Regolamento di condominio: il richiamo nell’atto di acquisto lo rende vincolante per l’acquirente

L’attuale formulazione dell’art. 1138 c.c., per come modificato dalla L. 220/2012, in vigore dal 17 giugno 2013, prevede che: “Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione. Ciascun condomino può prendere l’iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente. Il regolamento deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell’articolo 1136 ed allegato al registro indicato dal numero 7) dell’articolo 1130. Esso può essere impugnato a norma dell’articolo 1107. Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137. Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.

La norma fa esplicito riferimento al regolamento di condominio di natura convenzionale (assembleare), vale a dire quello predisposto dall’assemblea e approvato dalla stessa con le maggioranze previste dal 2° comma dell’art. 1136 c.c. (la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio).

Esiste, tuttavia, un’altra tipologia di regolamento di condominio, quello avente natura contrattuale, vale a dire quello preordinato dall’originario proprietario ovvero dal costruttore dell’immobile.

Il regolamento contrattuale che, spesso e volentieri, impone anche limiti alla proprietà privata – evenienza non riscontrabile nel regolamento convenzionale, fatta salva l’approvazione dello stesso con l’unanimità dei partecipanti al condominio – viene normalmente allegato all’atto della vendita dei singoli appartamenti ovvero semplicemente richiamato nello stesso.

L’allegazione fisica del regolamento contrattuale all’atto di compravendita, al pari del mero richiamo, in ogni caso, obbliga contrattualmente l’acquirente e il venditore per cui, le clausole nello stesso contenute risultano comunque vincolanti per i neo condomini, e tanto anche indipendentemente dalla trascrizione nell’atto di acquisto, in virtù del fatto che già il mero richiamo presuppone la conoscenza e l’accettazione del regolamento di condominio (Cass. 17886/2009).

L’anzidetto principio è stato di recente ribadito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19212, pubblicata in data 28.09.2016.

Il supremo collegio è stato invocato per dirimere una controversia insorta tra tre condomini, proprietari di un appartamento adibito a studio professionale, contrapposti ad un’altra condomina proprietaria dell’appartamento limitrofo e la società affittuaria dell’anzidetto alloggio, adibito dalla stessa a centro estetico e solarium.

Lamentavano i primo che l’appartamento fosse stato affittato dalla condomina convenuta ad una società che, in spregio al regolamento di condominio, lo aveva adibito a centro estetico e solarium, con tutte le conseguenze anche in ordine alla diffusione di musica ad alto volume e all’utilizzo “in maniera smodata” delle strutture dell’edificio; chiedevano pertanto la condanna degli stessi alla cessazione dell’attività indicata, oltre al risarcimento dei danni cagionati.

In primo e secondo grado la domanda veniva respinta perché, a dire delle Corti territoriali, il divieto imposto dalla clausola del regolamento di condominio che vietava all’interno dello stabile lo svolgimento di attività che non fossero rappresentate da studi professionali, non fosse vincolante per la condomina convenuta, in considerazione del mero richiamo generico al regolamento condominiale operato nell’atto di acquisto della stessa, “per cui non si rinveniva alcuna previsione relativa a pretesi divieti per le proprietà esclusive”.

La mancanza di una esplicita clausola che contenesse un tale divieto, pertanto, non avrebbe consentito di affermare l’esclusione di svolgere negli appartamenti privati alcun tipo di esercizio.

La Corte di Cassazione ritiene, giustamente, che la decisione impugnata non è in linea con la giurisprudenza dello stesso giudice di legittimità e cassa con rinvio la sentenza gravata.

La stessa osserva come “la Corte d’appello ha accertato, in fatto, che nell’atto di acquisto dell’unità immobile sita nell’edificio in questione vi era un riconoscimento, seppure generico, del regolamento condominiale, che comprende diritti ed obblighi da esso derivanti, tra i quali il divieto di adibizione dell’appartamento ad uso diverso da studio professionale. Da ciò ha desunto, in diritto, la inopponibilità della clausola in questione, comportante una obbligazione propter rem, che era inefficace per l’acquirente, anche in mancanza della trascrizione dell’atto che lo imponeva”.

Ebbene, come accennato, un tale decisione è contraria alla giurisprudenza di questa Corte “(Cass. 3 luglio 2003 n. 10523; Cass. 14 gennaio 1993 n. 395; Cass. 26 maggio 1990 n. 4905) secondo cui “le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, che può imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti, di loro esclusiva proprietà purché siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione nell’atto di acquisto, si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che – seppure non inserito materialmente – deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto”.

La Suprema Corte, in merito all’istituto della trascrizione, specifica come “salvo i casi in cui le sono attribuite particolari funzioni soltanto notiziali oppure costitutive, è destinata normalmente a risolvere i conflitti tra diritti reciprocamente incompatibili, facendo prevalere quello il cui atto di acquisto è stato inserito prioritariamente nel registro immobiliare. Presupposto indefettibile dell’operatività dell’istituto è quindi la concorrenza di situazioni giuridiche soggettive che risultino in concreto inconciliabili, alla stregua dei titoli da cui rispettivamente derivano. Una tale situazione di conflitto non si verifica però quando una proprietà viene espressamente acquistata come limitata da altrui diritti, per i quali una precedente trascrizione non è quindi indispensabile, in quanto il bene non è stato trasferito come libero, nè l’acquirente può pretendere che lo diventi a posteriori, per il meccanismo della “inopponibilità”. In questo senso è univocamente orientata la giurisprudenza di legittimità (cfr Cass. n. 17886 del 2009)”.

Appare evidente, pertanto, l’errore in cui è incorsa la Corte d’appello che ha ritenuto la necessità della trascrizione del regolamento condominiale e, conseguentemente, l’inopponibilità della clausola de qua, essendo stato nell’atto della condomina convenuta debitamente richiamato il regolamento.

È infatti noto il principio per cui, il regolamento risulta vincolante quando lo stesso viene anche solo richiamato nel singolo atto d’acquisto, circostanza che consente di considerare il regolamento e le rispettive clausole come facenti parte, “per relationem”, di tale atto.

Sentenza collegata

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Avv. Accoti Paolo

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