«[…]in relazione al reato di cui agli artt. 81, comma secondo, 110, 319 e 321 cod. pen., per avere, [il reo[1]] quale commercialista, intermediato – per conto e nell’interesse del proprio cliente [omissis][2] – il versamento da parte di quest’ultimo della somma di 4.000,00 euro a due appartenenti della Guardia di Finanza, ai fini del compimento di atti contrari ai doveri di ufficio nella redazione del processo verbale di constatazione nel corso della verifica fiscale sulla società di proprietà del […], che essi stavano effettuando presso lo studio professionale dell’imputato.>>
Indice
- «Reato continuato» e «Istigazione alla corruzione»: l’inerente disciplina giuridica.
- L’art. 319 c.p. .
Giurisprudenza: art. 81 c.p.; art. 319 c.p.; 322 c.p. .
1. «Reato continuato» e «Istigazione alla corruzione»: l’inerente disciplina giuridica.
Il codice penale, prevede, ai sensi dell’art. 81, comma 2, che:
«Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge (att. c.p.p. 137).
Ovvero, la misura «edittale» di un reato, quale quello rispondente al corpus iuris del citato comma, consta di un sanzionamento di «specie», sostanzialmente commisurato, alla mera «esecutività» di una figurazione «criminosa», del così denominato, «reato continuato», cui alla dizione descrittiva del comma 1 del medesimo art. 81 c.p. .
Fonti giuridiche meno recenti, inquadravano tale tipologia di «illecito», nei seguenti fondamenti circostanziati, richiamati, dall’attuale cognizione codicistica «di merito», distinguente l’art. 81 c.p., o meglio:
«Più violazioni della stessa legge penale, commesse in uno stesso contesto di azione o anche in tempi diversi, con atti esecutivi della medesima risoluzione criminosa, si considerano per un solo delitto continuato; ma la continuazione del delitto accresce la pena entro i suoi limiti legali.».(Codice penale toscano, art. 80)[3].
Ciò implica che, pur essendo oggetto di violazione un’unica medesima disposizione regolamentare di natura penale, la fattispecie delittuosa rilevante, manifesta un’insita struttura sostanziale, meramente «composita».
Pertanto, tale predetta «eterogenea» essenza, poiché rivelata in ordine a più segmenti «temporali», e in seno ad un’unica o più addizionate azioni esecutive, in sé acquisisce, la denominazione di: «reato continuato».
Nel caso di specie, cui alla sentenza n. 23602/20 della Suprema Cassazione penale, viene delibata, unitamente e internamente, al predetto «reato continuato», altresì, la «corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio», cui all’art. 322[4] c.p., ai sensi del quale, il primo e il secondo comma, del medesimo, rendono evidente, che:
«1.Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti, a un pubblico ufficiale (357) o a un incaricato di un pubblico servizio (358), per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell’art. 318, ridotta di un terzo.
2.Se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale (357) o un incaricato di un pubblico servizio (358) a omettere (31, 328) o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l’offerta o la promessa, non sia accettata, alla pena stabilita nell’art. 319, ridotta di un terzo.».
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2. L’art. 319 c.p.
In maniera concludente a quanto finora analizzato, è opportuno, anatomizzare in efficienza giuridica, l’implicazione stessa del più volte citato art. 319[5] c.p., finalizzante l’oggettiva rilevazione di diritto della sentenza predetta.
Quest’ultimo enuncia, testualmente che:
«Il pubblico ufficiale (357), che, per omettere (328) o ritardare o per aver ommesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri d’ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni (32 quater, 320 ss., 323 bis).».
Nei termini cui al predetto corpus iuris, la giurisprudenza di merito, rileva e sistematizza, come noto, «teoreticamente», quanto «operativamente», un inerente «corollario» giuridico, cui al caso di specie, testimoniato dal disciplinare codicistico cui all’art. 318[6] c.p., ovvero:
«Il pubblico ufficiale (357) che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da tre a otto anni (321).».
Di concerto, a quanto ciò premesso, la Cassazione penale, nella sezione VI, e in pronuncia di sentenza n. 4486, risalente al 29 gennaio 2019[7], aggiunge, che, il reato di grave lesione, causata quest’ultima, da un atto contrario ai «doveri d’ufficio», ricevendo per sé, o per terzi, denaro, altra utilità, o, sic et simpliciter, ne accetti la «promessa» (così come propriamente indicato dal rilevante testo dell’art. 319 c.p.), configuri, sostanzialmente, che:
«[…]la dazione indebita pone in pericolo il corretto svolgimento dei pubblici poteri, mentre ove la dazione è sinallagmaticamente connessa al compimento di uno specifico atto contrario a doveri d’ufficio si realizza la concreta lesione del bene giuridico protetto.».[8]
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Note
[1] Il corsivo è della scrivente.
[2] Ibidem.
[3] G.B. IMPALLOMENI, Sul reato continuato, Catania, 1882.
[4] «Istigazione alla corruzione», Libro II, «Dei delitti», Titolo II, «Delitti contro la P.A.», Capo I, «Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.».
[5] «Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio», Libro II, «Dei delitti», Titolo II, «Delitti contro la P.A.», Capo I, «Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.».
[6] «Corruzione per l’esercizio della funzione», Libro II, «Dei delitti», Titolo II, «Delitti contro la P.A.», Capo I, «Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.».
[7] (c.c. 11 dicembre 2018), P.A. [RV 274984] (dalle note procedurali a pedice dell’art. 319 del codice penale commentato curato da L. ALIBRANDI, Piacenza, 2021).
[8] Dalle note procedurali a pedice dell’art. 319 del codice penale commentato curato da L. ALIBRANDI, Piacenza, 2021.
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