Referendum abrogativo: i limiti di ammissibilità

Con questo contributo si intende soffermarsi sui limiti che l’azione referendaria abrogativa incontra alla luce sia della disciplina contenuta nella Costituzione, sia dell’evoluzione giurisprudenziale che ha caratterizzato questi ultimi decenni e che ha dato vita in questo ambito ad un consolidato filone ermeneutico.

Indice

1. L’istituto referendario


L’istituto del referendum è annoverato tra gli strumenti giuridici – di concerto con l’istituto dell’iniziativa legislativa popolare – che consentono di rappresentare la volontà popolare in maniera diretta, senza alcuna interferenza politica. Mediante l’uso dello strumento referendario difatti viene meno l’intermediazione con i rappresentanti eletti del popolo, che costituisce la base del parlamentarismo, e proprio per tale ragione il ricorso al referendum è generalmente descritto con l’espressione gergale “giochi somma zero”[1], ovvero la decisione espressa dai cittadini non risente degli intriseci compromessi che caratterizza l’attività politica parlamentare. Comparando l’effettiva immediatezza del referendum con l’istituto dell’iniziativa legislativa popolare, emerge ictu oculi come il primo agisca in maniera ancora più diretta rispetto al secondo, ciò alla luce del fatto che la presentazione di un disegno di legge nato direttamente dalla volontà popolare necessita la condivisione dello stesso proposito di 500 000 elettori, oltre al fatto che l’intervento dei cittadini viene limitato solo ad una delle 5 fasi legislative – id est la presentazione del disegno di legge – mentre i restanti momenti della formazione del provvedimento legislativo rimangono necessariamente in balia delle logiche parlamentari. Ci si rifà dunque alle mediazioni – nelle more dell’approvazione del disegno di legge – tra forze politiche opposte seppur nel rispetto della volontà popolare espressa al momento della presentazione del disegno di legge, accordi che, a causa degli interessi sempre più divergenti delle diverse fazioni, comportano una sempre maggior farraginosità dell’iter legislativo.
I Padri costituenti discussero a lungo, in sede di redazione del testo costituzionale, sulle tipologie di referendum da introdurre, optando in ultimo per 4 forme distinte: il referendum costituzionale ex art 138 Cost[2], il referendum abrogativo ex art 75 Cost, il referendum per la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni ex art 132 co 1 Cost[3] e il referendum per staccare un comune o una provincia da una regione e aggregarli ad un’altra ai sensi dell’art 132 co 2 Cost[4].

2. Il referendum abrogativo e i limiti


Si è affermato nella parte introduttiva che il referendum abrogativo costituisce una delle modalità di rappresentanza diretta delle volontà del popolo: in realtà la stessa Carta costituzionale pone delle limitazioni all’azione abrogativa del referendum ed in particolare l’art 75 Cost enuclea i cosiddetti “limiti espliciti”, che non possono essere valicati e di cui la Corte costituzionale tiene conto nel giudizio di ammissibilità del quesito referendario. Non solo, nel corso degli anni si sono aggiunte ulteriori limitazioni, definiti dalla dottrina “limiti impliciti e logici”, elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, che hanno fatto sì che l’ambito applicativo del referendum abrogativo sia ancora più ristretto rispetto a quello originariamente ed esplicitamente previsto dalla Costituzione. Questa trattazione andrà ad analizzare in primo luogo le disposizioni legislative che vanno a specificare i compiti attribuiti alla Corte costituzionale nel giudizio di ammissibilità; in secondo luogo, si studieranno i limiti espliciti, impliciti e logici, per poi concludere con l’analisi delle limitazioni alla formulazione dei quesiti referendari, ultimando con lo studio della legittimità dei referendum in merito alle leggi elettorali.

2.1. Disposizioni normative sul giudizio di ammissibilità


Si è in precedenza ricordato che l’organo deputato al giudizio di ammissibilità dei quesiti referendari è la Corte costituzionale, nonostante l’art 134 Cost – che elenca le prerogative di tale organo – non annoveri questa specifica funzione. Infatti, tale compito istituzionale fu introdotto successivamente all’entrata in vigore della Costituzione, con la L. cost. n. 1 del 11 marzo 1953: l’art 2 co 1 statuisce che “Spetta alla Corte costituzionale giudicare se le richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell’art. 75 della Costituzione siano ammissibili   ai   sensi   del   secondo   comma dell’articolo stesso”. Il comma 2 del medesimo articolo invece contiene una riserva di legge in merito alle modalità del giudizio[5], riserva che venne poi sciolta dalla L. 25 maggio 1970, n 352, il cui titolo 2° (artt. 27-40) è denominato “Referendum previsto dall’art 75 della Costituzione”. La norma di riferimento di quest’ultima legge è l’art 33, che disciplina nel dettaglio il procedimento deliberativo circa la verifica di ammissibilità: il comma primo prevede che “Il  presidente  della  Corte costituzionale, ricevuta comunicazione dell’ordinanza  dell’Ufficio centrale che dichiara la legittimità di una  o  più  richieste di  referendum,  fissa  il  giorno  della deliberazione  in  camera  di  consiglio  non  oltre  il  20  gennaio dell’anno  successivo  a quello in cui la predetta ordinanza è stata pronunciata, e nomina il giudice relatore”. Mentre il comma quattro stabilisce che “la Corte costituzionale, a norma dell’articolo 2 della legge costituzionale   11 marzo 1953, n.  1, decide con sentenza, da pubblicarsi entro il 10 febbraio, quali tra le richieste siano ammesse e quali respinte, perché contrarie al disposto del secondo comma dell’articolo 75 della Costituzione”.

2.2. Limiti espliciti


La norma di riferimento nell’ambito del giudizio di ammissibilità delle richieste referendarie è l’art 75 Cost. Il primo comma[6] enuncia in maniera chiara e precisa da un lato l’effetto ultimo dell’applicazione di questo istituto, ovvero l’abrogazione totale o parziale di disposizioni normative[7]; d’altro lato elenca i soggetti titolari dell’iniziativa referendaria: 500000 elettori o 5 Consigli Regionali. Il comma secondo[8] invece costituisce il primo punto di riferimento a cui la Corte costituzionale si rifà prima facie nel processo valutativo dell’ammissibilità dei referendum. Nel dettaglio, l’art 75 co 2 Cost elenca le materie riguardo cui le disposizioni normative non possono essere abrogate con lo strumento referendario: in primo luogo non sono ammessi quesiti inerenti alle leggi tributarie e di bilancio, la cui disciplina è contenuta nell’art 81 Cost. Tale limitazione è stata analizzata approfonditamente dalla Consulta nella sent. 2 febbraio 1978, n. 16, con la quale i giudici delle leggi evidenziarono che queste disposizioni normative non devono essere confuse con “le innumerevoli leggi di spesa, del genere di quella concernente il finanziamento dei partiti politici. E questi stessi atti, d’altra parte, non possono neppure esser fatti rientrare fra le leggi finanziarie, intese nel senso più proprio del termine”.
Secondariamente, non è consentito neanche proporre un quesito referendario in merito alle leggi di amnistia e indulto, la cui normativa è da ricondurre all’art 79 Cost, modificato con l. cost. 6 marzo 1992, n. 1, con cui si è sostituita la deliberazione di amnistia e indulto mediante decreto del Presidente della Repubblica su legge di delegazione della Camere, con l’approvazione di una legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti delle due Camere.
In ultimo la Costituzione pone il divieto di ammettere referendum aventi ad oggetto le leggi di autorizzazione dei trattati internazionali. In merito a quest’ultimo punto, è interessante evidenziare la ratio sottostante: il Costituente vuole far ricadere la responsabilità assunta dallo Stato verso gli altri contraenti internazionali – a seguito dell’abrogazione delle norme attuatrici dei trattati – alla valutazione politica del Parlamento ex art 80 Cost, sottraendo dunque la decisione al corpo elettorale[9].
Queste tre limitazioni espressamente previsti dalla Costituzione vengono definite dalla dottrina “limiti espliciti”.

2.3. Limiti impliciti e logici


Oltre a quelli espliciti sopracitati, il controllo di ammissibilità da parte della Corte costituzionale prevede il rispetto anche di altri limiti non rintracciabili specificamente nel testo costituzionale. La giurisprudenza ormai consolidata ha dato vita negli anni ad un’altra serie di limitazioni definite “limiti impliciti”, che pongono un argine all’applicabilità della forza abrogatrice del referendum. La prima sentenza che ha dato avvio a questo filone giurisprudenziale è la storica sent. 2 febbraio 1978, n. 16, nella quale i giudici delle leggi ritennero che “si dimostri troppo restrittiva quella configurazione del giudizio di ammissibilità, per cui sarebbe affidato alla Corte il solo compito di verificare se le richieste di referendum abrogativo riguardino materie che l’art. 75 secondo comma Cost. escluse dalla votazione popolare. […] È altrettanto sostenibile – in ipotesi – che essa [la testuale indicazione delle cause d’inammissibilità] presuppone una serie di cause inespresse, previamente ricavabili dall’intero ordinamento costituzionale del referendum abrogativo”.
In particolare, dall’analisi della suddetta sentenza, si esclude l’ammissibilità di “richieste che non riguardino atti legislativi dello Stato aventi la forza delle leggi ordinarie, ma tendano ad abrogare – del tutto od in parte – la Costituzione, le leggi di revisione costituzionale, le “altre leggi costituzionali” considerate dall’art. 138 Cost., come pure gli atti legislativi dotati di una forza passiva peculiare”, ovvero delle cosiddette fonti specializzate[10], la cui esistenza all’interno dell’ordinamento dà vita quelli definiti comunemente dalla dottrina “limiti logici”.
Non possono essere ammessi neanche i quesiti che hanno ad oggetto delle “disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato[11], riferendosi a quelle normative la cui modifica indefettibilmente consegue nella lesione degli interessi specifici tutelati dalla Costituzione. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, l’ampliamento dei limiti all’ammissibilità del referendum è conseguente all’integrazione tra l’interpretazione letterale del testo costituzionale e l’interpretazione logico-sistematica “per cui vanno sottratte al referendum le disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto all’ambito di operatività delle leggi espressamente indicate dall’art. 75, la cui preclusione debba ritenersi sottintesa”.
In base a questo ultimo principio espresso in tema di interpretazione logico-sistematica da adottare in fase di verifica di ammissibilità dei quesiti referendari, la sent. 12 febbraio 1981, n. 30 ha introdotto un ulteriore nuovo limite: si tende infatti a non ammettere richieste referendarie riguardo a leggi a contenuto comunitariamente vincolante[12], da intendersi come “quelle norme, la cui emanazione è, per così dire, imposta dagli impegni assunti sul piano internazionale, per le quali, dunque non vi sia margine di discrezionalità quanto alla loro esistenza e al loro contenuto, ma solo l’alternativa tra il dare esecuzione all’obbligo assunto sul piano internazionale ed il violarlo, non emanando la norma o abrogandola dopo averla emanata”.
In ultimo, sono inammissibili anche quesiti riguardanti le cosiddette “leggi obbligatorie o necessarie[13]”, cioè quelle disposizioni la cui esistenza è prevista esplicitamente dalla Costituzione, la quale però lascia libero arbitrio al legislatore in relazione alla determinazione del contenuto.

2.4. Limiti alla formulazione del quesito referendario


La giurisprudenza negli anni non si è limitata a introdurre delle limitazioni ulteriori rispetto all’art 75 Cost relativamente all’ammissibilità del referendum, ma si è più volte espressa anche sulla forma che il quesito referendario deve presentare. Questo aspetto è stato anche disciplinato in parte dal legislatore ex art 27 co 1 L. 352/1970[14], che prevede che il quesito debba essere espresso nella forma “volete che sia abrogata” seguita dalla data, numero e il titolo della disposizione normativa che si intende sottoporre al sindacato del corpo elettorale. Il comma secondo del suddetto articolo integra la disciplina concernente le richieste di referendum per abrogazioni parziali, nel qual caso si deve specificare nel testo del quesito le indicazioni dell’articolo o degli articoli che sono sottoposti al referendum[15]. Infine, la disposizione al comma terzo[16] statuisce che, se si tratta di proporre referendum abrogativo di parte di uno o più articoli, la richiesta deve anche contenere l’indicazione del comma e la trascrizione del testo di questo.
La prima pronuncia che ha dato il via ad un filone ermeneutico ormai più che solido inerente a questo ultimo aspetto è rintracciabile nella già citata sent. 2 febbraio 1978, n.16: i giudici della Consulta, infatti, scrissero che una delle ragioni di inammissibilità di una proposta referendaria è la sottoposizione di “una tale pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria”, in quanto lesive della natura di “strumento di genuina manifestazione della sovranità popolare” caratteristico dell’istituto stesso. Infatti, proporre al corpo elettorale una serie di quesiti che sono slegati tra loro in riferimento sia alla ratio delle disposizioni normative, che al contenuto dello stesso, comporta – secondo la Corte – una contraddizione rispetto al principio democratico sancito dall’art 1 Cost e alla libertà di voto tutelato dall’art 48 Cost. Pertanto, dinnanzi ad un quesito consistente in richieste eterogenee, il corpo elettorale viene posto di fronte ad un triplice ordine di difficoltà: l’elettore potrebbe esprimere un parere negativo all’abrogazione delle norme contenute nel quesito nonostante sia favorevole all’estromissione dall’ordinamento giuridico solo di alcune di esse; ovvero il votante potrebbe invece approvare la proposta referendaria anche se non favorevole all’abrogazione di alcune delle disposizioni; in ultimo il cittadino potrebbe optare per l’astensione perché non in grado, a causa della promiscuità delle richieste del quesito, di esprimere un parere a riguardo. Nella stessa pronuncia, si afferma poi il necessario utilizzo di “termini chiari e semplici, con riferimento a problemi affini e ben individuati”, pena la scissione o il rigetto del quesito.
Un’altra pronuncia della Corte costituzionale nella quale si avvalorano i principi ora espressi, specificando nel dettaglio i requisiti formali necessari per l’ammissibilità del referendum, è la sent. 30 gennaio-10 febbraio 1997, n. 36. Il punto cruciale è rintracciabile nel fatto che il quesito referendario, oltre a rispettare i criteri sopramenzionati, non può di fatto proporre norme innovative all’ordinamento giuridico ottenute mediante una attenta formulazione della domanda, in quanto “contrario alla logica dell’istituto, giacché si adotterebbe non una proposta referendaria puramente ablativa, bensì innovativa e sostitutiva di norme”. Conseguentemente un’eventuale abrogazione parziale di una disposizione normativa ad opera del referendum non deve risolversi in una proposta all’elettore – estranea al sistema delle norme vigenti – ottenuta mediante “l’operazione di ritaglio sulle parole e il conseguente stravolgimento dell’originaria ratio e struttura della disposizioni”, proibendo dunque un eventuale carattere propositivo di tale istituto. Come detto, inizialmente, questo approccio limitativo rispetto alla modalità di formulazione del quesito è avvalorato da numerose sentenze della Corte costituzionale: partendo dalla sent. del 19-28 gennaio 1999, n. 13 che avvalora la linea ermeneutica adottata dalla Corte due anni prima, per poi approdare a sentenze più recenti tra cui la sent. 28/2011, la sent. 13/2012 ed in ultimo la sent. 10/2020, nelle cui argomentazioni i giudici della Consulta fanno un costante richiamo alla sent. 36/1997.

2.5. Limiti al referendum abrogativo in merito alle leggi elettorali


Lo studio della giurisprudenza sull’ammissibilità dei referendum aventi ad oggetto leggi elettorali merita una trattazione separata. Per cominciare, non si può non citare le tesi di una parte della dottrina che crede che anche questa delicata materia debba essere inclusa in quelle annoverate dall’art 75 co 2 Cost.  I sostenitori di questo orientamento sostengono in primo luogo che nella redazione finale della Carta costituzionale si è omesso erroneamente di includere tra le materie esenti dall’azione del referendum abrogativo le leggi elettorali, che invece un emendamento aggiuntivo votato dall’Assemblea costituente nella seduta pomeridiana del 16 ottobre 1947 prevedeva. In secondo luogo, si adduce anche il necessario parallelismo che si instaura mediante interpretazione dell’art 75 co 2 Cost con le materie elencate dall’art 72 co 4 Cost, che invece indica quelle escluse dall’attività redigente o deliberante delle commissioni parlamentari. La Corte costituzionale, con sent. 17 gennaio-2 febbraio 1991, n. 47, intervenne per dirimere queste divergenze interpretative, sostenendo lapidariamente che la versione della Costituzione che fa fede in termini giuridici è quella promulgata dal Capo provvisorio dello Stato e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, siccome non rientra nei poteri attribuiti alla Corte “riscrivere alcun punto del testo della Carta costituzionale, quale sancito dalla votazione finale del 27 dicembre 1947”.
Quanto ai limiti del potere abrogativo in merito alle leggi elettorali, la prima sentenza della Consulta che fu pronunciata in questo senso è la sent. 16 gennaio – 3 febbraio 1987, n.29.Dall’analisi della pronuncia, si evince come in realtà non è possibile proporre un referendum abrogativo che colpisca nel complesso una legge elettorale, ciò per due ordini di motivi: da un lato, la mancanza di una chiara ed esplicita alternativa va ad incidere sulla piena consapevolezza della scelta in capo all’elettore, che costituisce un presupposto necessario del voto nell’ambito della legislazione abrogativa. D’altro lato, l’estromissione dal sistema elettorale di un organo costituzionale o di rilevanza costituzionale causerebbe una inevitabile paralisi del funzionamento del sistema istituzionale, evento inammissibile nell’ottica della salvaguardia del supremo principio della costante operatività. I giudici, quindi, ribadirono in ultimo “l’indefettibilità della dotazione di norme elettorali per gli organi la cui composizione elettiva è espressamente prevista dalla Costituzione”, ponendo conseguentemente il divieto di ammettere referendum che vanno ad abrogare norme in questo senso. Concordemente con i principi espressi in questa pronuncia, la sent. 16 gennaio-4 febbraio 1993, n. 32 apportò – nell’elencare i 2 presupposti necessari per l’ammissibilità di un referendum nella materia elettorale riferita ad organi costituzionali o di rilevanza costituzionale – una novità nel panorama ermeneutico: in primo luogo, come già ribadito in precedenza, è necessaria la chiarezza ed omogeneità dei quesiti, che devono essere riconducibili, dunque, ad un’unica matrice unitaria[17];  in secondo luogo, la Corte introdusse il requisito della coerenza della disciplina residua: la normativa superstite a seguito dell’abrogazione deve essere “immediatamente applicabile, in guisa da garantire, pur nell’eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività dell’organo”. 
Un’ ultima analisi deve incentrarsi anche sull’ammissibilità della forma dei quesiti referendari relativi alle leggi elettorali: anche in questo ambito la Corte costituzionale introdusse delle eccezioni rispetto alle limitazioni espresse nei giudizi di ammissibilità di altri referendum. Con la sopracitata sent. 17 gennaio-2 febbraio 1991, n. 47, si ammise la possibilità di introdurre porzioni normative anche brevissime qualora l’estromissione di esse comporterebbe una diminuzione della chiarezza, univocità ed omogeneità del quesito referendario e se il mantenimento formale della disposizione normativa, a seguito dell’abrogazione delle parti indicate nel quesito, potrebbe suscitare dubbi sull’intento dei promotori del referendum. Questa stessa linea viene confermata dalla sent. 16 gennaio-4 febbraio 1993, n. 32, nella quale si affermò la liceità dell’introduzione di “singole parole o singole frasi della legge prive di autonomo significato normativo” allorquando vengano ad esistere i due presupposti citati sopra e sia necessario, ai fini della chiarezza, omogeneità ed univocità della richiesta referendaria, per consentire agli elettori la possibilità di esprimere un voto consapevole.
Anche questo filone giurisprudenziale in materia di referendum aventi ad oggetto leggi elettorali è stato confermato da molte pronunce della Corte costituzionale, anche di recente datazione: la sent. 16/2008 ribadì che i referendum abrogativi “non possono avere ad oggetto una legge elettorale nella sua interezza, ma devono necessariamente riguardare parti di essa, la cui ablazione lasci in vigore una normativa complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo”; la sent. 15/2008 sottolineò che la residua normativa deve risultare “in una disciplina in grado di far svolgere correttamente una consultazione elettorale in tutte le sue fasi, dalla presentazione delle candidature all’assegnazione dei seggi”; da ultimo la recente sent. 10/2020 richiamò direttamente le pronunce già precedentemente citate in questo paragrafo.

3. Conclusioni


Questo articolo si è posto come obiettivo la volontà di sottolineare come lo strumento referendario, che consente una rappresentazione diretta del popolo nelle decisioni politiche, incontri molti limiti, anche non previsti direttamente dal Costituente. A tal riguardo è interessante notare come in realtà, nonostante nell’immaginario collettivo il referendum sia considerato il portavoce più sincero delle esigenze dei cittadini, il ricorso a tale strumento sia mediato, e non immediato come si crede. Alcuni sostengono che le inibizioni introdotte dalla giurisprudenza costituzionale eccedano rispetto alle volontà vere dei Padri costituenti, ma d’altro canto si deve ammettere che sarebbe eccessivamente restrittivo limitare il giudizio di ammissibilità alla disciplina così asciutta e sintetica prevista dall’art 75 Cost. Imprescindibile, dunque, è interpretare i dettami della Costituzione in una luce logico-sistematica, tenendo conto dei principi generali espressi dalla Carta fondamentale: in questo modo si scorge la via per introdurre nell’ordinamento i limiti impliciti e logici all’ammissibilità del referendum abrogativo.
In conclusione, è pur sempre necessario rammentare come l’attività interpretativa è effettuata dai giudici della Corte costituzionale, che risentono inevitabilmente del contesto storico-socioculturale del Paese in cui operano e dunque, sebbene allo stato attuale si abbia di fronte una solidissima linea giurisprudenziale in tema di limiti al referendum abrogativo, nulla esclude la possibilità che in tempi futuri e in situazioni storiche diverse si possa raggiungere una visione ermeneutica dell’art 75 Cost diversa rispetto a quella attuale.

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Note

  1. [1]

    Cfr. Barbera A., Fusaro C., Corso di diritto costituzionale, il Mulino, 2020, 313: la volontà di coloro che prevalgono diventa la volontà del popolo senza mediazione (ovvero “chi vince vince tutto, chi perde perde tutto). È, in altre parole, un procedimento decisionale che non ammette compromessi e vie di mezzo, come invece di solito accade nelle assemblee rappresentative.

  2. [2]

    L’art 138 Cost prevede che “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
    Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
    Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.

  3. [3]

    L’art 132 co 1 Cost recita: “Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse”.

  4. [4]

    L’art 132 co 2 Cost recita: “Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra”.

  5. [5]

    L’art 2 co 2 l.cost. n.1 del 11 marzo 1953 afferma che “Le modalità di tale giudizio saranno stabilite dalla legge che disciplinerà lo svolgimento del referendum popolare”.

  6. [6]

    L’art 75 co 1 Cost afferma che “E? indetto referendum popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali”.

  7. [7]

    Si pone dunque come alternativa all’abrogazione tacita, espressa, o per nuova regolamentazione dell’intera materia disciplinata ai sensi dell’art 15 disposizioni preliminari al codice civile.

  8. [8]

    L’art 75 co 2 Cost recita: “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”.

  9. [9]

    Cfr. sent. Corte cost. del 12 febbraio 1981, n. 30.

  10. [10]

    Un esempio di atto legislativo ordinario avente forza passiva peculiare – dunque insuscettibile di essere abrogata per mezzo del referendum – sono le leggi di esecuzione dei Patti Lateranensi in forza dell’art 7 Cost.

  11. [11]

    Cfr. Barbera A., Fusaro C., Corso di diritto costituzionale, il Mulino, 2020, 317: inammissibile è stato considerato il quesito abrogativo di alcune parti della legge sull’aborto, in quanto tutela minima del diritto alla salute imposta dall’art 32 Cost; a tal riguardo vedasi sent. Corte cost. 35/1997.

  12. [12]

    Cfr. Barbera A., Fusaro C., Corso di diritto costituzionale, il Mulino, 2020, 317: sono state ritenute inammissibili richieste in materia di contratti di lavoro a tempo determinato e parziale, perché l’abrogazione avrebbe esposto lo Stato italiano a responsabilità per inadempimento dell’obbligo di attuare alcune direttive comunitarie; a tal riguardo vedasi sent. Corte cost. 41/2000 e sent. Corte cost. 45/2000.

  13. [13]

    Due esemplificazioni di leggi obbligatorie e necessarie sono la legge di bilancio e la legge sulle modalità di attuazione del referendum a cui rinvia l’art 75 co 5 Cost.

  14. [14]

    Testualmente si prevede che “Al fine di raccogliere le firme dei 500.000 elettori necessari per il referendum previsto dall’articolo 75 della Costituzione, nei fogli vidimati dal funzionario, di cui all’articolo 7, si devono indicare i termini   del quesito che si intende sottoporre alla votazione popolare, e la legge o l’atto avente forza di legge dei quali si propone   l’abrogazione, completando la formula “volete che sia abrogata…”  con la data, il numero e il titolo della legge o dell’atto avente valore di legge sul quale il referendum sia richiesto.

  15. [15]

    Il co 2 dell’art 27 L. 352/1970 stabilisce che “Qualora si richieda referendum per abrogazione parziale, nella formula indicata al precedente comma deve essere inserita anche l’indicazione del numero dell’articolo o degli articoli sui quali il referendum sia richiesto”.

  16. [16]

    L’art 27 co 3 L. 352/1970 recita: “Qualora si richieda referendum per la abrogazione di parte di uno o più   articoli   di legge, oltre all’indicazione della legge e dell’articolo di cui ai precedenti commi primo e secondo, deve essere inserita   l’indicazione   del   comma, e dovrà essere altresì integralmente trascritto il testo letterale delle disposizioni di legge delle quali sia proposta l’abrogazione”.

  17. [17]

    Cfr. sent. Corte cost. del 2 febbraio 1978, n.16.

Francesco Uncini

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