Con una pronuncia, depositata pochi giorni fa, la Cassazione interviene su una tematica molto delicata che riguarda i minori. La rete internet si avvia a poco a poco a diventare una sorta di cyberspazio senza limiti e controlli. Da strumento di comunicazione, infatti, si sta trasformando in un strumento di abuso, canale privilegiato per coloro che, con atteggiamento perverso, adescano minori sul web e scaricano materiale in cui bambini sono protagonisti di spettacoli sessuali.
Il fatto: L’imputato era stato condannato dal giudice di prime cure in quanto era solito scaricare materiale pedopornografico dal sito Emule e detenere le medesime immagini all’interno di cartelle appositamente create all’interno del proprio desktop.
L’imputazione che era stata al medesimo addebitata, in considerazione dell’ingente produzione di materiale scaricato, era di “Pornografia minorile”, commi 2 e 5 c.p. con l’aggravante della continuazione, ex art. 81 c.p., in quanto in tempi diversi, e secondo un medesimo disegno criminoso, violava più volte la norma suindicata.
Ricorreva in Cassazione, il condannato, rilevando il difetto di motivazione del reato ascritto, lamentava l’eventuale riqualificazione del fatto di reato da 600 ter a 600 quater “Pornografia virtuale” mancando la prova del commercio delle immagine osè detenute. Altresì, si soffermava sulle caratteristiche del programma di Emule e sulle modalità con le quali erano state conservate le foto, facendo notare che, accanto le predette immagini, vi fosse una cartella di eliminazione dei files che proverebbe la mancanza di volontà della diffusione del materiale de qua.
Con la l.172/2012 di ratifica ed esecuzione alla Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, firmata a Lanzarote, si è intervenuti in maniera consistente a modificare ed inasprire il trattamento sanzionatorio dei reati in oggetto.
In particolare modo, ai sensi del delitto di pornografia minorile è sufficiente qualunque rappresentazione degli organi genitali dei soggetti minori per scopi sessuali. Circa l’elemento oggettivo è necessaria la distribuzione, divulgazione, diffusione o pubblicazione del materiale scaricato. E’ necessario, pertanto, che il soggetto attivo utilizzi e condivida il materiale suindicato con una cerchia indeterminata di soggetti.
Riguardo, invece, l’elemento soggettivo, sussistono due indirizzi giurisprudenziali:
il primo sostiene che occorre provare che il soggetto abbia avuto la consapevolezza non solo del materiale che stava scaricando ma anche dell’intenzione di distribuirlo (ex multis Cass. 47820/2013),
un secondo, invece, afferma che il solo fatto di scaricare le immagini incriminate da alcuni programmi tipo Emule e simili implicherebbe di per sé la volontà di diffusione sussistente una sorta di volontà iuris et de iure o una responsabilità oggettiva fondata sul fatto che il soggetto si sta avvalendo di un programma di condivisione (Cass. 11082/2010).
La Corte d’Appello aveva ritenuto, sulla scorta del secondo orientamento citato, che il reato ascritto si realizzava per il solo fatto del tipo di software utilizzato e della quantità di files scaricati, senza valutare né provare se ci fosse un’ ulteriore intenzione di scambio o diffusione.
Anteriormente alla sentenza in commento, un precedente orientamento giurisprudenziale, Cass.11169/2008, aveva ritenuto che la condotta di divulgazione avvenisse in via automatica mediante utilizzo di specifici programmi, che consentivano al tempo stesso la condivisione con altri utenti.
Come sostiene la Suprema Corte, con la sentenza in esame, i giudici dovevano verificare se l’upload era stato realizzato per finalità di approvvigionamento, cosi riqualificando il reato in 600 quater, o per scambiare e diffondere il materiale scaricato.
Gli Ermellini, pertanto, alla luce delle considerazioni esposte, annullavano la sentenza e rinviavano ai giudici di secondo grado per l’istaurazione di un nuovo processo al fine di tenere in considerazione le indicazioni proposti dai Supremi giudici.
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