Si differenzia dal cyberharassment (“cybermolestia”) che avviene tra adulti o adulto e minorenne; attualmente, nella prassi, si utilizza il termine cyberbullismo senza operare alcuna distinzione tra le due tipologie.
Le principali parti implicate contrapposte sono: da una parte, il cyberbullo che, nella maggior parte dei casi, compie azioni di prepotenza per ottenere popolarità all’interno di un gruppo, per divertimento o solo per noia; dall’altra, la vittima che spesso sviluppa un’autostima bassa, depressione, ansia, paure ed anche pensieri di suicidio.
Il termine inglese “Cyberbullying” è stato coniato nel 2002 dal docente canadese Bill Belsey e comprende ogni fattispecie di violenza continua, offensiva, ripetuta e sistematica, dalle molteplici forme quali prevaricazione e prepotenza, tra soggetti minorenni attuate tramite la rete internet, telefonia mobile, sui social network, utilizzando strumenti elettronici quali computer, tablet, telefonini, mediante sms, mms, e-mail, chat, blog, Skype, MSN, facebook, whatsapp.
Secondo la definizione proposta nel 2006 da Peter Smith unitamente ad altri giuristi anglofoni, per cyberbullismo si intende “una forma di prevaricazione volontaria e ripetuta, attuata attraverso un testo elettronico, agita contro un singolo o un gruppo con l’obiettivo di ferire e mettere a disagio la vittima di tale comportamento che non riesce a difendersi”.
Una definizione tecnica giuridica del termine cyberbullismo è fornita dal Legislatore nella Legge 29 maggio 2017, n. 71 in materia di “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, infatti, nel 2° comma dell’art. 1 si legge testualmente: “Ai fini della presente legge, per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonchè la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.”
Per contrastare il cyberbullismo sono efficaci le azioni di prevenzione da parte di adulti competenti al fine di informare sia i genitori che gli insegnanti sull’importanza di educare i giovani ad un uso opportuno e corretto delle nuove tecnologie informatiche.
Tipologie di cyberbullismo
Considerando i comportamenti adottati dai cyberbulli si riscontrano le seguenti classificazioni:
– Flaming (deriva dal termine inglese flame che significa “fiamma”): consiste in messaggi online volgari, violenti, offensivi e provocatori contenenti insulti finalizzati a suscitare battaglie verbali sui social network o nei forum;
– Harassment (molestie): invio ripetuto di messaggi dal contenuto offensivo mirati a ferire una determinata persona alla quale si può causare un evidente disagio sia emotivo che psichico;
– Denigration (denigrazione): insultare o diffamare qualcuno online con pettegolezzi, menzogne, dicerie e commenti crudeli, offensivi e denigratori nei riguardi delle vittime attraverso e-mail, sms, messaggistica istantanea, per danneggiare gratuitamente e con cattiveria la reputazione della persona o le sue amicizie;
– Impersonation (sostituzione di persona) o identity theft (furto d’identità): l’aggressore si sostituisce alla reale persona creandosi un profilo su internet con identità fittizia utilizzando informazioni personali, foto e dati di accesso quali password e nome utente relativi all’account di qualcuno, per spedire messaggi o pubblicare contenuti deplorevoli al fine di danneggiare l’immagine e la reputazione della vittima;
– Exclusion (esclusione): consiste nell’escludere intenzionalmente un utente da un gruppo costituito su un social network (es. gruppo di amici, chat, giochi interattivi, forum telematici) con l’obiettivo di provocargli un sentimento di emarginazione;
– Cyberstalking o cyber-persecuzione (stalking online): si intendono minacce, molestie, violenze e denigrazioni ripetute e minacciose con lo scopo di incutere nella vittima terrore e paura per la propria incolumità fisica;
– Outing (confessione pubblica di un fatto o un’esperienza personale) e trickering (Inganno): ottenere la fiducia di qualcuno con l’inganno al fine di diffondere, pubblicare e condividere in rete le informazioni private imbarazzanti o le immagini personali, rivelando segreti della persona e, quindi, violando la riservatezza delle confidenze;
– Sexting (derivato dalla fusione delle parole inglesi sex “sesso” e texting “inviare messaggi elettronici”): invio di messaggi, testi, foto e video a sfondo sessuale che vengono divulgati tramite mezzi elettronici come smartphone e internet;
– Doxing (il termine nasce come una contrazione del termine inglese documents “documenti”): diffusione pubblica di informazioni personali e private o altri dati sensibili della vittima tramite la rete internet, ponendo in essere un atto lesivo della privacy.
Il cyberbullismo può costituire una violazione delle norme di diritto privato (illecito civile), del Codice penale (illecito penale), del Codice della privacy (D.Lgs 196 del 2003) e dei principi fondamentali della Costituzione Italiana.
Violazione delle norme contenute nel Codice penale
Dalla lettura analitica della predetta definizione di cyberbullimo, considerando i molteplici comportamenti posti in essere da determinati soggetti nei confronti delle vittime, si evince come ogni espressione utilizzata può riferirsi a svariati reati disciplinati dal Codice penale, in particolare:
-Sostituzione di persona (art. 494 del c.p.);
-Percosse (art. 581 c.p.);
-Lesione personale (art. 582 del c.p.);
-Ingiuria (art. 594 del c.p.);
-Diffamazione (art. 595 del c.p.);
-Violenza privata (art. 610 c.p.);
-Minaccia (art. 612 c.p.);
-Atti persecutori – Stalking (art. 612 bis c.p.);
-Estorsione (art. 629 c.p.);
-Danneggiamento alle cose (art. 635 c.p.);
-Molestia o Disturbo alle persone (art. 660 c.p.).
Violazione delle norme contenute nel Codice della privacy
L’articolo 167 del Codice della privacy rubricato “Trattamento illecito di dati” dispone:
1° comma: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi.”
2° comma: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27 e 45, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da uno a tre anni.”
Violazione della norme contenute nella Costituzione Italiana
– Art. 2 Cost.: sono riconosciuti e garantiti i diritti inviolabili dell’uomo come la dignità della persona;
– Art. 3 Cost.: principio di uguaglianza formale (1° comma) e sostanziale (2° comma);
– Art. 15 Cost.: libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione;
– Art. 28 Cost.: responsabilità degli insegnanti e dello Stato;
– Art. 30 Cost.: è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli (culpa in educando e in vigilando);
– Art. 33 Cost.: libertà di insegnamento (1° comma) ed istituzione di scuole statali (2° comma);
– Art. 34 Cost.: libero accesso all’istruzione scolastica (1° comma), obbligatorietà e gratuità dell’istruzione dell’obbligo (2° comma), riconoscimento del diritto di studio (3° comma).
Violazione delle norme contenute nel Codice Civile
Si considera l’art. 2043 c.c. rubricato “Risarcimento per fatto illecito” secondo il quale: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno” che disciplina l’illecito extracontrattuale.
Applicando tale norma al caso di specie, quindi, la vittima del cyberbullismo può chiedere il risarcimento del danno ingiusto che ha subito con riferimento alla sua persona e/o alle proprie cose ex art. 2043 c.c., previo esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis del D.Lgs. 28/2010 (rientra nella fattispecie del risarcimento danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità), trattandosi di condizione di procedibilità della domanda giudiziale; l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza.
Il caso de quo esula dall’ambito di applicazione del procedimento di negoziazione assistita obbligatoria ai sensi dell’art. 3, 1° comma del D.L. 132/2014 che esclude espressamente la procedura di negoziazione assistita obbligatoria per le controversie che rientrano nel novero di quelle contemplate dall’art. 5, comma 1 bis, D. Lgs. 28/2010, come nel caso di cyberbullismo in relazione alla prospettata condotta di diffamazione tramite mezzi elettronici.
Risarcimento del danno non patrimoniale
A tal proposito si cita la sentenza della Corte di Cassazione Civile n. 531/2014 secondo la quale: “… le espressioni “danno esistenziale”, “danno biologico” e “danno morale” non esprimono distinte categorie di danno, tantomeno l’uno può considerarsi una sottocategoria dell’altro, trattandosi, piuttosto di locuzioni meramente descrittive dell’unica categoria di danno, che è quella del danno non patrimoniale, da identificarsi nel danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.”
Da tale affermazione si desume che per il riconoscimento del risarcimento avente carattere omnicomprensivo del danno non patrimoniale è necessario valutare se tale danno, nella fattispecie concreta, presenti o meno tali aspetti.
– Danno biologico: è il danno alla salute ed all’integrità psicofisica subito da una persona in conseguenza di un fatto illecito altrui, tutelato dall’art. 32 Cost.;
– Danno morale: consiste nel dolore, nella sofferenza interiore, nel turbamento, nel c.d. patema d’animo che il danneggiato patisce come conseguenza del comportamento illecito altrui;
– Danno esistenziale (definito anche danno dinamico-relazionale): è il danno alla persona, alla sua esistenza, alla qualità della vita in generale e nel relazionarsi con gli altri, caratterizzato da un peggioramento delle condizioni di vita quotidiane; tale danno è riconosciuto e tutelato dall’art. 2 Cost..
Tipologie di responsabilità civile
-Culpa del bullo minore
L’art. 2046 c.c. rubricato “Imputabilità del fatto dannoso” stabilisce che: “Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d’intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa”.
La lettura di tale norma evidenzia come qualunque persona che sia capace di intendere e di volere, anche minorenne, è responsabile per i comportamenti dannosi compiuti, nel caso de quo per atti di cyberbullismo, anche se da un punto di vista patrimoniale ne risponderanno i genitori.
Si precisa che per configurarsi tale responsabilità è sufficiente soltanto avere la capacità di intendere e di volere e non anche la capacità di agire (intesa come attitudine di un soggetto a compiere atti validamente idonei ad incidere sulle situazioni giuridiche di cui sono titolari) che si acquista con la maggiore età fissata al compimento dei 18 anni, ex art. 2 c.c..
Invece, relativamente alla persona priva della capacità di intendere e volere, ai sensi dell’art. 2047 c.c. risponde dei danni colui che si occupa di sorvegliare l’incapace, salvo che dimostri di non aver potuto impedire il fatto.
La valutazione del Giudice civile svolta per ogni fattispecie è volta ad accertare l’effettiva capacità di intendere e di volere”, a differenza di quanto accade in ambito penalistico ove sussiste l’assoluta non imputabilità del minore di anni 14.
-Culpa in vigilando ed in educando dei genitori
Ai sensi dell’art. 2048 c.c. rubricato “Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte” si sostiene che: “Il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela che abitano con essi.
… Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.”
Pertanto, la responsabilità civile dei genitori per atti illeciti posti in essere dal figlio minorenne capace di intendere e di volere si riscontra ogni volta che non si eserciti la vigilanza in modo consono all’età del minore volta a prevenire o impedire comportamenti sbagliati.
La Cassazione più volte ha affermato la responsabilità per “culpa in educando” ex art. 2048 c.c. dei genitori degli autori dei fatti illeciti poiché tali condotte lesive di interessi attinenti la sfera della persona, costituzionalmente rilevanti e protetti dall’art. 2 della Costituzione, quali il diritto alla riservatezza, alla reputazione, all’onore, all’immagine, comportano l’obbligo per i genitori dei cyberbulli (sul presupposto del loro mancato assolvimento dei propri obblighi educativi e di controllo sui figli) di risarcire i danni non patrimoniali conseguiti dalla vittima e dai suoi familiari.
In alcune sentenze si parla addirittura di inadempimento dei doveri di educazione e di formazione della personalità del minore, in termini tali da impedirne l’equilibrato sviluppo psico-emotivo, la capacità di dominare gli istinti, il rispetto degli altri e tutto ciò in cui si estrinseca la maturità personale.
Può ricorrere anche una responsabilità dei genitori personale ed oggettiva per culpa in vigilando, per violazione dei doveri relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale ex art. 147 c.c. (il D. Lgs. 154/2913 ha abrogato la locuzione “potestà” genitoriale sostituendola con il termine “responsabilità” genitoriale ovunque presente nel codice civile); con la conseguenza relativa all’onere probatorio in capo al genitore che deve fornire la prova in senso positivo, ossia aver fornito una buona educazione in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del figlio minore, come sostenuto dalla giurisprudenza maggioritaria.
La responsabilità dei genitori ricorre anche nell’ipotesi in cui un genitore non coabiti con il figlio se viene dimostrata la carenza di educazione; inoltre, nel caso in cui i genitori siano separati la responsabilità è di entrambi.
-Culpa in vigilando ed in educando degli insegnanti e dei dirigenti scolastici
Ai sensi dell’art. 28 Cost. si legge testualmente che: “I funzionari ed i dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazioni di diritti. In tali casi la responsabilità si estende allo Stato ed agli altri enti pubblici.”
L’art. 2048, 2° comma c.c. prevede che: “I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza”.
Nel caso in cui l’evento dannoso si verifichi in orario e luogo scolastico, si è in presenza di una responsabilità degli insegnanti e dei dirigenti scolastici per culpa in educando e per culpa in vigilando (essendo soggetti titolari del dovere di educare e controllare gli studenti) aggravata poiché la presunzione di colpa si può superare solo previa dimostrazione di aver vigilato bene o del caso fortuito.
Si precisa che per prevalente giurisprudenza della Cassazione al fine di superare la prevenzione, la scuola dovrebbe dimostrare di adottare “misure preventive” atte a scongiurare situazione antigiuridiche, non essendo sufficiente la sola dimostrazione di non essere stati in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva tutte le misure disciplinari od organizzative idonee ad evitare il sorgere di situazioni pericolose.”
-Culpa in organizzando della scuola
L’Istituto scolastico deve assicurare la vigilanza all’interno dell’edificio, sia nelle classi, sia negli altri spazi quali corridoi, palestre, spogliatoi, bagni, cortili.
Si può riscontrare la culpa in organizzando della Scuola nel caso in cui non siano attuate misure di prevenzione del cyberbullismo.
In merito si distingue la responsabilità della scuola privata disciplinata dall’art. 2049 c.c. che prevede la responsabilità indiretta della scuola nella quale presta il proprio lavoro l’insegnante in virtù di un contratto quando si verifica il comportamento illecito dell’alunno, rispetto alla scuola pubblica che, invece, ha una responsabilità diretta nei riguardi del Ministero della Pubblica Istruzione, il quale potrà esercitare l’azione di rivalsa sul docente nelle ipotesi di dolo o colpa grave, ex art. 61 L. 312/1980.
-Culpa in vigilando dell’Internet Provider
La giurisprudenza recente ha escluso il dovere generale di sorveglianza e di controllo in capo al gestore al punto da integrare una responsabilità solidale per tutti i comportamenti tenuti dagli utenti lesivi degli altrui diritti, nonostante l’Internet Provider ha specifici obblighi giuridici in favore dei propri iscritti.
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Maria Sabina Lembo | 2017 Maggioli Editore
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