Responsabilita’ amministrativo/contabile e implicazioni in tema di giurisdizione della corte dei conti degli amministratori di societa’ che gestiscono servizi pubblici locali.

Petroni Paolo 18/01/07
SOMMARIO: 1. Premessa sulle linee evolutive della giurisprudenza contabile  2. La nuova configurazione della responsabilità amministrativo-contabile. 3. L’ampliamento della giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativo-contabile. 4. Il superamento dei diversi orientamenti della giurisprudenza della Corte dei conti e della Corte di cassazione in ordine alla sottoposizione alla giurisdizione contabile di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici e di società a prevalente capitale pubblico. La prevalenza della giurisdizione contabile. 5. Il nuovo criterio di riparto di giurisdizione di natura giurisprudenziale e il progressivo ampliamento della giurisdizione contabile.  6. Conclusioni: dalla responsabilità amministrativa alla responsabilità finanziaria.
 
1. Premessa sulle linee evolutive della giurisprudenza contabile.
Per analizzare le linee evolutive della giurisprudenza più recente in tema di riparto di giurisdizione e di estensione della giurisdizione contabile, occorre muovere dalle funzioni giurisdizionali attribuite alla Corte dei conti che, secondo l’articolo 103 della Costituzione “ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”.
L’iniziale attribuzione alla Corte dei conti in sede giurisdizionale, e che risultava dalle previsioni della legge 14 agosto 1862, n. 800 che la istituì, fu quella del giudizio sui conti degli agenti contabili dello Stato; la giurisdizione si estese poi, ad opera della giurisprudenza della Corte dei conti stessa, alle fattispecie di responsabilità amministrativa e diede così vita ad uno specifico giudizio di responsabilità[1], distinto dal giudizio contabile in senso stretto, e divenuto, nel corso degli anni, sempre più rilevante rispetto a quest’ultimo.
La sfera di attribuzione della Corte dei conti in sede giurisdizionale riguarda, oltre ai predetti giudizi di responsabilità amministrativa e contabile (giudizio di conto e per resa di conto), anche il giudizio su ricorso pensionistico (civile, militare e di guerra) e i giudizi ad istanza di parte per le ritenute esattoriali, i compensi di esattoria, l’aggio esattoriale ecc..
I principali caratteri della giurisdizione della Corte dei conti sono:
  • Pienezza dei poteri, con riguardo sia all’aspetto cognitivo che a quello decisorio. La Corte dei conti conosce infatti sia del fatto, sia del diritto, non si limita a valutare la legittimità degli atti sottoposti al suo giudizio, ma estende il proprio sindacato al fatto e può pronunciare sentenze costitutive di condanna e non solo dichiarative;
  • esclusività della cognizione, avendo la magistratura contabile cognizione sia in materia di interessi legittimi che di diritti soggettivi nelle materie riservate alla sua giurisdizione, salvo che per l’incidente di falso e le questioni sullo stato e la capacità delle persone, attribuiti alla conoscenza del giudice ordinario;
  • sindacatorietà del proprio apprezzamento, in quanto la Corte non è rigidamente vincolata, nel proprio giudizio dalle richieste delle parti, siano esse il Procuratore regionale o generale o i privati, disponendo della facoltà di effettuare accertamenti istruttori, di pronunciare anche ultra petita, non avendo limitazioni nell’accertamento delle responsabilità e potendo anche ampliare l’ambito soggettivo della propria cognizione, seppure, questo potere ufficioso è stato oggetto di una recente lettura restrittiva da parte della giurisprudenza contabile.
 
Va evidenziato che la legge n. 131/2003 ha esteso, in misura rilevante, i poteri di controllo delle Sezioni regionali della Corte dei conti, con l’effetto di verificare il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di programma, nonché di accertare la regolarità della gestione finanziaria degli enti locali.[2]
 
 
 
2. La nuova configurazione della responsabilità amministrativo- contabile.
 
Posto che la Corte dei conti ha giurisdizione principalmente in riferimento ai giudizi di responsabilità amministrativo-contabile,[3] occorre esaminare i tratti peculiari di questa responsabilità alla luce dei recenti orientamenti estensivi della giurisprudenza e delle più recenti sentenze che hanno ridisegnato i confini della giurisdizione amministrativa.
Considerando, in primo luogo, il riparto tra giurisdizione contabile e giurisdizione amministrativa, il punto da cui muovere è dato, da una più approfondita riflessione relativa ai presupposti e alle peculiarità della responsabilità contabile.
Fino a tempi recenti la disciplina legislativa della responsabilità in esame aveva carattere scarno ed occasionale, limitandosi il legislatore a recepire acriticamente indirizzi giurisprudenziali, senza neanche l’apporto del dibattito dottrinale, visto lo scarso interesse della dottrina per il tema in esame.[4]
In tale scenario, la Corte dei conti ha cercato di dare alla responsabilità amministrativa una fisionomia giuridica compiuta, colmando le lacune esistenti ed attingendo soprattutto dalla disciplina della responsabilità civile, aquiliana, prima, e contrattuale, successivamente.[5]
Solo all’inizio dello scorso decennio, con la legge 8 giugno 1990, n. 142 (che riguardava esclusivamente i dipendenti degli enti locali) e, soprattutto, con leggi n. 19, n. 20 del 1994 e le ulteriori integrazioni apportate dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti è stata oggetto di un’ampia disciplina, tale da farle assumere caratteri propri, distinguendola nettamente dalla responsabilità civile.[6]
Il sistema della responsabilità amministrativa è stato innovato introducendo: il carattere della personalità di detta responsabilità; la sua limitazione ai casi di dolo e colpa grave; l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali; la limitazione della solidarietà alle sole ipotesi di dolo od illecito arricchimento; l’estensione della regola della parziarietà, fatti salvi i soli casi di responsabilità solidale; il divieto di agire contro gli amministratori per la mancata copertura minima dei costi dei servizi; il regime prescrizionale quinquennale e non più decennale; il danno c.d. obliquo (responsabilità per danno arrecato ad amministrazione diversa da quella di appartenenza); la compensatio lucri cum damno ossia il doversi tener conto nel giudizio di responsabilità dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità amministrata; la previsione che, nel caso di deliberazioni di organi collegiali, la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole; la previsione che la responsabilità degli organi tecnici non si estende ai titolari degli organi politici; l’irresponsabilità degli eredi, eccettuate le ipotesi di illecito arricchimento.[7]
Al centro della responsabilità amministrativa si trova il danneggiante e non il danneggiato, con una conversione di centottanta gradi rispetto alla responsabilità civile; ciò dipende dall’interesse dell’ordinamento a stimolare l’iniziativa, evitando che il timore delle enormi responsabilità collegato alla ponderosità degli interessi gestiti possa indurre ad una cautela eccessiva o addirittura all’inerzia”[8]. La differenza tra le due forme di responsabilità dipende dal fatto che i valori fondanti della responsabilità civile sono quelli posti dagli artt. 2 e 41 Cost., mentre i valori di riferimento della responsabilità amministrativo-contabile sono il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, espressi nell’art. 97 Cost.
Dinanzi alla minore severità della responsabilità amministrativo-contabile nella sua nuova conformazione, si delinea l’opportunità di compiere una verifica dei soggetti sottoposti alla giurisdizione del giudice contabile, dal momento che, mentre l’azione risarcitoria rimessa alla pubblica amministrazione dinanzi al giudice ordinario ha carattere del tutto discrezionale, la titolarità dell’azione affidata al PM contabile ha discrezionalità di certo minore e fa si che gli illeciti amministrativi causativi di danno siano sempre perseguiti.
 
 
 
 
3. L’ampliamento della giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativo-contabile.
 
La responsabilità amministrativo contabile può definirsi come la responsabilità patrimoniale in cui incorrono i pubblici funzionari che, in presenza di un rapporto di impiego, per inosservanza dolosa o colposa degli obblighi di servizio, abbiano causato un danno economico all’Amministrazione.
Si tratta di una responsabilità preposta alla salvaguardia delle finanze pubbliche, ossia si mira a garantire che le gestioni finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli Enti pubblici si svolgano senza lesioni o pregiudizi.
Il giudizio contabile assume, in tal modo, valenza sanzionatoria della cattiva utilizzazione delle risorse provenienti dal gettito fiscale e della gestione superficiale e scorretta dei beni nell’ambito pubblicistico; attraverso la tutela giurisdizionale contabile, si esercita il controllo sull’utilizzazione del denaro e dei beni pubblici.
È proprio nell’ottica di questa funzione dei giudizi contabili che meglio si comprende la sempre crescente tendenza, prima della stessa giurisprudenza contabile, ed, ora, anche della giurisprudenza della Corte di cassazione, ad ampliare l’ambito della giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità contabile.
Ai sensi del R.D. n. 1214/1934, per poter radicare la giurisdizione in esame, era necessario un rapporto di pubblico impiego.
La situazione comincia a mutare con l’avvento della Costituzione che nel suo art. 103 fa riferimento a “materie di contabilità pubblica” per il sussistere della giurisdizione del giudice contabile.
L’evoluzione giurisprudenziale, con delle interpretazioni sempre più estensive, giunge a ricomprendere, nell’ambito della responsabilità amministrativa, anche l’operato di colui che svolge un rapporto di servizio, caratterizzato dall’inserimento nell’apparato organizzativo della pubblica amministrazione secondo le regole di criteri propri di quest’ultima, senza essere pubblico dipendente.
Inizialmente non accolta dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione[9], tale corrente giurisprudenziale non tardò ad essere condivisa anche dalla giurisprudenza di queste ultime Corti.
Negli anni ottanta la Corte costituzionale è ritornata sui propri passi, assumendo una posizione meno restrittiva e giungendo ad enunciare che alla tendenziale generalità di competenza della Corte dei conti sono ammissibili deroghe da parte di apposite previsioni legislative.[10]
La Corte dei conti ha al contrario, costantemente fondato sull’art. 103 Cost. la vis espansiva della propria giurisdizione[11], allargando l’ambito giurisprudenziale di partenza al fine di esercitare in modo pieno ed esclusivo il giudizio di responsabilità nei confronti di nuove categorie di soggetti, prima non ricomprese nella sfera della propria giurisdizione. In tale quadro evolutivo, si inserisce la sentenza della Corte dei conti, III sez. giurisdizionale, 27 febbraio 2002 n. 63,[12] che ha enunciato che l’attività del privato professionista, che rende la propria opera professionale a favore di una pubblica amministrazione, è sempre sindacabile dal giudice contabile.
Sono in tendenza decisamente crescente i settori per i quali è enunciato, con frequenza il principio secondo cui non rileva la natura privata o pubblica del soggetto, ma solo il fatto che questi agisca nell’interesse della collettività (funzione pubblica), anche se non assoggettato al potere autoritativo dell’amministrazione.
Nel campo dei servizi pubblici, come nell’ambito delle procedure di affidamento lavori, servizi e forniture, è sempre più diffuso il fenomeno dell’intervento di soggetti privati in luogo delle pubbliche amministrazioni in senso soggettivo.
Di fronte ad atti compiuti da società costituite da enti locali, da concessionari di lavori pubblici o di pubblici servizi, da enti pubblici economici, da società con capitale pubblico in misura anche non prevalente e, in generale, da tutti i soggetti privati che partecipano all’attività amministrativa, si è posto il problema della situazione giuridica soggettiva loro imputabile e del criterio di riparto di giurisdizione.
 
 
4. Il superamento dei diversi orientamenti della giurisprudenza della Corte dei conti e della Corte di cassazione in ordine alla sottoposizione alla giurisdizione contabile di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici e di società a prevalente capitale pubblico. La prevalenza della giurisdizione contabile.
 
L’attenzione va rivolta ai rapporti tra giurisdizione contabile e la giurisdizione del giudice ordinario e, al fine di individuare le linee guida di riparto tra queste due giurisdizioni, il profilo di riflessione più attento è rappresentato dalla giurisprudenza che si è andata consolidando con riguardo alla responsabilità dei membri degli organi direttivi e di amministrazione dei vari enti, pubblici, economici e societari, a partecipazione statale più o meno prevalente.
L’analisi della possibile sussistenza della giurisdizione contabile in materia di responsabilità di amministratori, dipendenti e funzionari di enti pubblici economici[13] ha dato origine, ad un profondo contrasto tra la tendenza espansiva della Corte dei conti e la tendenza restrittiva della Corte costituzionale e della Corte di cassazione.
La Corte costituzionale, in svariate pronunce,[14] ha enunciato che gli enti pubblici economici agiscono nelle forme del diritto privato e per mezzo di quest’ultimo si rapportano anche con i loro dipendenti; e si è, in tal modo, escluso il prevalere della giurisdizione contabile con riguardo alle azioni di responsabilità proposte nei confronti dei dipendenti degli enti pubblici economici.
Appartiene alla discrezionalità del legislatore la scelta se attribuire o meno alla Corte dei conti la giurisdizione sulla responsabilità di soggetti dipendenti da un ente pubblico. Si richiede perciò una interpositio legislatoris per estendere la giurisdizione della Corte dei conti, che ha carattere tendenziale e non assolutamente generale.[15]
Al polo opposto di tali assunti, si è posta la giurisprudenza della Corte dei conti.
Con particolare attenzione, va considerata, in quanto esemplifica le linee guida di tale orientamento, la decisione della Corte dei conti, sez. Lombardia, 17 febbraio 2000, n. 296, che ha apertamente enunciato che “gli amministratori di società a prevalente capitale pubblico, costituite per la gestione di un servizio pubblico, e quindi in rapporto stretto e interorganico con l’ente pubblico che le controlla, potrebbero incorrere in responsabilità amministrativa da sanzionarsi quindi su iniziativa del procuratore regionale della Corte dei conti, davanti ai giudici contabili”.[16] L’amministratore dell’ente pubblico economico è, infatti, legato da un rapporto di servizio non con l’ente stesso, ma direttamente con l’Amministrazione pubblica, con la quale l’ente si trova in rapporto di servizio.
Di conseguenza, il danno si produce nei confronti dell’Erario, ossia dello Stato e non della persona giuridica dell’ente, costituente sostanzialmente una parte di un’unica entità organizzatoria.
Questi stessi enunciati sono stati poi applicati nella fattispecie degli amministratori e dipendenti di una società a prevalente partecipazione pubblica e che sono la maggior parte entità societarie nate dalla conversione di enti pubblici economici.
A proposito, è interessante richiamare la pronuncia 4 luglio 2001, n. 28 della Corte dei conti marchigiana, che ha ritenuto sussistere la propria giurisdizione, con riguardo alla responsabilità degli amministratori di enti a prevalente partecipazione pubblica, anche costituiti in forma societaria (nella fattispecie in discussione si trattava dell’Ente tabacchi italiani s.p.a.), sia in forza di argomenti del tutto simili a quelli enunciati dalla Corte dei conti lombarda nella pronuncia richiamata, sia facendo leva sul combinato disposto degli articoli 3 e 7 della legge 23 marzo 2001 n. 97[17]. I giudici contabili individuano una “volontà del legislatore di ritenere sussistente la giurisdizione della Corte dei conti, quantomeno per le fattispecie astrattamente ricollegabili alle fattispecie penali nei confronti di soggetti che operano presso enti di qualsiasi natura giuridica, purché a prevalente capitale pubblico e, quindi, anche nei confronti delle società per azioni[18].
Dinanzi al problema del riparto di giurisdizione, la giurisprudenza della Corte di cassazione[19] si è tradizionalmente consolidata nel sostenere che solo gli atti espressione della funzione pubblica di organizzazione, o di altre funzioni amministrative delegate all’ente pubblico economico, possano fondare la giurisdizione contabile. Gli atti espressione dell’attività imprenditoriale dell’ente pubblico economico possono fondare, invece, qualora, siano produttivi di danno, solo un’azione di responsabilità dinanzi al giudice ordinario.[20]
In questa prospettiva, le Sezioni unite della Corte di legittimità hanno enunciato che “va esclusa la giurisdizione della Corte dei conti sull’azione di responsabilità a carico di amministratori, funzionari ed impiegati di enti pubblici economici per i danni arrecati all’ente con atti e comportamenti inerenti alla gestione d’impresa, anche se riguardo all’atto dal cui compimento sarebbe derivato il danno sia previsto dalla legge un controllo di tipo amministrativo”.[21]
L’orientamento dominante della giurisprudenza contabile è sempre stato di segno opposto rispetto alla posizione restrittiva assunta dalla Corte di cassazione.
L’orientamento rigoroso della Corte di cassazione è stato criticato anche da buona parte della dottrina.[22]
Ed è stato a cominciare dall’ordinanza della Corte di cassazione 22 dicembre 2003 n. 19667[23] che anche la Corte di legittimità ha abbandonato il proprio orientamento restrittivo.
L’importanza di tale pronuncia emerge in modo netto dai rilievi del Procuratore Generale Apicella sullo stato della giurisdizione della Corte dei conti al 1 gennaio del 2004, svolti nella Relazione sull’inaugurazione dell’anno giudiziario 2004.[24]
L’ordinanza n. 19667/2003[25] ha, infatti, preso atto di come la crescente privatizzazione dell’Amministrazione, nella quale, si opera sempre più attraverso società, ha esteso l’area di attività pubblica.
L’amministrazione pubblica ha cambiato veste utilizzando nuove soluzioni organizzative e nuovi modi di agire, mutuando soprattutto i modelli organizzativi dal diritto privato.
Gli stessi atti posti in essere dall’Amministrazione non sono più riconducibili, sic et simpliciter, al modello classico di atto amministrativo inteso come atto autoritativo.
Il provvedimento amministrativo è oggi solo uno dei possibili atti che le Pubbliche Amministrazioni possono adottare per il perseguimento dei propri fini; ad esso si accompagnano modelli procedimentali più vicini al diritto privato: accordi con cui si negozia il contenuto di un provvedimento o che ad esso si sostituiscono.
Ed è soprattutto alla luce di questa nuova veste della pubblica amministrazione, che la preferenza deve essere accordata ad una nozione oggettiva di attività amministrativa, per cui va ricondotta a tale tipologia di attività ogni atto e/o operato che consista nello svolgimento di una pubblica funzione o di un pubblico servizio, indipendentemente se l’atto commesso o la forma utilizzata appartengano al diritto privato o al diritto pubblico in quanto è condivisibile l’assunto posto dalla richiamata ordinanza della Corte di cassazione n. 19667/2003, secondo cui “l’amministrazione svolge attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando persegue le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato”.
Ne deriva che, ai fini del promuovimento dell’azione di responsabilità dinnanzi alla giurisdizione contabile, non è più essenziale accertare l’esistenza di un rapporto di servizio tra soggetto ed ente ma è necessario e sufficiente il verificarsi di un pregiudizio ingiusto in danno della finanza pubblica.
Secondo un orientamento della giurisprudenza contabile[26], il profilo soggettivo dell’esercizio da parte di un certo ente di un servizio pubblico o di una pubblica funzione si arricchisce di un profilo oggettivo, connesso alle risorse finanziarie di cui l’ente stesso dispone. In particolare è stato sancito che “alla luce della evoluzione dell’ordinamento della pubblica amministrazione iniziata a partire dagli anni ’90 attraverso il processo di privatizzazione e aziendalizzazione della stessa, ai fini della incardinazione della giurisdizione della Corte dei conti assume rilievo non tanto la qualificazione pubblica del soggetto convenuto in giudizio… quanto la qualificazione oggettivamente pubblica delle risorse finanziarie gestite dal soggetto convenuto in giudizio.
Tale statuizione sembra fondare la giurisdizione della Corte dei conti a prescindere dalla natura giuridica pubblica e privata di un certo soggetto ma in ragione del suo eventuale utilizzo di risorse finanziarie oggettivamente pubbliche, in piena conformità con quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 466/1993. [27]
Ne esce così rafforzata la considerazione che il permanere del controllo contabile sugli atti di un certo soggetto non incide in alcun modo sulla natura giuridica che gli è propria.
 
 
 
5. Il nuovo criterio di riparto di giurisdizione di natura giurisprudenziale e il progressivo ampliamento della giurisdizione contabile.
 
L’innovativo principio posto dall’ordinanza n. 19667/2003, secondo cui il riparto tra le due giurisdizioni (civile e contabile) va compiuto unicamente in ragione della qualità del soggetto passivo e, pertanto, avendo riguardo alla natura, pubblica o privata, delle risorse finanziarie, va sempre più sedimentandosi come criterio di riparto con valenza generale e che offre, altresì, un raccordo della giurisdizione di responsabilità con i nuovi assetti della Pubblica amministrazione e con i principi, gli istituti e i moduli di azione introdotti nell’ordinamento dall’attività legislativa, avviata con legge n. 142 del 1990 e perseguita per tutto l’arco del decennio scorso.
Non a caso le motivazioni dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 19667/2003 sono state fatte proprie ed ampliate da successive pronunce del giudice di legittimità, che hanno pure valorizzato la sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, che ha definitivamente chiarito che il solo fatto che la pubblica amministrazione sia parte in causa non ha rilievo determinante quanto al riparto di giurisdizione, che va compiuto sempre in ragione della concreta situazione giuridica dedotta in giudizio.
In particolare, le Sezioni unite della Corte di cassazione, nell’ordinanza n. 3351 del 19 febbraio del 2004[28], hanno affermato la soggezione alla giurisdizione del giudice contabile anche degli amministratori e dei dipendenti delle aziende municipalizzate.
Rilevato che sempre più comuni gestiscono servizi pubblici locali attraverso aziende speciali, che svolgono attività economica con modalità e strumenti tipicamente imprenditoriali, si è evidenziato che applicando il precedente e tradizionale orientamento della giurisprudenza di legittimità si sarebbero dovuti sottoporre, da una parte, alla giurisdizione del giudice ordinario gli atti espressione di attività gestionale attraverso moduli imprenditoriali e, dall’altra, alla giurisdizione della Corte dei conti gli atti espressivi di poteri autoritativi o di funzioni pubbliche.
Al contrario, in tal recente pronuncia, si ritiene come sia l’intero operato degli amministratori e dei dipendenti delle aziende speciali che sia da ricondursi, in via esclusiva alla giurisdizione contabile perché l’eventuale danno da essi commesso reca un pregiudizio ingiusto alla contabilità pubblica, la cui tutela giurisdizionale spetta unicamente alla Corte dei conti.
Ed ad identica conclusione pervengono le stesse Sezioni unite della Corte di cassazione per le società di diritto privato partecipate, in modo quasi totalitario, dal Comune esercente un pubblico servizio[29]; nonché per le società per azioni a prevalente e/o intera partecipazione pubblica quanto all’operato dei sindaci e alle loro responsabilità.[30]
Il possibile sviluppo di tale orientamento è costituito da un progressivo estendersi della giurisdizione contabile anche alle fattispecie in cui la partecipazione statale e/o pubblica nell’ente societario non è prevalente, seppure, ad oggi, questo è uno dei futuri approdi poiché è indubbio che il decidere di perseguire fino in fondo una simile via avrà ripercussioni, a largo raggio, sull’intero rapporto tra giurisdizione del giudice contabile e giurisdizione del giudice ordinario. Sono proprio tali implicazioni che impongono, in primo luogo, di continuare a riflettere se anche, in tali società con partecipazione pubblica non di maggioranza, si possa, continuare a configurare una responsabilità, se non in via esclusiva, almeno per prevalenza, contabile.
 
  1. Conclusioni: dalla responsabilità amministrativa alla responsabilità finanziaria.
 
Se la ricostruzione operata per sostenere il superamento del criterio soggettivo del rapporto di servizio ai fini dell’incardinazione della giurisdizione della Corte dei conti e della individuazione, allo stesso fine, del criterio oggettivo della natura pubblica delle risorse finanziarie in relazione alle quali si configura il danno di cui alla pretesa risarcitoria del pubblico ministero contabile è corretta, e non si ha motivo di dubitarne in considerazione del fatto che la stessa è ormai suffragata dalle recenti pronunce della Suprema Corte regolatrice della giurisdizione in materia di responsabilità amministrativa degli amministratori e dei dipendenti degli enti pubblici economici “ Corte di Cassazione, ordinanza 22 dicembre 2003 , n. 19667[31]”, e in materia di responsabilità amministrativa degli amministratori delle s.p.a. partecipate dagli enti pubblici per i danni erariali arrecati al patrimonio dell’ente[32], può senz’altro affermarsi che la stessa avrà effetti di notevole portata non solo sulla giurisdizione della Corte dei conti ma anche sulla stessa identificazione concettuale e concreta configurazione della responsabilità patrimoniale per danno alle pubbliche finanze.
Tale soluzione potrebbe determinare non solo un ampliamento della giurisdizione della Corte dei conti, estendendola anche ai soggetti che, pur non essendo legati all’amministrazione pubblica da un rapporto di servizio, siano comunque obbligati al perseguimento di un determinato fine pubblico in relazione al maneggio o all’utilizzo di pubblico denaro, ma comporterà altresì effetti sul piano sostanziale, determinando una estensione della responsabilità patrimoniale per danno alle pubbliche finanze dal più limitato concetto della responsabilità amministrativa, che si configura pur sempre come una forma di responsabilità tipica, nella quale, cioè, possono incorrere solo gli amministratori e i dipendenti pubblici che determinano un danno patrimoniale alle finanze dell’amministrazione di appartenenza in relazione alla violazione di obblighi di servizio, al più ampio concetto di responsabilità finanziaria, intesa come una generale forma di responsabilità patrimoniale per danno alle pubbliche finanze in cui possono incorrere tutti i soggetti che abbiano maneggio o che utilizzino pubbliche risorse, e che si configura, in via generale, in relazione alla violazione degli obblighi nascenti in capo al soggetto stesso dalla finalizzazione delle risorse pubbliche. [33]
Per quanto ardita possa apparire una tale soluzione, si ritiene che per ridare vitalità alla giurisdizione della Corte dei conti nell’attuale assetto istituzionale alla luce delle innovazioni legislative introdotte negli ultimi anni e della evoluzione della giurisprudenza, e soprattutto per ridare alla Corte stessa il ruolo e la funzione che l’art. 103, comma 2, Cost., ha voluto ad essa assegnare in relazione anche all’articolo 97 Cost., lo sforzo della giurisprudenza , piuttosto che essere rivolto, come fin qui è stato, all’ampliamento della sfera giurisdizionale soggettiva della stessa Corte dei conti attraverso un ampliamento della nozione di rapporto di servizio, cercando , in tal modo, di affermare la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti dei soggetti di volta in volta chiamati in giudizio, dovrebbe essere rivolto al superamento dei ristretti limiti imposti dalla necessaria sussistenza de un rapporto di servizio, cercando di cogliere le innovazioni nel frattempo intervenute nell’ordinamento strutturale e funzionale della pubblica amministrazione e nello stesso diritto amministrativo.
Lo sforzo della giurisprudenza della Corte dei conti dovrebbe fissarsi nel passaggio dalla responsabilità amministrativa dei soli amministratori e dipendenti pubblici per il danno patrimoniale da essi determinato alle finanze dell’amministrazione di appartenenza in relazione alla violazione degli obblighi di servizio, alla responsabilità finanziaria, intesa come una generale forma di responsabilità patrimoniale per danno alle pubbliche finanze in cui possono incorrere tutti i soggetti che abbiano maneggio o che utilizzino pubbliche risorse, e che si configura in relazione alla violazione degli obblighi nascenti in capo al soggetto stesso dalla finalizzazione delle risorse pubbliche.
Solo in tal modo si potrebbe rivitalizzare la giurisdizione della Corte dei conti nell’attuale assetto istituzionale, tenendo conto delle innovazioni legislative introdotte negli ultimi anni e dalla evoluzione della giurisprudenza, e si potrebbe ridare alla magistratura contabile quel ruolo e quella funzione , sul piano giurisdizionale, che l’articolo 103, co. 2, Cost., ha voluto ad essa assegnare in relazione anche all’articolo 97 Cost.
 
 
Dott. Paolo Petroni
 


[1] Il giudizio di responsabilità amministrativa è disciplinato da una serie di principi e regole proprie frutto di una serie di interventi legislativi succedutisi nel tempo che riguardano sia la fase dell’iniziativa sia la fase del giudizio.
Il processo di responsabilità amministrativa è generalmente definito di tipo inquisitorio nel senso che l’azione è affidata o a un organo pubblico, che ha l’obbligo di esercitare l’azione di responsabilità ricorrendone alcuni presupposti.
Le funzioni di pubblico ministero contabile sono svolte ai sensi dell’art. 1, comma 4 T.U. Corte dei conti n. 1214/1934 a livello centrale dal Procuratore generale, coadiuvato da Vice Procuratori generale e a livello regionale dai Procuratori regionali coadiuvati da Vice Procuratori Generale e Sostituti Procuratori generali.
Il PM durante l’istruttori, può tra l’altro ai sensi dell’art. 5 comma 6 L. n. 19 del 1994 ordinare l’esibizione di documenti nonché ispezioni e accertamenti diretti presso le pubbliche amministrazioni e i terzi contraenti beneficiari di provvidenze finanziarie a destinazione vincolata. Cfr. C. PINOTTI, La responsabilità degli amministratori di società, tra riforma del diritto societario ed evoluzione della giurisprudenza, con particolare riferimento alle società a partecipazione pubblica, in Riv. Corte dei conti, n. 5/2004, 367 ss.
[2] Su questi ulteriori ambiti dell’attività di controllo della Corte dei conti Cfr. F. BATTINI, Il “controllo collaborativo” della Corte dei conti dopo la legge n. 131 del 2003, in Foro it. 2004, III, 440 ss. In nota ad alcune recenti sentenze della Corte dei conti (sezioni controllo enti, sezione controllo affari comunitari, sezione controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, sezione autonomie e sezioni riunite in sede di controllo), che hanno deliberato, le sezioni di controllo, e, poi, approvato, le sezioni riunite, i rispettivi programmi delle attività di controllo per l’anno 2004. L’autore evidenzia come attraverso la scelta normativa di programmare i modi e le finalità di controllo, il legislatore abbia inteso far sì che ciascun ente pubblico utilizzi la propria autonomia secondo modalità che diano attuazione ai criteri cardine enunciati, in via preventiva per ciascun anno solare, nei programmi di controllo. Cfr. G. PANASSIDI, Modello di controlli e riforma degli enti locali, in LexItalia.it, n. 3/2005.
. Nell’ambito della legge 5 giugno 2003, n. 131 il legislatore ha delineato, fra l’altro, il ruolo della Corte dei conti nella prospettiva del federalismo, definendo le funzioni di controllo che le Sezioni regionali di controllo della stessa Corte dei conti potranno, e dovranno, svolgere nei confronti delle Regioni e degli enti locali ai fini del coordinamento della finanza pubblica e al fine di assicurare il buon funzionamento del c.d. federalismo solidale. Nell’articolo 7 della legge n. 131/2003, sotto la rubrica “Attuazione dell’articolo 118 della Costituzione in materia di esercizio delle funzioni amministrative”, il legislatore ha previsto, infatti, nei commi 7, 8 e 9, delle disposizioni che stabiliscono in maniera alquanto definita il ruolo e le funzioni che la Corte dei conti è chiamata a svolgere ai fini del coordinamento della finanza pubblica nel nuovo ordinamento di tipo federale dello Stato, verificando in particolare, ai diversi livelli istituzionali, il rispetto degli equilibri di bilancio da parte dei Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni, anche in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. In particolare, la disposizione di cui al comma 7 dell’art. 7, che conferisce finalmente la dignità di una previsione normativa alla istituzione delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, che erano state istituite mediante un regolamento delle Sezioni Riunite della stessa Corte dei conti, emanato ai sensi dell’art. 3, comma 2, del D.lgs. n. 286/1999, definisce le funzioni delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti nei confronti degli enti locali nel nuovo ordinamento federale, rimarcando esplicitamente la natura collaborativa delle verifiche che le stesse saranno chiamate a svolgere nei confronti degli enti stessi. In tale contesto, la norma prevede la possibilità che le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti possano effettuare la verifica del perseguimento, da parte degli enti locali, degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, nonché la verifica della sana gestione finanziaria degli enti locali. Fra gli altri compiti affidati dalla disposizione alle sezioni regionali della Corte dei conti un rilievo particolare assume anche quello della verifica, da parte delle stesse sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, del funzionamento dei controlli interni negli enti locali, che hanno trovato, e trovano tuttora, non poche resistenze e difficoltà ad essere istituiti ed avviati
La stessa legge ha introdotto il controllo collaborativo della Corte dei conti, sul perseguimento, degli obiettivi posti dalle leggi, statali o regionale, sia di principio che di programma nonché sulla sana gestione finanziaria degli enti locali ed sul funzionamento del sistema dei controlli interni. Sugli esiti delle verifiche le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti devono riferire esclusivamente ai consigli degli enti controllati. Questa disposizione qualifica il controllo della Corte dei conti come “controllo collaborativo”.
Nel delineare specificatamente le funzioni delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti nei confronti degli enti locali nel nuovo ordinamento di tipo federale dello Stato, l’art. 7, comma 7, della legge n. 131/2003 rimarca esplicitamente la natura collaborativa del controllo che le stesse sono chiamate a svolgere, prevedendo espressamente che “le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni e riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai consigli degli enti controllati.
Il richiamo alla natura collaborativa del controllo sulla gestione, a cui le sezioni regionali di controllo della corte dei conti dovranno ispirarsi nell’effettuare le verifiche di propria competenza ad esse affidate dall’art 7, comma 7, della legge n. 131/2003, sta a significare che le verifiche non dovranno e non potranno avere finalità interdittive o repressive, o sanzionatorie, ma solo collaborative, nel senso che qualora le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti dovessero rilevare eventuali irregolarità o eventuali scostamenti nel perseguimento, da parte degli enti territoriali e degli enti locali, degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, o eventuali irregolarità nella gestione finanziaria degli enti locali, o quanto meno una non corretta e sana gestione finanziaria degli enti medesimi, o il mancato o cattivo funzionamento dei controlli interni, non potranno intervenire per correggere, impedire, reprimere o sanzionare autoritativamente le irregolarità o gli scostamenti rilevati, ma dovranno limitarsi a “riferire sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai consigli degli enti controllati nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione.”
La natura e la finalità collaborativa del controllo sulla gestione della Corte dei conti, già prevista dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20, si colloca nel quadro delle riforme che hanno interessato la pubblica amministrazione a partire dall’inizio degli anni ’90, ad iniziare dal D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 , e nel generale processo di superamento dei controlli di legittimità esterni, aventi natura e finalità sostanzialmente interdittivi e repressivi, e la loro sostituzione con i controlli di efficienza interni, aventi, appunto, finalità e natura sostanzialmente collaborativi e direzionale, e fondati soprattutto su interventi di autocorrezione da parte delle stesse amministrazioni controllate. Il processo di superamento dei controlli preventivi esterni di legittimità e di sostituzione degli stessi con i controlli interni di efficienza, avviato per quanto riguarda gli enti locali, con la legge 8 giugno 1990, n. 142, e, per quanto riguarda le amministrazioni statale e la generalità delle amministrazioni pubbliche, con il D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e con la legge 14 gennaio 1994, n. 20, è esitato, alla fine degli anni ’90, con l’approvazione del D.lgs. 30 luglio 1999, n. 286, recante il “Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumento di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalla amministrazioni pubbliche, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”.
Ferma restando la natura collaborativa e direzione dei controlli interni, riordinati, con il D.lgs. n. 286/1999, anche il controllo successivo sulla gestione che la Corte dei conti svolge, anche in corso di esercizio, sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche , nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria ai sensi dell’articolo 3, comma 4, della legge 14 gennaio 1994n. 20, recante “Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti”, pur essendo un controllo esterno rispetto alle amministrazioni controllate, ha finalità sicuramente collaborative e direzionali e non certamente sanzionatorie o repressive come il controllo di legittimità preventivo sugli atti. Questo tipo di controllo sulla gestione ha il suo esito in una funzione di referto al Parlamento prevista dal comma 6 della stessa legge n. 20/1994.
Proprio con riferimento alla amministrazioni regionali, giova ricordare, che già l’articolo 3, comma 5 della legge n. 20/1994 prevedeva che “nei confronti delle amministrazioni regionali, il controllo sulla gestione concerne il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma”. Anche con riferimento a questo tipo di controllo, il successivo comma 6 dello stesso articolo 3 della legge n. 20/94, nel rimarcare la natura collaborativi del controllo sulla gestione, stabilisce che “la Corte dei conti riferisce, almeno annualmente al Parlamento ed ai Consigli regionali sull’esito del controllo eseguito. Le relazioni della Corte sono altresì inviate alle amministrazioni interessate, alle quali la Corte formula, in qualsiasi altro momento, le proprie osservazioni. Le amministrazioni comunicano alla Corte e agli organi elettivi le misure consequenzialmente adottate.
Anche questo tipo di controllo doveva quindi, essere collocato nel quadro dei controlli collaborativi, al pari di quello che la Corte dei conti è ora chiamata a svolgere nei confronti delle Regioni e degli altri enti locali nel nuovo contesto dell’ordinamento di tipo federale dello Stato delineato dalla legge costituzionale n. 3/2001 di riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione e dalla legge n. 131/2003.
La natura collaborativa del controllo che la Corte dei conti è chiamata a svolgere in uno Stato ad ordinamento federale nei confronti delle autonomie territoriali, sulla base del sistema delineato dalla legge n. 131/2003, non deve, far pensare ad una commistione di ruoli fra le amministrazioni controllate e la Corte dei conti, o ad una sorta di compartecipazione dell’organo di controllo all’attività amministrativa degli enti sottoposti a controllo. Ferma restando la natura collaborativi del controllo della Corte dei conti nei confronti delle autonomie, occorre considerare, che si tratterà pur sempre di una forma di controllo esterno, finalizzato, pur nel rispetto della autonomia degli enti, a garantire nel sistema unitario della finanza pubblica e ai fini del suo coordinamento, da un lato, il rispetto degli equilibri di bilancio da parte dei Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni, anche in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, e dall’altro, il buon funzionamento del fondo perequativo previsto dall’articolo 119 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001. Ciò non esclude che la natura collaborativa del controllo sulle autonomie possa comportare il rischio di coinvolgere la Corte dei conti, nelle sue articolazioni regionali, della stessa funzione di amministrazione attiva, attraverso una compartecipazione all’esercizio delle funzioni di amministrazione attiva.
La natura collaborativi delle funzioni di controllo che le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti sono chiamate a svolgere nei confronti delle Regioni e degli altri enti locali nel sistema delineato dalla legge n. 131/2003, potrebbe far pensare, peraltro, al venir meno dell’esigenza della stessa natura magistratuale della Corte dei conti, nel falso convincimento che la natura magistratuale dell’organo di controllo sarebbe richiesta solo da un controllo esterno di tipo sanzionatorio, repressivo, e interdittivo, allo scopo di assicurare una posizione di terzietà, di indipendenza e di autonomia dell’organo di controllo rispetto agli enti controllati. In realtà occorre considerare che anche il controllo collaborativo, al pari dei controlli sanzionatori, ha una funzione asseverativa, di accertamento, di verifica del rispetto di determinati parametri da parte degli enti controllati, che richiede in capo all’organo di controllo una posizione di terzietà, di autonomia e di indipendenza, oltre che una dignità istituzionale, che solo la natura magistratuale di controllo può garantire. Ciò è tanto pur vero, soprattutto ove si consideri che, le verifiche che le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti sono chiamate a svolgere nei confronti delle Regioni e degli altri enti locali nel sistema delineato dalla legge n. 131/2003, sebbene ispirate alla natura collaborativa del controllo sulla gestione, potrebbero comunque comportare, seppure indirettamente, effetti sanzionatori nei confronti degli stessi enti controllati, magari previsti dalle leggi statali o regionali di principio o di programma che prevedano il perseguimento di determinati obiettivi ai fini del rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni, come, ad esempio, la legge già prevede con riferimento al rispetto dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno e dall’appartenenza all’Unione europea.
Il nuovo istituto del “controllo collaborativo” della Corte dei conti, introdotto dalla legge n. 131 del 2003 e potenziato con la legge 30 luglio 2004 n. 191 la quale all’articolo 1, comma 5 introduce l’articolo 198 bis del T.u.e.l. il quale afferma che “Nell’ambito dei sistemi di controllo di gestione di cui agli articoli 196 197 e 198, la struttura operativa alla quale è assegnata la funzione del controllo di gestione fornisce la conclusione del predetto controllo agli amministratori ed ai responsabili dei servizi ai sensi di quanto previsto dall’articolo 198, anche alla Corte dei conti.”   e con la legge finanziaria del 2005 (legge 30 dicembre 2004, n.311 comma 11 e 42 ) , rafforza la previsione del controllo esterno sulla gestione già contenuto nell’articolo 148 del T.u.e.l. Cfr. A. MARZANATI, Commento all’articolo 7 della legge n. 131/2003, in A.A. V.V. (a cura di) Il nuovo ordinamento della repubblica: commento alla L. 5 giugno 2003, n. 131, Milano, 2003 ,461.
[3] Con questa espressione si indicano le responsabilità sottoposte alla cognizione del giudice contabile: S.v. CIMINI, La responsabilità amministrativa e contabile, Milano, 2003, 144, che sintetizza così il percorso delle responsabilità conosciute dalla Corte dei conti: “inizialmente tutte esse erano inglobate ed affondavano le proprie radici nel concetto unitario di responsabilità contabile. Successivamente si è passati a differenziare sul piano sostanziale la responsabilità contabile da quella formale oltre che da quella amministrativa. Infine, la forte vis espansiva di quest’ultima ha assorbito in sé le altre due”.
[4] Cfr. CIMINI, La responsabilità amministrativa e contabile, cit., 13 ss.
[5] Cfr. GRECO, La responsabilità civile dell’amministrazione e dei suoi agenti, in Mazzaroli-Pericu-Romano-Roversi Monaco-Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, vol. II, Bologna, 2001, 1765 ss.
[6] Cfr. GIAMPAOLINI, Prime osservazioni sull’ultima riforma della giurisdizione della Corte dei conti: innovazioni in tema di responsabilità amministrativa, in Foro amm., 1997, 3328 ss.
 
[7] I riferimenti normativi, utili al proposito, si rinvengono negli artt. 81, 82 e 83 r.d. n. 2440/1923 (legge di contabilità generale dello Stato), nell’art 52 T.U c.d.C (r.d. n. 1214/1934), negli artt. 18 e 19 T.U n. 3/1957, nell’art. 58 L. n. 142/1990 sulle autonomie locali, ora art. 93, comma 1, TUEL n. 267/2000, nelle leggi di riforma della Corte dei conti n 19 e n. 20 del 1994, la quale ultima ha precisato la nozione di “amministrazioni pubbliche” rilevante ai fini del sussistere della giurisdizione contabile, e la legge n. 639/1996, la quale ha disposto che la Corte dei conti giudichi sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza, limitatamente, tuttavia, ai “fatti successivi alla data di entrata in vigore della presente legge”.
[8] Cfr. PASQUALUCCI, Introduzione in SCHLITZER (a cura di), L’evoluzione della responsabilità amministrativa. Amministratori e dipendenti di regioni ed enti locali, Milano, 2002.
[9] Hanno, pertanto, un valore ormai solo storico le pronunce resa da Corte cost. n. 110/1970; nonché da Cass. Sez. un., n. 2616/1968; Cass. Sez. un., 363/1969.
[10] Si tratta di Corte cost., 30 luglio 1984, n. 241 e Corte cost., 11 luglio 1984, n. 189, entrambe in Foro it., 1985, I, 38 con nota adesiva di V VERRIENTI. V. in termini, anche Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 641, in Foro it. 1988, I, 694 con nota di GIAMPIETRO.
[11] Corte dei conti, sez riun., 29 luglio 1980, n. 248, in Foro it., 1981, III, 497; Corte dei conti, sez riun., 8 ottobre 1982, n. 316/A, in Riv. Corte conti, 1983, 36; Corte dei conti, sez riun., 30 maggio 1986, n. 490/A, in Foro it., 1987, III, 290.
[12] In Foro amm., 2002, 521
[13] Cfr. E FERRARI, Le giurisdizioni amministrative speciali, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di CASSESE, Milano, IV, 2000, 3608 ss.
[14] V., Corte. cost.,30 dicembre 1987, n. 641 cit; Corte cost., 22 luglio 1998, n. 307, in Giur. cost., 1998, 2297 ss.
[15] Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 641 cit., ha espressamente ritenuto che “nella interpositio del legislatore deve individuarsi il limite funzionale delle attribuzioni giudicanti della Corte dei conti.
[16] V. anche per una rassegna delle principali sentenze rese su tali punti F. GOISIS, Note sulla sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità di amministratori e funzionari di società in mano pubblica, in dir. proc. amm., 2002, 2, 444 ss.
[17] Tale legge è rubricata “Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche”. L’articolo 7 statuisce che “la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’articolo 3 per i delitti contro la Pubblica Amministrazione previsti dal Capo I del Titolo II del libro secondo del c.p. è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro 30 giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato”; l’articolo 3 si riferisce espressamente ai dipendenti di “amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica”.
[18] Cfr. F. GOISIS, op.cit., 471.
[19] Cass. Sez. un., 29 novembre 1999, n. 829, in Guida enti locali, n. 13/2000, 74; Cass., Sez. un., 9 febbraio 1999, n. 231, in Riv. Corte conti, 1999, 108 ss.
[20] Cass. Sez. un., 20 ottobre 1993, n. 10381.
[21] Cass. Sez. un., 12 giugno 1999, n. 334, in Giur.it, 1999, 1582; Cass., Sez. un., 17 luglio 2001, n. 9649, in Foro it., 2001, 2790.
[22] Cfr. GARRI, I giudizi innanzi alla Corte dei conti. Responsabilità, conti, pensioni, Milano, 2000, 41 ss.
[23] Vedila in Foro. Amm., 2003, 3585
[24] V.tale Relazione in V. APICELLA, L’evoluzione più recente della giurisdizione di responsabilità della Corte dei conti, in Cons. Stato, 2003, II, 859, ove si legge che “Nei discorsi di inaugurazione da me pronunciati negli ultimi quattro anni, ho espresso un avviso positivo sulle leggi di riforma degli anni ’90 in quanto hanno saputo creare un sistema di giustizia contabile che risponde alle attuali esigenze di garanzia del cittadino: con la limitazione però del troppo ristretto ambito di competenza di fatto attribuito alla giurisdizione di responsabilità appartenente alla Corte, a fronte di quella che, formalmente, ma con molti dubbi, allora era ritenuta appartenente al giudice ordinario. Ciò avveniva, in specie, per quanto atteneva alla materia della responsabilità amministrativa degli amministratori degli enti pubblici economici, a parte la sola molto marginale eccezione riguardante l’esercizio di eventuali poteri autoritativi e di autoregolamentazione, con effetti pratici negativi per la tutela delle ragioni dell’erario… Si iniziò, così, una marcia durata quasi quaranta anni, durante i quali, sia la Corte costituzionale(Ndr.: si tratta di Corte cost., 28 dicembre 1993, n. 466) che la Corte di cassazione offrirono spunti, nelle loro pronunce, per sperare in un futuro cambiamento di indirizzo. Ora serenamente può dirsi che, allora, la questione non era ancora matura per una rivisitazione della normativa di fondo riguardante la materia. Recentemente questo lento processo di maturazione si è compiuto e a sancirlo è stato l’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n.19667 del 22 dicembre del 2003, una pronuncia, questa, che ha saputo con sapienza e sensibilità giuridica cogliere il segno dei tempi”.
[25] Per un commento all’ordinanza n. 19667/2003 della Corte di cassazione Cfr. A.CANALE, Sezioni Unite Civili della Cassazione: appartiene alla Corte dei conti la giurisdizione nei confronti degli amministratori e dipendenti degli enti pubblici economici per i danni da essi arrecati alla finanza pubblica. Una “novità” che merita di essere sottolineata, in www.diritto.it, 2004.  L’autore sottolinea come l’ordinanza della Corte di cassazione n. 19667/2003, nel dichiarare appartenente alla Corte dei conti la giurisdizione nei confronti degli amministratori degli enti pubblici economici anche per atti dannosi commessi nell’esercizio di attività di impresa, e quindi adottati in base a regole di diritto privato, non costituisce un “dietro front” ma è invece un “avanti march”, in quanto la giurisprudenza della Suprema Corte ha preso atto dell’evoluzione della pubblica amministrazione intervenuta negli ultimi dieci/dodici anni e ne trae le necessarie conclusioni sul fronte della giurisdizione in materia di responsabilità patrimoniale-amministrativa. Cfr. A.CAROSELLI, La responsabilità amministrativa degli amministratori di società a partecipazione pubblico locale e degli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici, in www.Dirittodeiservizipubblici.it, 2004.
Con l’ordinanza n. 19667 del 22 dicembre del 2003 la Suprema Corte ripercorre le tappe di un iter giurisprudenziale che, nel corso di un quarantennio, ha condotto il giudice ad adottare una lettura sempre meno formalistica della realtà nazionale, all’interno della quale si è assistito, e si assiste tutt’ora, ad una sorta di osmosi tra diritto pubblico e diritto privato e ad un progressivo avvicinamento dei processi interni alle amministrazioni pubbliche ai meccanismi e strumenti di derivazione civilistica. L’evoluzione normativa e la stessa prassi hanno visto diffondersi rapidamente tra le amministrazioni pubbliche moduli gestionali mutuati dal diritto comune per lo svolgimento, oltre che di servizi pubblici, di attività amministrative, mentre, in particolare, a seguito dell’approvazione della legge n. 241/1990, meccanismi di derivazione civilistica e moduli convenzionali sono divenuti strumenti di azione ed esercizio di funzioni amministrative, al pari dei provvedimenti.
Nella pronuncia citata la riflessione della Corte prende le mosse dalla sentenza n.363/1969 con cui le sezioni unite riconobbero la giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità di amministratori e dipendenti di enti pubblici non economici quale espressione della portata precettiva dell’articolo 103 Cost., nel caso in cui, in concreto, si accerti la presenza di due elementi significativi e qualificanti la stessa nozione di contabilità pubblica: l’uno attinente la natura pubblica dell’ente cui il soggetto agente risulta legato, l’altro la qualificazione pubblica del denaro o del bene utilizzato.
Pur ribadendo tale orientamento, con successiva sentenza (Cass. n. 1282/1982) la Corte riconobbe però come mal si adattasse alla natura, agli scopi e al modus operandi degli enti pubblici economici il rigore del controllo della contabilità pubblica, atteso che questi agiscono di regola tramite strumenti di diritto privato per lo svolgimento di attività di rilevanza economica.
Ne consegue, osservava la Corte, che deve escludersi la giurisdizione del giudice contabile per tutte quelle ipotesi di danno che conseguono all’esercizio, da parte di amministratori e dipendenti, di attività di carattere imprenditoriale, dovendosi restringere tale controllo alle ipotesi in cui tali enti, al pari di altre amministrazioni, esercitino, seppure per lo più tramite moduli convenzionali, un’attività amministrativa.
Ora però l’evoluzione e l’ampliamento della nozione di pubblica amministrazione, sia in termini soggettivo-organizzativi, che operativo-funzionali, evidenziata dalla stessa giurisprudenza della Corte costituzionale, inducono il giudice ad un nuovo approccio interpretativo in materia di competenza giurisdizionale sulla responsabilità amministrativa, al fine di evitare che si sottraggano al controllo del giudice contabile ipotesi nuove di gestione del patrimonio pubblico e quindi che ne risulti maggiormente difficoltosa la relativa tutela.
Osserva in proposito la Corte che “il processo di privatizzazione dell’amministrazione pubblica non ha comportato una corrispondente normativa riduzione della sfera di competenza giurisdizionale della Corte dei conti… al contrario, è stata attuata, dalle leggi degli anni ’90 in poi, una espansione di tale sfera”. In sostanza si afferma come il diversificarsi ed ampliarsi dei moduli gestori del patrimonio pubblico abbiano prodotto un fenomeno espansivo della giurisdizione del giudice contabile, il cui potere va riconosciuto ogni qual volta si sia verificata una lesione a beni e risorse pubblica ed il danneggiante risulti legato ad un ente che, al di là della forma organizzativa assunta, possa definirsi pubblico.
Ne consegue che, in materia di responsabilità amministrativa, la giurisdizione della Corte dei conti, rispetto al giudice ordinario, non si distingue tanto per il meccanismo interno di attribuzione della responsabilità quanto per la qualità, la natura pubblica dell’ente leso e la derivazione pubblica delle risorse o dei beni di cui il soggetto si è avvalso.
Lo scopo della legge n. 29/1994 deve identificarsi con la tutela del patrimonio pubblico e quindi degli interessi della collettività.
Una volta accertati tali elementi, conclude la Corte nell’ordinanza n. 19667/2003, non può più accogliersi il precedente orientamento in base al quale occorreva distinguere, ai fini dell’individuazione della giurisdizione, le ipotesi in cui gli atti posti in essere dal soggetto abbiano violato norme di diritto pubblico o nome di diritto privato in quanto si tratta comunque di materia di contabilità pubblica, la cui cognizione risulta devoluta alla Corte dei conti ex art. 103 Cost.
E’ dunque l’evento verificatosi in danno dell’amministrazione pubblica il dato essenziale dal quale scaturisce la giurisdizione contabile, e non, o non più, il quadro di riferimento (di diritto privato o pubblico), nel quale si colloca la condotta produttiva del danno stesso”. Cfr. A.CHIAPPINIELLO, Relazione d’apertura dell’anno giudiziario 2005 della Corte dei conti di Perugia, in www.giustamm.it , 2005. il quale sottolinea che “Secondo la Suprema Corte, l’ampliamento della nozione di “contabilità pubblica” derivante dal progressivo ampliamento del concetto di soggetto pubblico, comporta la giurisdizione della Corte dei conti su tutti gli agenti pubblici per i danni alle pubbliche risorse a prescindere dal modello organizzativo nel quale operano e porta all’individuazione nella forma costituzionale di una vera e propria “materia” utile ai fini del riparto di giurisdizione per materie dando concreta e puntuale applicazione al secondo comma dell’articolo 103 Cost.”. Cfr. T.MIELE, L’evoluzione in senso oggettivo della giurisdizione contabile. Il criterio della natura oggettivamente pubblica delle risorse gestite, in La giurisdizione della Corte dei conti e responsabilità amministrativo-contabile a dieci anni dalle riforme, M ATELLI (a cura di), Napoli, 2005, 123 ss. Cfr. M.ATELLI, Ampliata la giurisdizione contabile agli atti di natura imprenditoriale, in Guida al diritto, il sole24ore, n. 4/2004, 47 ss. L’autore sottolinea che con l’ordinanza in esame “ perde significato la distinzione tra atti che esorbitano dall’esercizio imprenditoriale proprio degli enti pubblici economici e quelli che si ricollegano ai poteri autoritativi”.
 
[26] Corte dei Conti, Sez. Giurisd. Regione Molise, 7 ottobre 2002, n. 234, in www.giusti.it, con commento di M. PERIN, La responsabilità amministrativa per i danni prodotti da soggetti privati beneficiari di risorse pubbliche destinate allo svolgimento di funzioni pubbliche.
Tale sentenza ha avuto il merito e il coraggio di superare il criterio di sussistenza di un rapporto di servizio per l’incardinazione della giurisdizione della Corte dei conti ed ha individuato , in maniera estremamente innovativa, nella natura pubblica delle risorse finanziarie in relazione alle quali si configura il danno di cui alla pretesa risarcitoria, il presupposto per l’incardinazione della stessa giurisdizione. Tale sentenza ha segnato, invero, una vera e propria svolta sul piano giurisprudenziale con riferimento alla delicata questione della giurisdizione della stessa Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativa.
[27] La Corte costituzionale in tale sentenza non ha sancito il permanere del controllo della Corte dei conti sulle società ,derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici, in ragione della loro natura sostanzialmente pubblica, ma piuttosto per la presenza di un apporto finanziario da parte dello Stato del capitale delle medesime.
[28] Vedila in Riv. Corte conti., 2004, 239. La corte di cassazione a SS.UU. con ordinanza n. 3351/2004 ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti dei componenti la Commissione Amministratrice di un’azienda municipalizzata sulla base della normativa di cui alla legge 8 giugno 1990, n. 142, recante norme sulle autonomie locali. In particolare, la Suprema Corte ha statuito che l’articolo 58 della legge n. 142 del 1990 (sostituito con l’articolo 93 del TUEL n. 267/2000), prevedendo per gli amministratori degli enti locali l’applicazione delle disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato, ha avuto l’effetto di estendere al settore della responsabilità per danno erariale arrecato all’Ente locale dal suo amministratore o dipendente le norme di carattere processuale che riservano alla giurisdizione della Corte dei conti tutte le controversie in materia di responsabilità amministrativa-contabile, con la conseguenza che è venuto meno, anche rispetto agli amministratori degli Enti locali, la necessità di distinguere tra responsabilità formale (riservata alla giurisdizione contabile ai sensi dell’art. 260 del r.d. n. 383/1934), e responsabilità amministrativa generale (riservata alla giurisdizione ordinaria ai sensi degli artt. 261-265 del r.d. n. 383/1934), normativa attualmente abrogata dall’articolo 64 della legge n. 142 del 1990.
[29] Si tratta della sentenza n. 3899 del 26 febbraio 2004, in LexItalia.it,2004,1, con commento di M. PERIN.
Le Sezioni Uniti Civili della cassazione hanno affermato la giurisdizione della Corte di conti per le ipotesi di responsabilità amministrativa degli amministratori delle s.p.a. partecipate dagli enti pubblici per i danni erariali arrecati al patrimonio dell’ente. Anche in questo caso, la Corte, nell’affermare che “sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti degli amministratori di una società per azioni il cui capitale è detenuto in misura assolutamente maggioritaria dalla pubblica amministrazione”, hanno argomentato dal fatto che “deve essere riconosciuto (…) l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti ogni qualvolta si instauri una relazione non organica, ma funzionale, caratterizzata dall’inserimento del soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente pubblico come compartecipe dell’attività ai fini pubblici di quest’ultimo a nulla rilevando, in contrario, la natura privatistica dell’ente affidatario e/o dello strumento contrattuale con il quale si è costituito ed attuato il rapporto in questione”.
[30] Cass. Sez. un., 22 luglio 2004, n. 13702, relativa ad una società per azioni con capitale interamente posseduto dal Comune , e che fa principalmente leva sull’argomento che, in tal caso, il sindacato del giudice non ha ad oggetto l’utilizzo di poteri discrezionali, ma “l’omesso esercizio di qualsiasi elementare forma di tutela del patrimonio comunale”, onde bene si fonda la giurisdizione della Corte dei conti.
Cfr. A. CANALE, Società per azioni a capitale pubblico: riflessioni in merito alla sentenza n. 13702/04 del 22 luglio 2004 delle Sezioni Unite Civili della Cassazione, in www.diritto.it, 10/2004.
Con tale sentenza la Suprema Corte ha stabilito che i sindaci di un comune, in presenza di atti dannosi di cattiva gestione di una s.p.a. a capitale pubblico locale, hanno l’obbligo di proporre l’azione sociale di responsabilità ex. Art. 2393 c.c. nei confronti degli amministratori della società ritenuti responsabili di tali atti; e ciò in adempimento di obblighi di tutela del patrimonio comunale.
L’esercizio dell’azione sociale di responsabilità costituisce per l’amministratore pubblico un obbligo giuridico, avendo la Suprema Corte ritenuto che “ tale omessa attività non rientra nel contesto delle attività discrezionali dell’amministrazione, rimesse a valutazioni di merito, ma consiste in una violazione di precisi obblighi di tutela del patrimoni comunale conseguenti al prescelto modulo organizzativo dell’attività (s.p.a. a capitale interamente pubblico)”. Tenuto conto che sempre più spesso le amministrazioni locali ricorrono, per l’esercizio dei servizi pubblici e persino per talune attività istituzionale, a moduli organizzativi privatistici, c’è da sperare che gli amministratori locali mantengano la piena consapevolezza che la scelta di tali moduli non li deresponsabilizza affatto, imponendo loro pregnanti doveri di vigilanza e di tutela del patrimonio comunale, del quale ovviamente fanno parte azioni o quote sociali.
 
[31] I fatti che hanno dato luogo all’ordinanza n. 19667 del 2003, in Il Consiglio di Stato, 2004, 1, II, 313, resa in sede di regolamento di giurisdizione, riguardano un giudizio promosso dal procuratore regionale nei confronti del presidente e degli altri componenti del consiglio di amministrazione del Consorzio comprensoriale del Chetino per la gestione delle opere acquedottistiche (ente costituito, tra i comuni ai sensi dell’art. 25 L 8 giugno 1990 n. 142, dotato di personalità e di autonomia imprenditoriale avente ad oggetto la gestione del servizio idrico con possibilità di compiere operazioni immobiliari, industriali, commerciali, finanziarie e mobiliari) chiamati al pagamento, in favore del Consorzio di una somma pari a lire 4.511.200.000 quale danno derivante all’ente dall’affidamento da parte del consiglio di amministrazione ad una società (della quale era consulente il Presidente del Consorzio) di un incarico di consulenza finanziaria cui era seguito un contratto di investimento di capitali, ritenuti ad alto rendimento, che aveva comportato il trasferimento all’estero di ingenti fondi del consorzio non più rientrati.
La corte nel regolare la competenza dopo aver richiamato il proprio precedente indirizzo contrario al riconoscimento della giurisdizione del giudice contabile per tutte quelle ipotesi di danno che conseguono all’esercizio, da parte di amministratori e dipendenti, di attività di carattere imprenditoriale, dovendosi restringere tale controllo alle ipotesi in cui tali enti, al pari di altre amministrazioni esercitino seppure per lo più tramite moduli convenzionali un’attività amministrativa, ha però soggiunto che “l’evoluzione e l’ampliamento della nozione di Pubblica amministrazione, sia in termini soggettivo-organizzativi che operativo-funzionali, evidenziata dalla stessa giurisprudenza della Corte costituzionale, inducono il giudice ad un nuovo approccio interpretativo in materia di competenza giurisdizionale sulla responsabilità amministrativa, al fine di evitare che si sottraggano al controllo del giudice contabile ipotesi nuove di gestione del patrimonio pubblico e quindi che ne risulti maggiormente difficoltosa la relativa tutela”. Osserva in proposito la Corte che “il processo di privatizzazione dell’amministrazione pubblica non ha comportato una corrispondente normativa riduzione della sfera di competenza giurisdizionale della Corte dei conti… al contrario è stata attuata dalle legge degli anni ’90 in poi, un’espansione di tale sfera”. In sostanza si afferma come il diversificarsi ed ampliarsi dei moduli gestori del patrimonio pubblico abbiano prodotto un fenomeno espansivo della giurisdizione del giudice contabile “il cui potere va riconosciuto ogni qual volta si sia verificata una lesione a beni e risorse pubbliche ed il danneggiante risulti legato ad un enti che, al di là della forma organizzativa assunta, possa definirsi pubblico”. Depongono per questa conclusione, secondo la Corte, il nuovo assetto strutturale della Corte dei conti delineato dalla L. n. 20 del 1994 (art 1 ultimo comma) che, data l’ampia formulazione della norma, deve ritenersi faccia riferimento anche agli enti pubblici economici, oltre che a quelli non economici ed alle amministrazioni. “Se, in ordine alla giurisdizione che continua ad essere attribuita al giudice ordinario sulla responsabilità extracontrattuale di amministratori e dipendenti pubblici in danno di soggetti diversi da amministrazioni od enti pubblici, quel che rileva, ai sensi dell’art. 2043 cc., è che la condotta dell’agente sia contrassegnata da dolo o colpa ed abbia prodotto un danno ingiusto ad essa casualmente collegato, altrettanto è da dirsi per la stessa responsabilità dei medesimi soggetti in danno invece di amministrazioni ed enti diversi da quelli di appartenenza, devoluta invece alla Corte dei conti. Il discrimen tra le due giurisdizioni risiede infatti unicamente nella qualità del soggetto passivo, e, pertanto, nella natura, pubblici o privata, delle risorse finanziarie di cui esso si avvale, avendo il legislatore del 1994 inteso più incisivamente tutelare il patrimonio di amministrazioni ed enti pubblici, diversi da quelli cui appartiene il soggetto agente e così in definitiva, l’interesse pubblico, con l’attribuzione della relativa giurisdizione alla Corte dei conti, presso la quale la differenza di quanto invece avviene, salvo eccezioni; è tenuto il procuratore regionale abilitato a promuovere i relativi giudizi nell’interesse generale dell’ordinamento giuridico”. La devoluzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla responsabilità amministrativa extracontrattuale, nei limiti anzidetti, degli amministratori e dipendenti pubblici appare particolarmente significativa perché, per i relativi giudizi non si pongono quei problemi di conflitti di interessi e di condizionamenti che ricorrono invece riguardo alla responsabilità amministrativa contrattuale degli stessi soggetti per la quale questa Corte suprema (sentenza n. 9780/1998) manifestò il timore che la “finora timida attività giudiziaria dell’ente danneggiato nei confronti dei pretesi responsabili (amministratori e dipendenti dello stesso ente)potesse risolversi in un sostanziale esonero da responsabilità rimettendo peraltro al legislatore la soluzione del problema”. Per la Cassazione inoltre “la norma innovativa di cui all’art. 1 ultimo comma L. n, 20 del 1994 ha una sua evidente ricaduta anche in tema di responsabilità contrattuale: se, infatti nella responsabilità extracontrattuale in danno di amministrazioni od enti pubblici diversi da quelli di appartenenza le modalità della condotta (violatrice di norma tanto di diritto pubblico che di diritto privato) del soggetto agente sono giuridicamente irrilevanti quanto alla giurisdizione, a maggior ragione esse lo sono divenute allorquando il danno sia stato cagionato alla stessa amministrazione di appartenenza, non essendo pensabile che il legislatore abbia voluto tutelare in misura mento incisiva quest’ultima”. Non a caso l’art. 1 della L. n. 20 del 1994 fa riferimento al comportamento degli amministratori e dipendenti pubblici soggetti a giudizio di responsabilità, nonché al fatto dannoso ed al danno: è, dunque, l’evento verificatosi in danno di un’amministrazione pubblica il dato essenziale dal quale scaturisce la giurisdizione contabile, e non più, il quadro di riferimento (diritto pubblico o privato) nel quale si colloca la condotta produttiva del danno stesso.
[32] Sono attribuiti alla Corte dei conti i giudizi di responsabilità amministrativa, per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore dell’art. 1 ultimo comma L. n. 20 del 1994, anche nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici. La vicenda che ha dato luogo alla sentenza n. 3899 del 26 febbraio 2004, in www.dirittodeiservizipubblici.it, riguarda comportamenti illeciti di amministratori (attività contrattuale) che avrebbero comportato un danno a carico del Comune milanese per il pregiudizio patito dalla società da esso partecipata (la SO.GE.MI) in misura pressoché totalitaria (99,97%). Ai fini del riconoscimento della giurisdizione contabile la Cassazione ha operato un mero rinvio alla motivazione dell’ordinanza n. 19667, stante la possibilità di pervenire ad una pronuncia affermativa in ordine alla giurisdizione contabile sulla base dei criteri tradizionali.
Da un lato, infatti, bisogna rilevare che, come sottolineato nella memoria del ricorrente, la istituzione e la gestione dei mercati all’ingrosso costituiscono un servizio pubblico, ai sensi della L. n. 125 del 1959 degli artt. 117 e 118 Cost. ( e conseguente trasferimento di funzioni amministrative alle regioni a statuto ordinario: D.P.R. n. 7 del 1972 e n. 616 del 1977).
[33] L’orientamento giurisprudenziale che afferma il superamento del rapporto di servizio quale presupposto per l’incardinazione della giurisdizione della Corte dei conti, se da un lato potrà comportare un ampliamento dell’area della giurisdizione della stessa Corte, estendendo la giurisdizione della Corte dei conti a tutte le atre ipotesi di danno patrimoniale subite dalle pubbliche finanze nascenti da ogni altro tipo di rapporto relativo al maneggio o all’utilizzo di pubblico denaro, a tutto vantaggio della tutela delle pubbliche risorse, dall’altro potrebbe comportare, nella sua applicazione radicale, conseguenze estreme, quale, ad esempio, quella di ritenere assoggettabile al giudizio della Corte dei conti, in maniera indiscriminata, anche i soggetti privati beneficiari di sussidi o contributi pubblici o di finanziamenti da parte di amministrazioni pubbliche. Per fugare ogni dubbio in ordine alle conseguenze estreme cui potrebbe dare luogo il suindicato criterio di incardinazione della giurisdizione della Corte dei conti, occorre considerare che, perché sussista la responsabilità dei soggetti privati beneficiari di sussidi o contributi pubblici o finanziamenti da parte di amministrazioni pubbliche per il danno patrimoniale alle pubbliche finanze che dovesse configurarsi in relazione al maneggio o all’utilizzo di pubblico denaro, è necessario che sussista, anche in tal caso, al pari della responsabilità amministrativa, che nasce e si configura in relazione alla violazione degli obblighi di servizio, la violazione di determinati obblighi correlati alla finalizzazione vincolate delle risorse pubbliche al fine tipico del perseguimento dell’interesse pubblico previsto dalla legge e per il quale le risorse finanziarie pubbliche vengono erogate.
Cfr. T. MIELE, Evoluzione in senso oggettivo della giurisdizione contabile: il criterio della natura oggettivamente pubblica delle risorse gestite, in M. Atelli. (a cura di) La giurisdizione della Corte dei conti e responsabilità amministrativo-contabile a dieci anni dalle riforme, Napoli, 2005, 123ss.

Petroni Paolo

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