Va immediatamente detto che la Consulta ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate. La pronuncia, tuttavia, appare di notevole importanza, nella parte interpretativa della norma impugnata, perché delimita i confini di applicazione delle disposizioni sugli accertamenti tecnici non ripetibili, in caso di rilievi biologici da cui sarebbe possibile ricavare il DNA umano.
Due parole sui prodromi della sentenza.
Tizio era accusato di omicidio volontario. Condannato in primo grado per questo delitto, in appello il reato era stato derubricato in concorso anomalo ex art. 116 c.p., a seguito della riconosciuta nullità degli atti di ispezione e prelievo e conseguentemente delle successive analisi che avevano portato all’accertamento della presenza di tracce di DNA dell’imputato sui luoghi del delitto. La decisione era stata, tuttavia annullata con rinvio dalla Cassazione, che aveva ritenuto erronea la decisione del giudice di seconde cure sulla espunzione delle risultanze dell’indagine de qua.
La Corte d’Assise d’Appello di Roma, in qualità di giudice del rinvio, avrebbe dovuto applicare il principio di diritto affermato dai Giudici di piazza Cavour. Di qui la sollevazione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 360 c.p.p. laddove non prevede il rispetto delle garanzie difensive anche per le attività di prelievo di reperti utili per la ricerca del DNA , rilevante ai fini della configurazione della imputazione in termini di omicidio volontario o di concorso anomalo in omicidio volontario.
La Consulta prende le mosse dalla distinzione tra rilievi ed accertamenti condotta dalla pacifica giurisprudenza di legittimità, seconda la quale le garanzie ex art. 360 c.p.p. potrebbero essere invocate solo con riferimento agli accertamenti e non anche ai meri rilievi. Per rilievo si intende l’attività di raccolta o prelievo dei dati pertinenti al reato; l’accertamento tecnico, invece, consiste nella attività di studio e valutazione critica dei risultati dell’attività di rilievo.
Questa conclusione, applicata anche all’ipotesi di rilievi di materiale biologico da cui estrarre il DNA, sarebbe ad avviso del giudice a quo incostituzionale perché “le operazioni di asporto e raccolto di tracce di materiale genetico non potrebbero qualificarsi come mere attività esecutive”; esse più correttamente andrebbero ricondotte nell’ambito degli accertamenti “pur se di contenuto e profilo diversi dai successivi esami di laboratorio volti alla ricerca del DNA”, implicando un rilevante tasso di valutazione tecnico-scientifica. Trattandosi di operazioni non ripetibili, quindi, dovrebbero essere assistiti dalle garanzie di cui all’art. 360 c.p.p.. L’inquadramento di tali operazioni secondo il diritto vivente, quindi come meri rilievi, escluderebbe l’assoggettamento delle attività in questione alla procedura di cui al citato art. 360 c.p.p., con violazione del diritto di difesa dell’indagato ex art. 24 Cost. e del principio del giusto processo secondo cui le prove si formano in contraddittorio tra le parti ex art. 111 Cost..
Ebbene, secondo i giudici costituzionali il nomen “rilievi di materiale biologico da cui estrarre il DNA” sarebbe corrispondente alla natura dell’attività, concretantesi nella raccolta e nel prelievo dei dati pertinenti al reato; che abbiano ad oggetto materiale biologico non sarebbe allora circostanza sufficiente per configurare i rilievi in questione come accertamenti: “ l’esistenza (…) di protocolli per la ricerca ed il prelievo di tracce di materiale biologico può, da un lato, rendere routinaria l’operazione e, dall’altro, consentirne il controllo attraverso l’esame critico della prescritta documentazione. E non è privo di rilevanza che nel dibattimento l’imputato abbia la possibilità di verificare e contestare la correttezza dell’operazione anche attraverso l’esame personale che l’ha eseguita, oltre che dei consulenti tecnici e dell’eventuale perito nominato dal giudice”. Gli stessi Giudici, poi, osservano che i rilievi sono spesso caratterizzati da un’urgenza incompatibile con la procedura di cui all’art. 360 c.p.p., la cui applicazione non ammetterebbe deroghe, come invece previsto per gli accertamenti dall’art. 364 c.p.p.. Sarebbe, altresì, inconferente l’invocazione dell’art. 117 delle norme di attuazione del codice di procedura penale, che, nel prevedere l’applicazione dell’art. 360 c.p.p. in caso di modifica delle cose, dei luoghi o delle persone tali da rendere l’atto irripetibile, potrebbe trovare applicazione per espressa previsione normativa ai soli accertamenti tecnici e non anche alla mera attività di repertazione.
Se la Corte Costituzionale avesse chiosato così, avremmo potuto ritenere risolta la controversia. Sennonché, si precisa in sentenza, “ciò non esclude che tale rilievo, come altre operazioni di repertazione, richieda in casi particolari, valutazioni e scelte circa il procedimento da adottare, oltre che non comuni competenze ed abilità tecniche per eseguirlo e, in questo caso, ma solo in questo, può ritenersi che quell’atto di indagine costituisca a sua volta oggetto di un accertamento tecnico, prodromico rispetto all’altro da eseguire poi sul reperto prelevato”.
La Consulta richiama e fa propria, allora, la precisazione contenuta nella sentenza n. 2476/2015 del 27.11.2014 della II sez. della Corte di Cassazione, affermando che “possono verificarsi situazioni in cui per la repertazione del campione biologico necessario agli accertamenti peritali si debba ricorrere a tecniche particolari e in tal caso anche l’attività di prelievo assurge alla dignità di operazione tecnica non eseguibile senza il ricorso a competenze specialistiche e dovrà essere compiuta nel rispetto dello statuto che il codice prevede per la acquisizione della prova scientifica”.
Appare, dunque, necessario precisare che le garanzie ex art. 360 c.p.p. vengono in rilievo solo per gli accertamenti tecnici non ripetibili. Tendenzialmente i rilievi tecnici, non richiedendo l’impiego di specialistiche conoscenze ai fini della raccolta, si differenziano dagli accertamenti, perché difettano del profilo dello studio e della valutazione critica; ergo generalmente saranno fuori dal campo di applicazione dell’art. 360 c.p.p.. E’ bene, però, sottolineare l’avverbio “generalmente”, perché la classificazione di una attività come di mero rilievo, piuttosto che di vero e proprio accertamento, dipende ovviamente non dal nomen ma dalle caratteristiche oggettive della stessa, dalla sua essenza.
Sul piano concreto, dunque, bisognerà verificare se per la raccolta dei dati siano necessarie conoscenze tecniche altamente specializzate (in tutta evidenza si tratta di un requisito mutevole nel tempo in ragione del progresso tecnico-scientifico), che comportino anche uno studio ed una valutazione del cosa e come effettuare l’operazione, in mancanza di protocolli standard ormai acquisiti come routinari.
Per la Consulta, dunque, l’art. 360 c.p.p. non è incostituzionale, perché, applicandosi ai soli accertamenti: per un verso, correttamente non sarebbe invocabile in caso di rilievi, di qualunque tipo essi siano e quindi anche di materiale biologico da cui estrarre il DNA, che si concretizzino in attività di mera raccolta e repertorio dei campioni; di contro, verrebbe comunque necessariamente in considerazione se, pur trattandosi di rilievi anche di materiale biologico da cui estrarre il DNA, si dovesse utilizzare un sapere scientifico altamente specialistico, che comportasse un’attività anche di studio e valutazione di cosa e come rilevare, non oggetto di protocolli standard.
Dato per presupposto il valore non vincolante delle pronunce costituzionali interpretative di rigetto, vedremo come la giurisprudenza di legittimità e di merito riterrà integrati in concreto i casi di rilievi-accertamento.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento