La Suprema Corte con la sentenza n. 26258 del 24 giugno 2015 ha dichiarato manifestatamente infondato e pertanto inammissibile, il ricorso presentato da un soggetto condannato dalla Corte di Appello di Lecce alla pena di sette mesi di reclusione per il reato di resistenza a pubblico ufficiale (art.337 c.p.), per aver omesso, mentre era alla guida della propria autovettura, di fermarsi al posto di blocco autostradale della Polizia di Stato, mettendo in atto una fuga con condotta di guida oggettivamente pericolosa.
In particolare, l’imputato, dopo aver completamente ignorato il segnale di alt della Polizia, sottraendosi al posto di blocco, teneva una condotta di guida connotata da manovre oggettivamente pericolose per l’incolumità propria, degli altri utenti del tratto stradale e, soprattutto, per i passeggeri: a bordo dell’auto dell’imputato, infatti, vi era anche un neonato. Di qui, la scelta degli agenti di polizia di desistere dall’inseguimento, per non porre ulteriormente in pericolo tutti i soggetti coinvolti, specialmente dopo aver acclarato la presenza del bambino trasportato.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso affermando che “la fattispecie dell’inottemperanza all’ordine di arresto impartito con posto di blocco autostradale, cui faccia seguito la fuga del soggetto con attuazione di manovre di guida pericolose per sé, per gli agenti di polizia inseguitori e in genere per gli utenti dei tratti stradali interessati rientra pacificamente nel paradigma di cui all’art. 337 cod. pen.”
Secondo gli ermellini, infatti, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra l’elemento materiale della violenza la condotta dei soggetto che si dia alla fuga, alla guida di una autovettura, non limitandosi a cercare di sottrarsi all’inseguimento, ma ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida obiettivamente pericolosa, l’incolumità personale degli agenti inseguitori o degli altri utenti della strada (Corte di Cass., sent. n.40/2013; Corte di Cass., sez. II, sent. n 46618/2009 e n.41419/2009, e altre conformi).
La Suprema Corte, quindi, nel dichiarare inammissibile l’impugnazione, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende.
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