L’accesso dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo a una misura riguardante le prestazioni sociali, l’assistenza sociale o la protezione sociale (come il Reddito di Cittadinanza) non può essere subordinato al requisito di aver risieduto per almeno dieci anni in uno Stato membro, e al medesimo Stato risulta vietato sanzionare penalmente una falsa dichiarazione riguardante tale requisito illegale di residenza. Questo il dictum reso il 29 luglio dalla Grande sezione della Corte UE nelle cause riunite C-112/22 CU e C-223/22 ND.
Indice
1. La vicenda: la richiesta di reddito da cittadine di Paesi terzi
Due cittadine di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo in Italia erano state accusate di aver commesso un reato, in particolare aver sottoscritto istanze volte a ottenere il “reddito di cittadinanza”, prestazione sociale intesa a garantire un minimo di sussistenza. Avrebbero falsamente attestato di soddisfare i requisiti per la concessione di detta prestazione, incluso il requisito della residenza della durata di almeno dieci anni in Italia, di cui gli ultimi due in modo continuativo. Le stesse avrebbero indebitamente percepito, a tale titolo, una somma totale pari a, rispettivamente, euro 3.414,40 e 3.186,66. Il Tribunale si è quindi rivolto alla Corte di giustizia UE, chiedendo se il requisito di residenza risulti conforme alla Direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.
2. Il requisito della residenza decennale
La Corte UE ha ritenuto che il requisito di residenza decennale costituisca una discriminazione indiretta verso i cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo. Pure se tale requisito si applica anche ai cittadini nazionali, lo stesso interessa in modo peculiare gli stranieri, tra i quali figurano i cittadini di paesi terzi.
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3. La disparità di trattamento
La Corte ha esaminato la questione relativa alla disparità di trattamento, verificando se possa essere giustificata dalla differenza dei rispettivi legami con lo Stato membro interessato dei cittadini nazionali e dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, constatando, al contempo, che la direttiva prevede, affinché un cittadino di un paese terzo possa ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo, un requisito di soggiorno legale e ininterrotto di cinque anni nel territorio di uno Stato membro. Il legislatore unionale ha considerato detto intervallo temporale sufficiente per avere diritto alla parità di trattamento coi cittadini di tale Stato membro, in particolare, per quanto riguarda le misure in materia sociale.
4. Nessuna proroga
Per l’effetto, uno Stato membro non può prorogare in modo unilaterale il periodo di soggiorno richiesto dalla direttiva affinché un cittadino di un paese terzo soggiornante di lungo periodo possa usufruire di un trattamento paritario rispetto ai cittadini di tale Stato membro in materia di accesso a una simile misura.
5. Il verdetto
Uno Stato membro non può subordinare l’accesso dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo a una misura che afferisce alle prestazioni sociali, all’assistenza sociale ovvero alla protezione sociale al requisito, applicabile pure ai cittadini di tale Stato membro, di aver risieduto in tale Stato membro per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo.
6. No alle sanzioni penali
La Corte di Lussemburgo ha rilevato il divieto, verso lo Stato membro interessato, di sanzionare penalmente una falsa dichiarazione relativa a un requisito di residenza, in quanto collide col diritto dell’Unione.
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