Il reato di furto semplice.
Il reato di furto, a norma dell’art. 624 c.p. punisce chiunque si impossessi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene al fine di trarre profitto per sé o per altri, con la reclusione da 6 mesi a tre anni e con una multa fino a 516 euro.
Il furto, che il legislatore inserisce tra i delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone, è uno dei reati più frequenti nel nostro panorama sociale. E’ un reato comune in quanto può essere commesso da chiunque ed è un delitto di mera condotta, poiché è sufficiente e necessario per la sua configurazione, che il reo si impossessi della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene, senza che da questa condotta necessariamente derivi un evento. È un delitto a forma vincolata perché si perfeziona solo quando il soggetto attivo realizza la sottrazione e l’impossessamento della res mobile altrui ed è monoffensivo perché rileva solo quando viene offeso e compromesso il patrimonio del soggetto passivo.
Per quanto concerne l’elemento soggettivo (animus furandi), oltre al dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di commettere l’azione delittuosa, è necessario un quid pluris rinvenibile nel dolo specifico, che si sostanzia nel trarre profitto, per sé o per altri dalla sottrazione e dall’impossessamento del bene altrui. A tal proposito, è opportuno considerare che non sempre il profitto conseguito è economico o patrimoniale, ma può anche essere di altra natura. Ciò che rileva, in tal senso, è il “delinquere” per soddisfare un proprio bisogno. Si pensi, infatti, al concetto di devianza che oggi induce soprattutto i giovani, il più delle volte con situazioni familiari problematiche, a trasgredire solo per sentirsi parte di un gruppo ed essere accettati dalla società.
L’arresto in flagranza è facoltativo, ma diventa obbligatorio se concorrono due o più circostanze aggravanti che consentono anche il fermo di indiziato di delitto.
Ai fini della consumazione del reato è sufficiente che la res sottratta sia passata , se pur per breve tempo, sotto l’esclusivo dominio del soggetto agente, anche se di fatto non si sia ancora verificato uno spostamento dell’oggetto del reato in un luogo distinto da quello ove è avvenuta la sottrazione [1]. Sulla quaestio del momento consumativo del delitto, la dottrina non ha unanime vedute e nel tempo ha individuato quattro criteri differenti: il criterio dell’amotio che richiede lo spostamento della res, oggetto del reato, dal luogo in cui si trova ad altro luogo indistinto; il criterio della concrectatio che si sostanzia nel semplice fatto di porre la mano sopra la cosa, al fine di impadronirsene; quello dell’ablatio che si configura quando la cosa viene posta al di fuori della sfera di signoria o custodia del soggetto passivo e quello della illatio che prevede che la refurtiva debba essere portata nel luogo inizialmente scelto dal ladro. Sebbene il significato civilistico e penalistico della detenzione[2] , sia molto diverso, dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che l’impossessamento sia da assimilare alla sottrazione, poiché il più delle volte le due azioni sono contestuali, anche se riconoscono che per aversi impossessamento è necessario che la “res”, oggetto del reato, sia definitivamente posta al di fuori della sfera di sorveglianza del precedente possessore.
Il furto semplice è procedibile a querela di parte, salvo che ricorrano una o più delle circostanze di cui agli articoli 61, n. 7 e 625 c.p..
Si legga anche:
-Cosa occorre per verificare se sia configurabile il delitto di furto ovvero quello di truffa;
-Quando è configurabile l’aggravante del mezzo fraudolento
Il furto aggravato dalla destrezza. Profili problematici alla luce delle ultime sentenze della Cassazione.
È bene precisare che sebbene esistono diversi tipi di furto, che si differenziano tra loro per modalità della condotta, luogo, entità della sanzione, tipo di procedibilità, tutti hanno in comune alcune peculiarità, come: l’altrui detenzione dell’oggetto materiale, la condotta tradotta in impossessamento e sottrazione della res mobile altrui, il dolo specifico rinvenibile nel profitto che vuole conseguirsi per sé o per altri e il causato danno patrimoniale. Alcune fattispecie prevedono però un innalzamento dei limiti sanzionatori, qualora il delitto di cui si discorre, sia stato commesso in particolari circostanze aggravanti. Tra le ipotesi di furto aggravato, una fattispecie criminosa che ha richiesto, per dirimere dubbi interpretativi, l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è stato il furto aggravato dalla destrezza, disciplinato dall’ art. 625, comma 1 n. 4 c.p., che prevede la reclusione fino a 6 anni e la multa fino ad euro 1.500.
In particolare, la Corte è stata chiamata a risolvere il dubbio interpretativo se nel delitto di furto, la circostanza aggravante della destrezza prevista dalla norma ut supra menzionata, fosse configurabile anche quando il soggetto agente si limitasse ad approfittare di una situazione di temporanea distrazione della persona offesa.
Invero, per comprendere quando possa concretamente applicarsi l’aggravante in esame, occorre spiegare il concetto stesso di “destrezza”. Il legislatore penale non ne dà una definizione esplicita e proprio la carenza definitoria, ha originato un dissenso di opinioni che ha più volte investito gli operatori del diritto. La dottrina e la giurisprudenza hanno pacificamente stabilito che la destrezza si ravvisa quando la condotta del soggetto agente sia particolarmente agile, scaltra ed ingannevole, sì da eludere la vigile attenzione dell’uomo medio, impedendogli di prevenire la sottrazione della res mobile da lui stesso detenuta. Il quesito, sottoposto al vaglio della Corte di Cassazione, oltre ad un rilievo dogmatico, incide anche sul regime di procedibilità dell’azione penale, atteso che nel caso di specie, si procede d’ufficio e l’innalzamento dei limiti sanzionatori esclude l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131 bis cod. pen.. Prima dell’intervento delle Sezioni Unite, si distinguevano due filoni interpretativi. Un primo indirizzo riconosceva la circostanza aggravante della “destrezza”, ogni qual volta il soggetto agente approfittasse di una situazione favorevole all’impossessamento del bene compresa la momentanea sospensione del controllo su di esso da parte della persona offesa, perché poco attenta o perché momentaneamente impegnata, a svolgere le proprie attività di vita o di lavoro. A tale linea interpretativa, si contrapponeva altro orientamento che escludeva la destrezza nella condotta di chi si avvalesse di un momento di distrazione o di temporaneo allontanamento del detentore dal luogo in cui era detenuta la res, poiché si assumeva che, in tal caso, non si configurava alcuna abilità esecutiva o di scaltrezza da parte del soggetto agente, quanto piuttosto l’audacia di sfidare il rischio di essere sorpresi [3] . Le Sezioni Unite [4], invero, aderiscono a questo ultimo filone interpretativo e partono dall’assunto per cui il testo normativo dell’art. 625 c.p., prevede che la condotta del reo, debba essere caratterizzata da un quid pluris rispetto a quella posta in essere nel caso del furto semplice (che già di per sé postula un comportamento predatorio celato e tale da evitarne la scoperta), rinvenibile non solo nella rapidità e sveltezza del gesto dell’impossessamento, ma anche nella condotta psichica astuta, avveduta e circospetta del soggetto agente, tale da eludere la normale sorveglianza dell’uomo medio sul bene sottratto. I giudici di legittimità nella ricostruzione delle motivazioni, riconoscono inoltre che la condotta destra possa investire tanto la persona del derubato, come nel caso del borseggio, quanto direttamente il bene sottratto se non si trovi sul soggetto passivo, ma sia alla sua portata e sotto la sua immediata vigilanza, anche se non a stretto contatto fisico.
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Compendio di Diritto Penale – Parte speciale
Il testo è aggiornato a: D.Lgs. 75/2020 (lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione); D.L. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni); L. 113/2020 (Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni) e D.L. 130/2020 (c.d. decreto immigrazione). Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, patrocinante in Cassazione; LL.B., presso University College of London; docente di diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali; coordinatore e docente di master universitari; autore di pubblicazioni e monografie in materia di diritto penale e amministrativo sanzionatorio; giornalista pubblicista.
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Nodi irrisolti. Il principio di determinatezza nel segno di una riforma sostanziale del codice penale.
Sebbene la ratio dell’aggravante della destrezza sia quella di sanzionare più pesantemente l’aggressione al patrimonio altrui in condizioni di minorata difesa delle cose, esistono delle ipotesi delittuose che continuano a sollevare dubbi interpretativi in sede dibattimentale. Il riferimento è a quelle ipotesi criminose in cui l’agente non determini volontariamente la disattenzione della persona offesa, ma si limiti ad approfittare di condizioni favorevoli alla sottrazione del bene altrui. Si pensi ancora, a quelle situazioni in cui la distrazione della vittima è provocata dall’agente o da suoi complici, anche se non imputabili, come nel caso di minori, che creino condizioni di disturbo o deviino l’attenzione dell’avente diritto su altro per distoglierla dalla vigilanza sul bene detenuto e che possono integrare il reato di furto aggravato dall’uso di mezzi fraudolenti piuttosto che dalla destrezza.
Com’è facilmente intuibile, la soluzione di tali quesiti ruota attorno al significato da attribuire all’elemento fattuale da cui il legislatore fa discendere l’aggravamento della pena: a seconda dell’interpretazione che se ne fornisce, infatti, si amplia o si restringe il raggio di azione dell’art. 625, c.p. a discapito o a favore del furto semplice.
Una delle cause della discrasia interpretativa che ruota intorno alle aggravanti del reato di furto è da imputare al ricorso da parte del legislatore a clausole o a concetti generali che eludono il principio di precisione e determinatezza nella redazione del testo normativo e determinano in capo all’autorità giudicante il compito di valutare di volta in volta, se la fattispecie concreta presenti i requisiti che prevedono una variazione dei limiti edittali.
La pronuncia delle Sezioni unite n. 34090 del 2017 deve essere accolta con favore, poiché privilegia una lettura attenta al fondamento giuridico della circostanza aggravante e si allinea al rispetto del principio di offensività, pacificamente applicabile anche in caso di circostanze del reato, come riconosciuto dai giudici della Corte Costituzionale (Corte cost., n. 249 del 2010). Pertanto ben venga reinterpretare l’aggravante avvalendosi di un giudizio di sussunzione del fatto concreto, che accerti, oltre alla corrispondenza tra la condotta realizzata e quella descritta nella norma generale ed astratta, anche la maggiore capacità lesiva dei beni giuridici protetti.
Avvalersi del giudizio prognostico è necessario in taluni casi, per determinare l’effettiva pericolosità sociale dell’indagato/ imputato e per favorire la funzione risocializzante dello stesso in linea con i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzione, non dimenticando, che la diversa qualificazione giuridica di taluni comportamenti che rientrerebbero, per il valore esiguo e di scarsa dannosità nella fattispecie del furto semplice, potrebbe avere anche un significativo effetto deflattivo per i carichi di lavoro dell’attività giudiziaria, dal momento che la procedibilità a querela di questo delitto potrebbe determinare una sensibile riduzione di quei procedimenti penali volti ad accertarne la sussistenza: non è difficile pensare che, soprattutto rispetto ai furti di scarso valore economico, la vittima potrebbe decidere, anche in un momento successivo, di rimettere la querela. Condivisibile, pertanto, la riflessione di parte della dottrina che auspica una riduzione del potere discrezionale del giudice attraverso una riforma del codice penale che nell’ottica del recupero della certezza della pena , proceda all’assorbimento o alla soppressione delle circostanze aggravanti nei criteri intra-edittali di commisurazione della pena di cui all’art. 133 c.p..[5]
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Note
[1]Cass. Pen., sez. V, 6 febbraio 2014, n. 5843.
[2]Caringella F., Campanile V., Marrone P., Atti e Pareri Diritto Penale , Dike 2020, pag. 702 e ss.. Il codice civile individua la detenzione come il potere di fatto sulla cosa e la distingue dal possesso per l’animus che alimenta la condotta del titolare della res; mentre il diritto penale distingue l’animus detinendi che si sostanzia nella intenzione di tenere la cosa presso di sé e il rapporto di fatto sulla res, indipendentemente dall’ elemento soggettivo che la dottrina civilistica invero pone come presupposto della detenzione.
[3] Cass. Pen., sez. IV, sent. n. 46977 del 10/11/2015.
[4] Cass. Pen., sez. Un., sent. n. 34090 del 27/04/2017.
[5] Amarelli G., “Il furto aggravato dal mezzo fraudolento: tra offensività e tipicità rinasce il furto semplice?”, Giuffre 2014, p. 802 e ss.
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