eredi l’immediata restituzione del bene, essendo venuto meno il soggetto per il quale specificamente, in virtù di qualsivoglia legame, il contratto era stato disposto.
Di contro, la disciplina codicistica specifica che il contratto viene posto in essere, di norma, per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo, in capo al comodatario, della restituzione del bene alla scadenza.
Nel caso in cui venga posto in essere un comodato privo di scadenza, esso non rientra, ipso facto, nella categoria del comodato c.d. precario. Il comodato c.d. precario si caratterizza, infatti, per l’assenza di un termine e per l’impossibilità di desumerne uno “dall’uso cui la cosa è destinata”. Infatti l’art. 1810 c.c. prevede, nel caso in cui non sia stato convenuto un termine dalle parti né questo risulti dall’uso cui la cosa doveva essere destinata, che il comodatario sia tenuto a restituirla non appena il comodante la richieda. Quindi il comodante, nel caso del comodato precario, privo cioè di qualsiasi termine sia esso esplicito ovvero desumibile dall’uso cui la cosa è destinata, può esigere dal comodatario la restituzione della cosa in ogni momento e senza che ricorra nessun particolare motivo. Come ha avuto modo di sostenere la Suprema Corte, la figura del comodato precario, si caratterizza “per la previsione che la scadenza della validità del vincolo dipenda potestativamente dalla volontà del comodante, il quale può farla maturare ad nutum mediante richiesta di restituzione del bene. Tale richiesta determina l’immediata cessazione del diritto del comodatario alla disponibilità e al godimento della cosa, con la conseguenza che, una volta sciolto per iniziativa unilaterale del comodante, il vincolo contrattuale, il comodatario che rifiuti la restituzione della cosa, viene ad assumere la posizione di detentore sine titulo del bene altrui, salvo che dimostri di poterne disporre in base ad altro rapporto diverso dal precario” (Cass. n. 5987/2000)
Nell’ipotesi in cui un bene immobile venga concesso in comodato, senza termine esplicito, ma per esigenze abitative di un nucleo famigliare, composto dai coniugi e da figli minorenni, cosa succede nel momento della cessazione del rapporto di coniugio e a seguito di assegnazione giudiziale del bene immobile, concesso in comodato, quale casa famigliare, ad uno dei due coniugi?
Alla mancanza di un termine convenuto dalle parti per la scadenza del comodato, è possibile contrapporre un termine desumibile dall’uso cui la cosa doveva essere destinata ovvero quello di soddisfare esigenze abitative familiari.
Il venir meno del rapporto di coniugio non fa venir meno, ispo facto, le esigenze abitative della famiglia, non essendo ammissibile che i rapporti personali tra i coniugi vengano ad influire sulle esigenze abitative e famigliari dei figli, per di più minori.
In virtù del dettato dell’art. 1809 c.c., desumendosi il termine del comodato dal permanere della esigenze abitative famigliari e quindi dal non venir meno dell’uso cui la cosa è destinata in conformità del contratto, nonostante la separazione dei coniugi, il comodante potrà chiedere la restituzione dell’appartamento solo per urgente ed imprevisto bisogno, anche non grave (Cass. n. 1132/1987).
Ciò che viene in rilievo, nell’ipotesi sopra configurata, attiene all’opponibilità o meno del provvedimento di assegnazione della casa familiare nei confronti di terzi.
Il provvedimento di assegnazione della casa famigliare al coniuge affidatario, avente per definizione, data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero, ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto, anche oltre i nove anni ( Cass. Sezioni Unite 11096/2002 e Cass. 5067/2003).
La trascrizione del provvedimento di assegnazione, tuttavia, lascia immutata la qualifica del contratto, quale comodato, e l’opponibilità corrispondente al contenuto del titolo preesistente, nel senso che resta immutata la posizione del comodante, gia proprietario dell’immobile, che quindi può chiederne la restituzione ex art. 1810 c.c. (Cass. 10258/1997).
Inoltre, il provvedimento di assegnazione della casa famigliare al coniuge affidatario sarebbe costitutivo di un diritto atipico di godimento e non anche di un diritto reale e, in quanto tale, non essendo opponibile ai terzi, imporrebbe al coniuge di subire, ai sensi dell’art. 1810 c.c., il recesso del comodante (Cass. 929/1995).
Tale orientamento giurisprudenziale non teneva in minima considerazione la ratio sottesa al provvedimento di assegnazione della casa famigliare al coniuge affidatario, che si sostanzia nella tutela e nel perseguimento dell’interesse della prole, riconoscendo, invece, assoluta prevalenza alla tutela del diritto di proprietà del comodante, anche laddove le esigenze legate alla conclusione del comodato non fossero per nulla cessate o non fosse rilevabile un bisogno urgente ed imprevisto del comodante.
Le Sezioni Unite sono intervenute in materia, innovando completamente il precedente orientamento. Infatti, la Suprema Corte ha messo in luce come l’ordinamento non stabilisca una “funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà” del terzo proprio a tutela di quei diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale e postconiugale, con il conseguente ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario. Il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dall’utilizzazione in atto e a “concentrare” il godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale (Cass., Sezioni Unite, n. 13603/2004). Da tale orientamento deriva il fatto che, laddove sia stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato, il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di urgente ed impreveduto bisogno ai sensi dell’art. 1809, secondo comma.
Ragionando a contrario, un’altra sentenza della Corte, successiva alla precedente, applica il principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite, sottolineando come la valenza del provvedimento di assegnazione, quale elemento che impedisca la funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà, stia nella presenza o meno di esigenze legate all’affidamento della prole. Infatti, la Cassazione ha evidenziato come il provvedimento di autorizzazione di uno dei due coniugi ad abitare nella casa concessa in comodato da un terzo, emesso dal giudice della separazione in assenza del provvedimento di affidamento della prole, non impone al comodante alcun obbligo di consentire la continuazione del godimento del bene, essendo cessata, al momento della separazione personale dei coniugi, la destinazione di questo a casa famigliare (Cass, I, n. 9253/2005). In questo caso, dunque, il comodante potrà chiedere il rilascio dell’immobile.
Come i limiti soggettivi ed oggettivi del provvedimento di assegnazione non possono comportare una compressione dei diritti vantati dal dominus, che non è stato parte del giudizio nel corso del quale il provvedimento è stato emesso, così non è configurabile un ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario, nei confronti dello stesso proprietario, rispetto a quella vantata dall’originario comodatario e, pertanto, restano fermi gli stessi limiti, convenzionalmente stabiliti in precedenza.
 Inoltre, viene riconosciuto un maggior rilievo ai bisogni e alle necessità della prole, a tutela della quale il provvedimento di assegnazione viene emesso, nonché, più in generale, a tutti quei diritti che siano riconducibili alla solidarietà coniugale e postconiugale come elementi discriminanti per l’opponibilità o meno del provvedimento al proprietario del bene, concesso in comodato.
Il genitore, assegnatario della casa famigliare e affidatario dei figli minori, in caso di mancata apposizione di un termine espresso al comodato, salvo quello legato all’uso del bene stesso, come previsto dal contratto, non dovrà temere la pretesa restitutoria del comodante fino a che le esigenze abitative della famiglia non saranno venute meno con il raggiungimento della maggiore età dei figli e con la loro autosufficienza economica.
Resta fermo, però, il diritto del comodante di chiedere la restituzione del bene a fronte di un urgente ed impreveduto bisogno ex art. 1809 c.c., secondo comma, anche non grave (Cass. n. 1132/1987).
 
Dott.ssa Cristiana Mei

Mei Cristiana

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