Sulla natura plurioffensiva o meno dei delitti contro la fede pubblica si è discusso a lungo nell’ambito della letteratura giuridica, giungendosi nel tempo ad affermazioni talvolta estensive e maggiormente generose, mentre in altre occasioni la visione della giurisprudenza si è assestata su affermazioni di più intenso rigore.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte sono state chiamate di recente a dirimere, una volta per tutte – e proprio su questo terreno si può cogliere l’importanza della decisione in commento – l’annosa questione afferente l’oggetto di tutela dei delitti avverso la pubblica fede, dovendo decidere se tali reati siano stati posti dal legislatore a tutela del solo interesse pubblico ovvero, in quanto reati di natura plurioffensiva, anche della sfera giuridica del privato nei cui confronti il documento o la falsa attestazione venga fatta valere, legittimando in tal guisa quest’ultimo ad avanzare eventuale istanza di opposizione avverso la richiesta di archiviazione (come nella fattispecie portata all’attenzione della Corte), ovvero fare valere nel giudizio penale pretese risarcitorie di natura civilistica, costituendosi parte civile.
La più sopra segnalata giurisprudenza maggiormente rigorosa, aveva tempo addietro stimato in più decisioni che il bene giuridico oggetto di tutela nelle falsità documentali, fosse costituito esclusivamente dalla pubblica fede, rifiutando di riflesso ogni eventuale diritto da parte del singolo di ricevere qualunque forma di avviso della richiesta di archiviazione avanzata dal P.m. e, di conseguenza, negando allo stesso la legittimazione a proporre opposizione contro la stessa, atteso che l’interesse del privato viene pregiudicato solamente per via indiretta e ciò non vale a conferirgli la qualità di persona offesa (Cfr.Cass.sez.V, 27.3.2001, Della Gatta; Cass.sez.V, 18.10.2002, Saccucci; Cass.sez.V, 16.3.2004, n.27967, Cuculo).
A tanto ci si era sospinti, che altra recente partizione giurisprudenziale aveva ulteriormente precisato che nel caso di reati non perseguibili d’ufficio, soltanto l’eventuale riconoscimento della legittimazione in capo al privato di proporre querela, potesse consentire l’accostamento del danneggiato alla persona offesa anche a fini processuali (Cfr.Cass.sez.V, 15.1.2007, Reggiani).
Le decisioni di segno diametralmente opposto, ampiamente estensive, avevano invece evidenziato che nell’ambito dei delitti in parola anche l’interesse dei soggetti nei cui confronti l’atto veniva fatto valere doveva considerarsi leso, riconoscendo così in capo agli stessi anche la facoltà di opporsi all’archiviazione ai sensi dell’art.408, ovvero 410 Cpp e, quindi, ammettendo pacificamente la natura plurioffensiva di tali reati (Cfr.Cass.sez.V, 12.3.2001, Arnoldi; Cass.sez.V, 4.7.2005, Moscato; Cass.sez.V, 13.6.2006, Ziino).
Nell’argomentare la propria decisione, i giudici supremi delle Sezioni Unite hanno dapprima inteso rammentare che la natura plurioffensiva dei delitti in esame aveva in realtà già trovato un preciso fondamento con l’introduzione nel corpo del codice penale dell’art.493-bis, co.1, il quale prevede che nei casi di cui agli articoli 485, 486, 488, 489 e 490 stesso codice (ipotesi di falsità in atti privati), la procedibilità è subordinata alla querela della persona offesa, legittimata di conseguenza ad intervenire anche nel futuro processo.
La visone della moderna giurisprudenza, sempre secondo le Sezioni unite, si è infatti spinta a dare ospitalità ad un numero sempre maggiore di soggetti esponenziali nel processo penale, ammettendo gli stessi ad intervenirvi per fare valere i propri interessi in base ad una c.d. fictio iuris.
Non si vede pertanto perché debba negarsi la legittimazione a costituirsi parte civile in giudizio – e ancor più ad opporsi a richieste di archiviazione – al soggetto privato la cui sfera giuridica abbia trovato concreto pregiudizio per effetto degli elencati reati, la cui idoneità lesiva deve riconoscersi senza dubbio.
Secondo i supremi giudici invero, “il falso non risulta quasi mai fine a se stesso, costituendo, il più delle volte, solo il mezzo per conseguire l’altro obiettivo che costituisce il vero scopo rispetto alla immutatio veri; conseguentemente se il perseguimento di tale fine si riflette in modo incisivo sulla sfera giuridica di un soggetto, non è possibile ignorare, sul piano giuridico, tale ulteriore conseguenza”.
La definitiva spaccatura con la visione sino ad allora formalistica dei reati contro la pubblica fede, può dunque dirsi essere rappresentata dallo spartiacque introdotto dal nuovo articolo 493-bis Cp, che subordina appunto allo schema della perseguibilità a querela della persona offesa la punibilità delle fattispecie di falso in atti privati.
Proprio in tale contesto deve cogliersi, oltre alla fede pubblica, l’interesse di volta in volta protetto dal singolo documento, nella cui titolarità la legittimazione a sporgere querela trova la sua genesi.
La Corte a sezioni unite si è inoltre spinta più avanti, affermando altresì che nemmeno “la diversa natura degli atti, scrittura privata o atto pubblico, possa comportare nel secondo caso la esclusione della coesistenza di un interesse privato, e ciò in quanto non si individuano valide ragioni per affermare che l’interesse pubblico sia tale da giustificare l’azzeramento, sempre ed in assoluto, dell’interesse privato nel caso di falso in atto pubblico”.
Alla luce delle predette valutazioni, le Sezioni Unite hanno perciò voluto ribadire che i delitti contro la fede pubblica offrono tutela anche a coloro sulle cui posizioni giuridiche l’atto incide direttamente e che, in tali evenienze, gli stessi sono ampiamente legittimati a proporre eventuale opposizione alla richiesta di archiviazione (Cfr.Dir.pen.e proc. n.2/2008).
Della natura plurioffensiva dei reati in discorso, non pare debba più dubitarsi per il futuro.
Avv. Alessandro Buzzoni
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento