di Lino BELLAGAMBA
La sentenza del T.A.R. del Lazio, Roma, III-quater, 1 febbraio 2008, n. 899, affronta il problema se il requisito della qualità sia autocertificabile o meno e lo risolve in modo positivo. Qui si proverà a spiegare (ancora una volta) perché non si è per nulla d’accordo.
«In conseguenza, le prescrizioni di esclusione devono essere interpretate in funzione della finalità di consentire la massima partecipazione alla gara delle imprese ordinariamente diligenti, tenendo conto dell’evoluzione dell’ordinamento in favore della semplificazione e del divieto di aggravamento degli oneri burocratici (cfr. infra multa Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2007, n. 121)».
Si tratta del richiamo a un principio canonico. Tuttavia va ricordato, in contrario, che il principio del favor si applica solo in ipotesi di equivocità del bando. Altrimenti, infatti, prevale il rispetto del principio della par condicio.
L’unica motivazione plausibile per cui, nella fattispecie, andava ammessa l’autocertificabilità del possesso del requisito della qualità, era soltanto questa: la mancanza di chiarezza esplicita, in bando, in ordine alla documentabilità del requisito in questione.
Ciò, tuttavia, a voler molto concedere. Se infatti il bando – al fine del dimezzamento della cauzione provvisoria – si limita a far rinvio alla norma di riferimento («Per fruire di tale beneficio, l’operatore economico segnala, in sede di offerta, il possesso del requisito, e lo documenta nei modi prescritti dalle norme vigenti», recita l’art. 75 del codice, comma 7, ultimo periodo), due sono le considerazioni da svolgere.
La prima è che sussiste l’onere di diligenza dei concorrenti di richiedere tempestivamente informazioni alla stazione appaltante, cui corrisponde un obbligo da parte di quest’ultima di dare risposta nei termini (cfr. il codice, in aderenza alla direttiva, negli artt. 71 e 72).
La seconda è che – nell’omissione di diligenza del concorrente – è l’organo di gara che si trova a dover interpretare un corpus di norme sostanzialmente auto-esecutivo quale il D.P.R. 445/2000 e a stabilire di conseguenza se ci sia stata infrazione al bando di gara. Anche in assenza della clausola “a pena di esclusione”. Anzi, proprio per questo.
Tutto questo problema non sarebbe sorto se il bando avesse “detto” e “spiegato” – così, a tagliar la testa al toro – che e perché il requisito della qualità non è autocertificabile.
«Al contrario, in assenza di una chiara clausola di esclusione ed in presenza della produzione di una polizza dimidiata e di una dichiarazione del possesso del requisito prescritto per l’abbattimento della cauzione provvisoria, la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere all’accertamento d’ufficio della sussistenza in concreto del requisito del possesso della certificazione del sistema di qualità conforme alle norme europee della serie UNI EN ISO 9000. E ciò in ossequio al richiamo, contenuto nell’art.2 comma 3 del d.lgs. n.163/2006 ed ai principi della legge fondamentale sul procedimento di cui alla L. n. 241/1990 che, in particolare all’art. 6 lett. b) dispone che il responsabile del procedimento “accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni”».
Il collegio afferma che la stazione appaltante avrebbe dovuto in tal caso operare la verifica d’ufficio.
Ci si chiede: presso quale p.A. certificante?
Ora, se si tratta di forniture e servizi, il casellario informatico risulta (oggi come oggi) inconferente. Per i lavori, non è detto che il requisito risulti. Non c’è dunque in proposito una p.A. certificante presso cui si possa operare la verifica d’ufficio del possesso della certificazione di qualità, o comunque vi è incertezza sulla possibilità di scegliere questa strada in modo sicuro.
La verifica d’ufficio dovrebbe, allora, operarssi direttamente presso il concorrente che ha il certificato di qualità in azienda? Ora, a parte il fatto, che si tratterebbe di una verifica d’ufficio che esulerebbe completamente dal campo di applicazione del D.P.R. 445/2000 (art. 43), rimane il fatto che tutta quest’ipotesi di percorso sarebbe doverosamente evitabile per la stazione appaltante se subito il privato concorrente – altrettanto doverosamente – avesse documentato il requisito «nei modi prescritti dalle norme vigenti».
Secondo. La sospensione della gara per operare la verifica d’ufficio deve essere un fatto eccezionale. Si cozza, altrimenti, contro l’esigenza di celerità procedimentale per la stazione appaltante (art. 2, comma 1, del codice) e soprattutto con la garanzia della par condicio rispetto ai concorrenti diligenti. Che poi, nel caso, sospensione della gara debba esserci, ciò è comprovato dal fatto che la stazione appaltante – quando fa accedere documentazione in gara e ne opera il riscontro, prima dell’apertura delle buste “piccole” – deve comunque garantire il principio di pubblicità di seduta.
E comunque, se il bando è stato chiarissimo sotto una certa clausola, anche se non c’è “pena d’esclusione”, consentire la regolarizzazione documentale si risolverebbe in una illegittimità procedimentale per lesione della par condicio. In tal caso, infatti, ciò che non ha detto il bando è tenuto a dirlo l’organo di gara. E tutti, poi, debbono poter sindacare come quest’ultimo si comporta.
«Nel caso in esame invece la certificazione di qualità è riconducibile alla lettera n) dell’art. 46 co. l” del DPR 445/2000. In conseguenza si deve concordare con la ricorrente che, in quanto rientrante tra i titoli di qualificazione tecnica, la certificazione di qualità ben poteva essere documentata con una dichiarazione sostitutiva di certificazione, resa ai sensi dell’art. 46 cit. del cit. del DPR 445 (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19 aprile 2007, n. 1790; Cons. Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2007, n. 121). In conclusione, in presenza di una disposizione di bando avente una costruzione letterale complessivamente ambigua e priva di una clausola espressa di esclusione, la stazione appaltante non poteva procedere senz’altro alla esclusione della ricorrente. Ricorrendo tale evenienza, preliminarmente alla pronuncia sull’ammissibilità, il responsabile del procedimento avrebbe dovuto far luogo d’ufficio alla verifica del possesso effettivo della prescritta certificazione da parte della ricorrente, onde accertare la situazione in punto di fatto».
Sul piano del diritto sostanziale, il ragionamento del collegio non è affatto condivisibile. Per salvare l’impresa, il collegio è costretto ad ammettere che la certificazione di qualità vada pienamente equiparata a «qualificazione professionale posseduta, titolo di specializzazione, di abilitazione, di formazione, di aggiornamento e di qualificazione tecnica» (D.P.R. 445/2000, art. 46, comma 1, lett. n)).
Invero, la ratio della dichiarazione sostituiva di certificazione è nel senso che un certificato amministrativo – nel senso pieno di certificato rilasciato dalla p.A. – è sostituibile appunto con auto-dichiarazione. Deve trattarsi anzitutto, quindi, di un documento rilasciato o quanto meno conservato dalla pubblica Amministrazione. Il certificato di qualità non ha questa caratteristica strutturale, mentre la posseggono oggettivamente tutti i certificati che comprovano i fatti menzionati nell’art. 46 del D.P.R. 445/2000.
L’indicazione dei certificati sostituibili è tassativa non solo perché il summenzionato art. 46 è la prosecuzione nell’ordinamento del vecchio art. 2 della L. 15/1968, ma soprattutto perché – se così non fosse – tutta l’indicazione operata dal comma 1 sarebbe inutiliter data.
Dato e non concesso, poi, che l’art. 46 si possa spendere anche per certificati non menzionati in elencazione, dovrebbe pur sempre trattarsi di certificati pubblicistici. E la ragione è semplice: solo questi ultimi sono naturalmente verificabili d’ufficio da parte della p.A. procedente. Il certificato di qualità non è invece acquisibile d’ufficio presso una p.A. certificante.
Pertanto, allo stato attuale dell’ordinamento:
– per forniture e servizi il certificato di qualità è autenticabile solo ai sensi dell’art. 18 del D.P.R. 445/2000 (presso pubblico ufficiale);
– per i lavori, idem, a meno che esso non risulti menzionato in attestazione-SOA.
In tale ultimo caso, si utilizza la tecnica giuridica degli artt. 19 e 19-bis del D.P.R. 445/2000, in quanto l’attestazione-SOA è un documento con piena valenza pubblicistica (sentenze del Consiglio di Stato citate nella pronuncia): il possesso del certificato di qualità citato in attestazione-SOA ne viene ad essere comprovato indirettamente, con pieno titolo di equipollente all’originale. Più semplicemente: la SOA è un soggetto pubblicistico; l’attestazione-SOA è pienamente autocertificabile conforme all’originale; la certificazione di qualità ivi nel caso menzionata è indirettamente documentata insieme ai requisiti di capacità economica e tecnica.
Tertium non datur.
La mera dichiarazione sostituiva di atto di notorietà – nella logica del sistema della documentazione amministrativa – ha sì una valenza residuale, ma solo qualora il requisito di cui si tratti non sia altrimenti documentabile. Nella fattispecie, non si può far ricorso né all’art. 46, né agli artt. 19 e 19-bis del D.P.R. 445/2000 per i motivi sopradetti. Ma un certificato – sia pure di carattere privatistico – esiste nel mondo giuridico, non è che non esista. E allora non può sopperire il carattere residuale della dichiarazione ex art. 47. Occorre far riferimento alla documentabilità minima di quel certificato, che è quella di cui all’art. 18 (che altrimenti sarebbe un inutiliter datum rispetto all’art. 47).
E comunque, anche dato e non concesso che alla dichiarazione ex art. 47 del D.P.R. 445/2000 si voglia dare il senso di una autocertificazione con valenza provvisoria, ciò non appare possibile nel caso della cauzione di cui all’art. 75 del codice. La somma garantita deve essere certa prima dell’apertura delle buste “piccole” (contenenti offerta economica o anche tecnica). Sarebbe frustrata alla fine la funzione per cui viene richiesta la cauzione provvisoria: s’immagini se il provvisorio aggiudicatario non regolarizzi il requisito della qualità, perché non vuole più aggiudicarsi l’appalto!
Rebus sic stantibus, il bando dica chiaramente che – a pena di esclusione – il requisito della qualità non è ex se autocertificabile in quanto esso – a pena di esclusione – è documentabile solo ai sensi dell’art. 18 del D.P.R. 445/2000, per tutti i motivi di cui sopra (e a meno che non rilevi l’attestazione-SOA).
Altrimenti, se si è convinti del contrario, è opportuno dire chiaramente – seguendo la giurisprudenza prevalente – che il requisito è pienamente autocertificabile. Ma si tratta solo di giurisprudenza prevalente …
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