Il reato di bancarotta fraudolenta

Lara Farinon 24/05/24

Bancarotta fraudolenta, riciclaggio e autoriciclaggio, frode fiscale, reati tributari, indebita compensazione di crediti fittizi, sono spesso intrecciati l’uno con l’altro; tendenzialmente tipici della zona grigia e di quella imprenditoria spregiudicata che dialoga con le consorterie mafiose. Dalle risultanze investigative emergono molteplici casi che sottendono realtà lecite ed illecite fittamente avviluppate tra loro. Condotte gravi che hanno un grosso impatto sull’economia nazionale ed internazionale.

Indice

1. Il reato di bancarotta: elementi fondamentali

In base all’elemento psicologico (soggettivo) del reato di bancarotta si distinguono le fattispecie della bancarotta fraudolenta ex articolo 216 e della bancarotta semplice ex articolo 217 della legge fallimentare. Nella prima il reato si configura con l’elemento del dolo nella seconda con quello della colpa. La distinzione tra bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta risiede principalmente nelle intenzioni e nelle modalità con cui si compiono gli atti che portano al dissesto finanziario dell’imprenditore o della società. La bancarotta semplice, disciplinata dall’art. 217 della legge fallimentare, è caratterizzata da comportamenti imprudenti, eccessive spese personali rispetto alla situazione economica, o dall’omissione delle scritture contabili senza l’intento fraudolento di danneggiare i creditori. In questo caso la punizione si concentra sulla gestione negligente o imprudente che ha portato al dissesto.Dall’altro lato, la bancarotta fraudolenta, regolamentata dall’art. 216 della legge fallimentare, richiede un intento doloso di mascherare il proprio patrimonio al fine di danneggiare consapevolmente i creditori. La distinzione chiave è dunque la presenza del dolo, che caratterizza la bancarotta fraudolenta come un atto deliberato e malevolo.
La bancarotta fraudolenta rappresenta un grave reato economico caratterizzato dalla deliberata azione di mascherare il proprio patrimonio per provocare l’insolvenza a danno dei creditori.Commette questo delitto l’imprenditore dichiarato fallito che ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni, ovvero – allo scopo di recare pregiudizio ai creditori – ha esposto o riconosciuto passività inesistenti, ha compiuto gravi atti per ritardare il fallimento, ha aggravato il proprio dissesto, omettendo la richiesta di fallimento (c.d. bancarotta patrimoniale). Si configura la bancarotta anche se le predette condotte sono commesse dopo la sentenza e durante la procedura fallimentare (c.d. bancarotta post-fallimentare). Commette altresì il delitto di bancarotta fraudolenta l’imprenditore dichiarato fallito che sottrae, distrugge o falsifica i libri e le scritture contabili allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare un danno ai creditori (c.d. bancarotta documentale), ovvero esegue pagamenti o simula titoli di prelazione per favorire taluno dei creditori (c.d. bancarotta preferenziale) [1].
La Cassazione, nella sentenza n. 11053/2018,  ha affermato che: “ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta è necessario che oggetto di distrazione siano rapporti giuridicamente rilevanti ed economicamente valutabili e non mere aspettative di ricchezza”.Una recente e consolidata giurisprudenza ricomprende fra i beni presenti nella disponibilità del patrimonio anche quelli di provenienza illecita. In particolare sostiene la tesi per cui il patrimonio vada considerato nella sua “consistenza obbiettiva, prescindendo dai modi della sua formazione”.
La bancarotta fraudolenta può essere propria o impropria a seconda di chi riveste la posizione di soggetto attivo del reato. Il reato infatti può essere commesso non solo dall’imprenditore bensì dalla società, o dalle persone che la amministrano e la gestiscono.
L’offesa nei confronti dei creditori che può essere reale o fittizia. È reale se le condotte costituiscono azioni di concreta diminuzione del patrimonio dell’imprenditore. È fittizia se la diminuzione è simulata da azioni che occultano o mascherano il patrimonio.
Anche l’omessa o incompleta tenuta dei libri e le scritture contabili previsti dalla legge rientra tra le ipotesi specifiche di reato previste dall’art. 216, comma 1, n.2 L.F. purché sorretta da dolo specifico [2]. A questo riguardo si evidenzia che il bilancio d’esercizio e consolidato viene qualificato “irregolare” quando non viene redatto con chiarezza e non rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio. Mentre il falso in bilancio [3], che viola la legislazione penale, si configura quando vengono compilate false comunicazioni sociali o un rendiconto non veritiero e corretto dei fatti che sono realmente accaduti oppure degli indicatori nel bilancio d’esercizio. Il tema del falso in bilancio è stato di recente attenzionato da una sentenza della Suprema Corte di Cassazione [4], con la quale i giudici ermellini hanno precisato che scatta, a carico del vice presidente della società, la bancarotta impropria da reato societario ove il bilancio approvato dall’assemblea si riveli falso e la compagine sociale poco dopo fallisce (o meglio, viene sottoposta a liquidazione giudiziale, per utilizzare la terminologia del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza). Ciò vale anche se il vicepresidente è privo di deleghe operative. Infatti, chi redige il bilancio non è il singolo amministratore ma l’intero consiglio nella sua interezza ed è un compito, quest’ultimo, che non può mai essere delegato. Proprio per questo motivo, tutti i membri che compongono il Consiglio di Amministrazione devono rispondere degli illeciti di falso in bilancio, esclusi i membri che hanno messo a verbale il loro dissenso all’approvazione del bilancio.
I motivi che possono spingere una impresa a commettere l’illecito in esame sono molteplici, è possibile far apparire molto più bassa la ricchezza della stessa (per evadere il fisco) oppure, a contrario, far apparire fittiziamente l’impresa molto più ricca per attirare l’interesse dei terzi (specie gli investitori). In caso di falso in bilancio, può accadere che la ricchezza ostentata sia in realtà solo virtuale poiché le voci iscritte nel bilancio non trovano, in realtà, alcun riscontro concreto con conseguente tracollo societario e danno ai creditori.
Per punire il reato di bancarotta (fraudolenta o semplice) è necessaria la dichiarazione di fallimento e quindi occorre che il soggetto che commette il reato sia dichiarato fallito. La sentenza che dichiara il fallimento del reo è una condizione di punibilità del reato. L’articolo 44 del codice penale introduce il concetto di condizione di punibilità affermando che “Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l’evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto”. Le condotte del reato possono essere poste in essere prima o dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, ma la sua punibilità si genera solo al verificarsi della dichiarazione di fallimento.
Ai sensi dell’art. 223 della legge fallimentare, le pene si applicano anche agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci ed ai liquidatori di società dichiarate fallite, se: hanno commesso alcuni dei fatti indicati dall’art. 216; hanno cagionato o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuni dei fatti previsti dal codice civile come reati societari (false comunicazioni sociali, indebita restituzione dei conferimenti, illegale ripartizione di utili o riserve, operazioni in pregiudizio dei creditori, infedeltà patrimoniale, etc…); se hanno cagionato – con dolo o per effetto di operazioni dolose – il fallimento della società, anche semplicemente aggravando una situazione di dissesto già esistente.
La bancarotta fraudolenta patrimoniale è un reato di pericolo, che versa sulla garanzia patrimoniale dei creditori. Vengono dunque in rilievo le attività di distruzione, dissipazione e distrazione. La Cassazione è intervenuta con la sentenza 7437/2020 chiarendo la differenza tra le condotte di dissipazione e di distrazione del patrimonio del fallito. In tema di bancarotta fraudolenta, la condotta di “distrazione” si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se in quel momento l’impresa versi in stato di insolvenza, mentre quella di “dissipazione” consiste nell’impiego dei beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell’azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti.
Nella bancarotta fraudolenta si rintracciano anche delle condotte che impediscono alla procedura fallimentare, rivolta a soddisfare i creditori, di ricostruire esattamente e realmente la situazione patrimoniale dell’imprenditore. L’impedimento dev’essere assoluto e non consistere in una mera difficoltà di ricostruzione della situazione patrimoniale. La norma distingue due casi di bancarotta documentale: quella specifica, che si manifesta con la sottrazione, distruzione o falsificazione dei libri e scritture contabili; quella generica, che si ha quando i documenti vengono tenuti in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Nell’attività di falsificazione si ritengono comprese sia la falsificazione materiale delle scritture, cioè della procedura che porta alla loro formazione, sia la falsificazione ideologica delle stesse, ovvero il loro contenuto. Dottrina e giurisprudenza, analizzando la relazione ministeriale alla legge fallimentare, hanno definito come oggetti materiali di reato tutte le scritture contabili esistenti, sia obbligatorie che facoltative.
Infine, il reato di ricettazione fallimentare è previsto dal terzo comma dell’art. 232 L.F., è previsto nel caso in cui chiunque dopo la dichiarazione di fallimento sottrae, distrae, ricetta, ovvero dissimula beni del fallito (fuori dei casi di concorso in bancarotta o di favoreggiamento); prima della dichiarazione di fallimento, pur essendo consapevole dello stato di dissesto dell’imprenditore che porterà al fallimento stesso, distrae o ricetta merci o altri beni dello stesso o li acquista a prezzo notevolmente inferiore al valore corrente. Anche in questo caso – al pari della domanda di ammissione di crediti simulati – si tratta di reato comune, di reato di pericolo presunto con dolo generico.

2. Case study e inchieste recenti

Bancarotta fraudolenta, auto-riciclaggio e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte sono estremamente frequenti in Italia e spesso avviluppati tra loro. In una recente inchiesta [5], le indagini hanno riguardato i fallimenti di due importanti società, considerate «bare fiscali», che sono state portate a decozione con un passivo complessivo di oltre 180 milioni di euro – attraverso le quali, negli anni, l’imprenditore ha distratto asset dalle società e sfruttato importanti marchi del comparto dei servizi di istruzione e formazione, eludendo il versamento di ingenti imposte dovute all’Erario. In particolare, le investigazioni hanno consentito di rilevare che gli indagati – ricorrendo a vere e proprie società qualificabili come «scatole cinesi», anche di diritto estero – hanno ideato e realizzato una serie di complesse operazioni societarie, commerciali e finanziarie tra le quali spiccano la creazione di una società fiduciaria in Lussemburgo, intestata a terzi ma, di fatto, riconducibile agli indagati, mediante la quale è stata dissimulata la reale proprietà dei beni immobili e marchi, sottratti alle imprese fallite e fatti confluire in un’ulteriore società creata ad hoc, poi sottoposta a sequestro. Inoltre, dalle risultanze investigtive sembra emergere anche la distrazione di ingenti risorse finanziarie destinate a società controllate e collegate attraverso l’appostazione di partecipazioni (poi svalutate) e la concessione di plurimi finanziamenti e prestiti mai restituiti. Stando alle indagini l’evasione fiscale ammonterebbe a 140 milioni. Per il gip, l’imprenditore “cagionava con dolo o comunque per effetto di operazioni dolose il fallimento della società omettendo scientemente e sistematicamente il pagamento delle imposte dirette, delle ritenute previdenziali ai dipendenti e collaboratori e dell’Iva, dal 2000 sino alla declatoria di fallimento, tanto che Equitalia Sud Spa (creditore istante il fallimento) veniva ammessa al passivo fallimentare per il credito di 28,6 milioni di euro”, cifra poi sequestrata dai finanzieri.
Un’altra inchiesta, tuttora in corso, riguarda una società di food biologico italiano, gravata da un passivo di oltre 8 milioni e 600 mila euro, con un piano di concordato semplificato considerato dai giudici “di manifesta implausibilità”, tanto che il tribunale fallimentare di Milano ne ha disposto la liquidazione giudiziale [6]. La dichiarazione di fallimento può dunque portare all’inchiesta per bancarotta a carico di amministratori ed ex amministratori della srl. Per i giudici, la società capogruppo essendo già gravata da una situazione contabile precaria, che ha portato il management a chiedere la composizione negoziata, non può sostenere anche l’altra in liquidazione. La capogruppo deve infatti “prioritariamente affrontare la propria crisi a beneficio del proprio ceto creditorio (…) con riflesso inevitabile di attuale ed insuperabile incertezza sulla sostenibilità del risanamento di altra società”. In un altro filone di indagine del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Gdf, riguardante un’altra società ma del medesimo imprenditore, i pm contestano il falso in bilancio [7]. L’imprenditore, assieme ad altri ex amministratori, consiglieri e sindaci, scrivono i pm di Milano, con “più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso” avrebbe, con gli altri a vario titolo, “consapevolmente” esposto “nei bilanci di esercizio della società fatti “materiali rilevanti non rispondenti al vero” per un “ingiusto profitto” [8]. Agli ex del collegio sindacale viene contestato di aver “omesso ogni attività di vigilanza”, ogni “attività di accertamento sulla corrispondenza del bilancio alle risultanze delle scritture contabili e sull’osservanza delle norme stabilite dall’art. 2426 codice civile in tema di valutazione del patrimonio sociale, ed anzi esprimendo parere favorevole all’approvazione del bilancio redatto in contrasto con detti criteri”. In questo caso l’ipotesi di bancarotta è stata stralciata dal procedimento principale per falso in bilancio perché per “nessuna delle società del gruppo è nel frattempo intervenuta dichiarazione di insolvenza”. Nell’avviso di chiusura delle indagini, la Procura parla di “sistematica incapacità del complesso aziendale di produrre reddito avvalendosi di piani industriali ottimistici – approvati dal cda della società – che contenevano previsioni di reddito operativo (differenza tra il valore della produzione e costo della produzione) mai rispettate, con significativi scostamenti negativi tra i risultati previsionali e i risultati consuntivati”.  

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Note

  1. [1]

    Art. 216 terzo comma, legge fallimentare. “È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione”. Il reato di bancarotta preferenziale può essere consumato prima o dopo la procedura fallimentare a seconda che la condotta si manifesti prima o durante la procedura.

  2. [2]

    Corte di Cassazione, Sez. V pen., 04 ottobre 2023, n. 40446 – Presidente Grazia R.A. Miccoli, Rel. Elisabetta Maria Morosini. Fallimento – Omessa tenuta dei libri e delle scritture contabili – Ipotesi rientrante tra quelle previste dall’art. 216, comma 1, n. 2, L.F. – Necessità però che sia sorretta da dolo specifico – Presupposto per distinguerla da quella prevista dall’art. 217, secondo comma, L.F.

  3. [3]

    Art. 2621 del Codice civile, così come sostituito dall’art. 9 della Legge 27 maggio del 2015 n. 69 entrata in vigore nel 14 giugno del 2015

  4. [4]

    Corte Cassazione, Sezione V Penale 25 maggio 2023 n. 23014. Commette il reato di bancarotta impropria da reato societario l’amministratore che, attraverso mendaci appostazioni nei bilanci, simuli un inesistente stato di solidità della società, consentendo così alla stessa di ottenere nuovi finanziamenti bancari ed ulteriori forniture, giacché, agevolando in tal modo l’aumento dell’esposizione debitoria della fallita, determina l’aggravamento del suo dissesto, ovvero esponga nel bilancio dati non veri al fine di occultare l’esistenza di perdite e consentire, quindi, la prosecuzione dell’attività di impresa in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, con conseguente accumulo di perdite ulteriori, poiché l’evento tipico di questa fattispecie delittuosa comprende non solo la produzione, ma anche il semplice aggravamento del dissesto.

  5. [5]

    Inchiesta Tutoring, Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Gdf

  6. [6]

    Tribunale Fallimentare di Milano, giudici Macchi-Pipicelli-Rossetti, sentenza 09/01/2024 liquidazione giudiziale Ki Group srl

  7. [7]

    Inchiesta Visibilia, 20 persone indagate e 3 società (Visibilia Editore, Visibilia srl in liquidazione e Visibilia Editrice) in data 12/04/2024 è stato notificato l’avviso di chiusura indagini preliminari. I reati contestati, a vario titolo, sono false comunicazioni sociali e false comunicazioni sociali di società quotate.

  8. [8]

    I pm contestano agli indagati, di avere, “con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, ciascuno in ragione delle cariche rivestite”, “consapevolmente” esposto “in violazione degli artt. 2423, 2423 bis e 2426 codice civile nei bilanci di esercizio della società riferibili agli anni 2016, 2017, 2018, 2019, 2020, 2021 e 2022 nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore”. E ciò “al fine di conseguire – si legge ancora nell’avviso – per sé o per altri un ingiusto profitto”, ossia la “prosecuzione dell’attività di impresa nascondendo al pubblico le perdite, evitando sia la necessaria costosa ricapitalizzazione, sia la gestione meramente ‘conservativa’, misure imposte dal dettato normativo di cui agli artt. 2447, 2485, 2486 codice civile”. Avrebbero così ottenuto anche “liquidità mediante l’emissione di prestiti obbligazionari convertibili”, il “mantenimento dei rapporti contrattuali, bancari e finanziari in essere”, il “mantenimento della quotazione”.

Lara Farinon

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