Al c.4 dell’art. 119 Cost. è espresso un principio d’importanza assoluta per il suo valore d’indirizzo programmatico legislativo e per costituire la tradizionale fonte d’ispirazione dei sistemi istituzionali finanziariamente autonomi.
La sua veste giuridica è quella di “clausola di autosufficienza”, la quale presuppone che siano gli stessi enti territoriali a reperire autonomamente le risorse necessarie per l’eser- cizio delle loro funzioni, avvalendosi, specificamente, dello strumento dell’imposizione tributaria.
A tale riguardo, va detto che l’equiordinazione degli enti territoriali posta dall’art.114 Cost., appare più come una soluzione di facciata che come una vera e propria evoluzione istituzionale, poiché, oltre ad essere circoscritta dai principi di coordinamento, è inevitabilmente contraddetta dalla riserva di legge in materia di prestazioni imposte ai sensi del ricordato art.23Cost.. A questa prima rilevazione, autori dall’indubbia intuitività, aggiungono che la reale e limitata innovazione introdotta dalla l. cost. n°3/01, nell’indisponibilità di norme di attuazione dalle quali si possa evincere l’effettiva sostanza della riforma circa la potestà tributaria, non consentirebbe alle Regioni di disporre, e conseguentemente esercitare, un potere di opposizione maggiore (anche in sede d’impugnazione costituzionale) verso le ingerenze statali, in quanto prive del minimo para- metro costituzionalmente azionabile dinanzi al giudice delle leggi.
Ma, altrettanto sostenuta è la posizione di coloro i quali, contrariamente, pensano che gli elementi di novità al riguardo non manchino e che la definizione dell’autonomia tributaria e della potestà legislativa regionale sia, per disposto costituzionale, qualitativamente diversa da quella originariamente prevista, e di ciò la Corte Costituzionale non potrà non tenerne conto.
[1]
Muovendo da un’interpretazione sistematica degli articoli 114, 117 e 119 della Costituzione si giunge alla conclusione per cui il nuovo sistema costituzionale prefigurerebbe, in modo sostanzialmente innovativo rispetto al passato, un “plurale” sistema tributario dello Stato e delle Regioni (qualificato come “primario” in forza della capacità dei due enti di soddisfa- re la riserva di legge all’art.23Cost.) ed uno (“secondario”) tipico degli enti locali che “s’inserirebbe”, a sua volta, all’interno di quello regionale.
Gli argomenti normativi spesi a sostegno di questa tesi sono consistenti e sfruttano – a dire altrui – anche la cattiva redazione del nuovo art.117 Cost.
[2]
Infatti, a fronte di un sistema tributario e contabile dello Stato (art.117Cost. c.2, lett. e) la cui disciplina è riservata alla legislazione esclusiva statale, è altrettanto legittimo affermare, sulla basa del successivo c.4 (statuente la competenza esclusiva regionale sulle materie “innominate”) che si possa dare un sistema tributario regionale nel quale la definizione dei tributi sia pienamente rimessa alla legge regionale.
Com’è stato rilevato, quella appena esposta è una teoria che, pur essendo in profonda sintonia con il sistema delle autonomie disegnato dalla riforma, può contribuire (non poco) ad innescare una forte spinta centrifuga al nostro decentramento istituzionale.
Nel merito, con la pronuncia n°419 del 2001, la Corte Costituzionale ha proposto un’interpretazione restrittiva dell’autonomia finanziaria regionale fino a qualificarla ad immagine di una potestà di tipo concorrente e non esclusivo, come, invece, presuppone la tesi del doppio sistema tributario.
Di sicura utilità anche la sentenza n°282 del 2002 per mezzo della quale la Suprema Corte, con riferimento alla “nuova potestà concorrente”, ha confermato che le Regioni non debbono attendere le leggi cornice statali per
poter legiferare, dovendosi, però, attenere ai principi ricavabili dalla legisla- zione pregressa.
Secondo un’autorevole dottrina, la Corte errerebbe nel lasciare una così ampia libertà d’iniziativa legislativa alle Regioni ed individua nella stabilità finanziaria del Paese un valido motivo per indurre la medesima Corte ad insistere sulla necessità di una previa legge quadro che guidi l’autonomia regionale.
[3]
Da non sottovalutare il fatto che l’attribuzione della materia tributaria alla potestà legislativa concorrente espone le Regioni, in mancanza della previa definizione dei principi fondamentali, a censure d’illegittimità costituzionale, molto più probabili che non in altri settori, in quanto la Corte potrà sempre appellarsi alle superiori esigenze del “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”.
Alla prova dei fatti la portata pratica della legge di riforma sulla potestà legislativa delle Regioni in materia va notevolmente ridimensionata. Infatti, il richiamo ai principi del coordinamento può, già da ora, essere inteso, senza nocumento per l’autonomia finanziaria regionale, nel senso di limitare la loro potestà impositiva alle sole basi imponibili non soggette a tassazione statale.
[4]
Sotto questo profilo, la determinazione di un nuovo tributo regionale, soprattutto se si tiene conto del livello già raggiunto dalla pressione tributaria (statale e locale), non si presenta come cosa agevole e politicamente conveniente.
Tuttavia, niente consente di escludere che esigenze finanziarie stringenti possano spingere le Regioni ad individuare nuovi presupposti impositivi e che gli scarsi margini d’azione rimessi agli enti autonomi si trasformino in una competizione fiscale all’ottenimento delle residue risorse lasciate libere dallo Stato.
Dott. Zirillo Bruno
[1] A. Musumeci, Autonomia finanziaria, i livelli di governo e finanziamento delle funzioni, 2004.
[2] C. De Fiores, Secessione e forma di Stato, in C. DeFiores e D.Petrosino, Secessione, Roma 1996.
[3] A. D’Atena, La nuova autonomia statutaria delle Regioni, in Rassegna Parlamentare, 2000.
[4] Questo anche per non tradire il principio della progressività del sistema tributario.
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