1. Premessa
I confini della responsabilità civile non risultano oggi univoci, né tantomeno stabili[1], in quanto si tratta di un settore in costante evoluzione[2].
L’istituto in questione rappresenta tradizionalmente quello che meglio si presta a garantire una tutela rapida e flessibile rispetto alle esigenze sempre nuove emergenti dal tessuto sociale.
In questa prospettiva, ci si interroga sulla funzione della responsabilità civile, al fine di capire se, nel panorama dell’ordinamento giuridico vivente, possa ancora riconoscersi una funzione meramente riparatoria al sistema responsabilità, o la sua funzione debba essere riconsiderata e concepita anche in un’ottica sanzionatoria-deterrente rispetto alle condotte antigiuridiche[3].
Nell’ambito di queste considerazioni, si colloca la riscoperta di determinate figure giuridiche, oggetto di rinnovato interesse in dottrina e in parte della giurisprudenza di merito, le quali, pur con diversità di opinioni, si interrogano sulla opportunità di introdurre sistemi di reazione che non siano solo risarcitori.
La precisa natura di siffatte previsioni risulta infatti controversa.
In proposito, mentre un indirizzo interpretativo individua nelle medesime una funzione marcatamente sanzionatoria, se non propriamente punitiva[4], altro orientamento ritiene quest’ultima comunque secondaria rispetto alla tradizionale funzione compensativa.
2. Il risarcimento
Il sistema di responsabilità civile italiano è fondato sulla regola risarcitoria, improntata al principio di integrale riparazione del danno[5].
L’idea di base di tale principio è l’obiettivo di ristabilire un equilibrio alterato a causa della condotta dell’inadempimento o dell’illecito[6].
Il risarcimento del danno[7], infatti, è diretto a reintegrare il patrimonio del danneggiato nelle condizioni in cui si trovava prima della commissione dell’illecito (aquiliano o contrattuale)[8]. Ne deriva una concezione patrimoniale della danno, inteso quale pregiudizio economico che si riflette in una effettiva diminuzione del patrimonio del danneggiato ed il valore che presenterebbe, se l’obbligazione fosse stata tempestivamente ed esattamente adempiuta o il fatto dannoso non si fosse verificato[9].
Il principio della integrale riparazione del danno è oggetto di molteplici critiche. Tale principio – come si vedrà più avanti – non riesce infatti ad adattarsi a certi tipi di pregiudizio, per i quali la riparazione integrale difficilmente può trovare applicazione[10], in quanto lo stesso patisce numerose deviazioni, tanto a livello legislativo che giurisprudenziale[11].
L’integralità della riparazione (che rimetta il danneggiato nella stessa posizione giuridica in cui si trovava prima della commissione del fatto illecito) è coerente con la finalità di riparare il danno ma può «scontrarsi con gli obbiettivi di deterrenza irrinunciabili in un moderno sistema di responsabilità civile»[12].
Nonostante la sussistenza di eccezioni, il principio della integrale riparazione del danno continua a rivestire la sua centralità nel sistema italiano della responsabilità civile[13]. Il risarcimento del danno, riveste dunque una funzione essenzialmente economica poiché con esso si attua la traslazione di una perdita dal soggetto che l’ha di fatto subita, ad un altro soggetto individuato come responsabile in base a uno dei criteri di imputazione.
Questa funzione viene definita compensativa e, secondo i fautori della tesi della pluralità delle funzioni della responsabilità civile[14], rappresenta l’unica funzione che caratterizza qualunque modello aquiliano. In altri termini, essa rappresenterebbe la funzione costante che non può mai mancare e che può convivere con altre e diverse funzioni[15].
Secondo un altro orientamento[16], la responsabilità extracontrattuale ha una funzione esclusivamente sanzionatoria, costituendo uno strumento di tutela contro l’illecito[17].
Infine, va richiamata la giurisprudenza di legittimità secondo cui il sistema della responsabilità civile assolve unicamente alla funzione di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, mentre ne rimane estranea l’idea della punizione e della sanzione della responsabile civile[18].
3. L’indennizzo
Se il risarcimento di un danno tende al pieno ripristino della situazione che esisteva prima che il danno stesso si producesse, l’indennizzo[19] consiste in un intervento riparatore economico non necessariamente commisurato alla effettiva entità del danno sopportato dall’avente diritto, ma agganciato a parametri prestabiliti per legge o per contratto.
In generale, l’indennizzo è il pagamento dovuto ad un soggetto per un pregiudizio da lui subito, che, dunque, non consegue ad un atto illecito e, quindi, non dà luogo a responsabilità civile[20].
Mentre l’obbligo di risarcimento dei danni cagionati da atto illecito è previsto dalla norma generale (l’articolo 1218 del codice civile per la responsabilità contrattuale e l’articolo 2043 per quella extracontrattuale), non esiste una norma generale che preveda l’obbligo di indennizzo per pregiudizi da atto lecito, perché gli atti leciti sono, per definizione, consentiti dall’ordinamento e, come tali, non possono dare luogo a sanzione a carico di chi li compie.
Nondimeno, in alcuni casi l’ordinamento, per motivi di equità, ritiene che chi ha compiuto l’atto, pur lecito, debba farsi carico di una parte delle conseguenze negative che dallo stesso sono sorte a danno di altri, addossandogli l’obbligo di indennizzo[21].
L’esempio più significativo di indennizzo è quello previsto in caso di espropriazione per pubblica utilità. La perdita della proprietà che deriva dal provvedimento espropriativo è di per sé lecita ma chi beneficia dell’espropriazione (di solito, ma non necessariamente, una pubblica amministrazione), deve indennizzare il proprietario espropriato per il sacrificio del suo diritto[22]. Nel nostro ordinamento tale diritto dell’espropriato è riconosciuto a livello costituzionale (articolo 42)[23].
La legge contempla inoltre numerose quanto eterogenee altre ipotesi di indennizzo[24]. Si pensi, ad esempio, all’articolo 2045 c.c., il quale dispone che nell’ipotesi in cui un soggetto compia un fatto dannoso in stato di necessità (ovvero perché costretto dalla necessità di salvare sé o ad altri da un grave pericolo non causato volontariamente da lui e non era altrimenti evitabile), al danneggiato non è dovuto il risarcimento ma un’indennità, la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice[25].
Altro esempi sono rappresentati dagli articoli 924 c.c. (“il proprietario di sciami di api ha diritto di inseguirli sul fondo altrui; ma deve indennità per il danno cagionato al fondo”), 925 c.c. (“gli animali mansuefatti possono essere inseguiti dal proprietario nel fondo altrui, salvo il diritto del proprietario del fondo a indennità per il danno”), o, ancora, 937 c.c., dettato in tema di accessione, in cui il terzo e il proprietario in mala fede che abbiano utilizzato materiali altrui per eseguire le costruzioni sul suolo sono tenuti in solido, nel caso in cui non sia possibile la separazione, al pagamento in favore del proprietario dei materiali stessi di una indennità corrispondente al valore dei materiali.
In definitiva, l’indennizzo è una prestazione patrimoniale che vale a compensare il soggetto a seguito di un pregiudizio patito, ovvero del sacrificio di un diritto.
In ossequio al principio di integrale riparazione del danno, il risarcimento svolge invece una funzione essenzialmente riparatrice, mirando alla reintegrazione di un equilibrio alterato dall’illecito. In conseguenza di ciò va escluso, in via di principio, il riconoscimento di valenze ulteriori, valorizzabili in virtù di una particolare considerazione per la connotazione soggettiva della condotta dell’agente, o delle peculiarità dell’illecito commesso. Una siffatta configurazione dell’illecito civile risulta avallata dalla Suprema Corte e da gran parte della dottrina italiana.
L’obiettivo precipuo delle regole della responsabilità civile, quindi, è quello di risarcire il danneggiato per l’intera perdita subita in conseguenza dell’illecito, non ammettendosi forme di risarcimento che oltrepassino la misura del pregiudizio e che determinino l’ingiustificato arricchimento del soggetto leso.
Tale ricostruzione non lascerebbe alcuno spazio alla valorizzazione di funzioni diverse, quali la prevenzione o la sanzione degli illeciti[26]. Il rispetto del principio di integrale riparazione del danno comporta dunque la tendenziale negazione di figure caratterizzate da risarcimento eccedente la misura del pregiudizio concretamente subito dalla danneggiato[27]. Tra queste sono ricomprese, in particolare, tutte le ipotesi connotate da una più o meno marcata valenza “punitiva”, quale per esempio quella dei c.d. danni punitivi[28].
4. I danni punitivi
I danni punitivi sono un istituto giuridico degli ordinamenti di common law[29] e, in modo specifico, degli Stati Uniti[30], in virtù del quale, in caso di responsabilità extracontrattuale è riconosciuto al danneggiato un risarcimento ulteriore rispetto a quello necessario per compensare il danno subito, se prova che il danneggiante ha agito con dolo o colpa grave.
Nel caso dei danni punitivi, alla funzione risarcitoria, tipica della sanzione per illecito civile, si sovrappone una funzione punitiva, tipica della sanzione penale[31].
La finalità dell’istituto viene ravvisata nell’affiancare il normale risarcimento quando questo è ritenuto insufficiente a realizzare una serie di esigenze, quali: punire il responsabile dell’illecito; costituire un efficace deterrente per l’autore del pregiudizio ed altri potenziali trasgressori quando la mera compensazione del danno non è tale da condizionare il comportamento; remunerare l’attore per l’impegno manifestato nell’affermazione del suo diritto dal momento che contribuisce ad un contestuale rafforzamento dell’ordine legale; ristorare la vittima per il pregiudizio subito[32].
Il riconoscimento del maggior risarcimento così come la determinazione della sua entità sono rimessi alla discrezionalità del giudice.
L’istituto di danni punitivi è estraneo agli ordinamenti di civil law, salvo limitatissime eccezioni, essendo considerato incompatibile con il principio di separazione tra diritto civile e diritto penale[33].
In Italia la Corte Costituzionale ha stabilito che l’istituto è in contrasto con l’ordinamento pubblico interno, rifiutando quindi la deliberazione di una sentenza straniera di condanna. La dottrina, tuttavia, non ha mancato di evidenziare alcune previsioni normative che sembrano sovrapporre a quella risarcitoria le funzioni punitive della sanzione: ad esempio, la responsabilità aggravata per lite temeraria, prevista dall’articolo 96 del codice di procedura civile[34]; la “riparazione pecuniaria” per diffamazione, prevista dall’articolo 12 della legge numero 47 del 1948 sulla stampa[35]. Un’altra ipotesi particolare, discussa in dottrina[36], viene individuata nella fattispecie disciplinata dall’articolo 709 ter c.p.c.[37]
Anche se qualche autore[38] ha sostenuto la possibilità di applicare nel nostro ordinamento l’istituto dei danni punitivi, tale tentativo non ha sortito sino ad oggi alcun effetto rilevante in giurisprudenza.
Secondo la Corte Costituzionale[39] la responsabilità civile da atto illecito è di per sé un istituto in grado di garantire non solo la reintegrazione del patrimonio o del danneggiato ma altresì, a volte, anche ed almeno in parte, a prevenire sanzionare l’illecito, come avviene per la riparazione dei danni non patrimoniali da reato.
Del resto, la Suprema Corte, con un provvedimento del 2007[40], ha evidenziato che nell’ordinamento italiano vigente l’idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno, così come è indifferente la condotta del danneggiante. In particolare, alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, mediante il pagamento di una somma di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato. Tale principio vale per qualsiasi danno, compreso il danno non patrimoniale, per cui al risarcimento non possono riconoscersi secondo la giurisprudenza di legittimità finalità punitive.
Ancora, con altra pronuncia più recente, la giurisprudenza di legittimità[41] pronunciandosi nuovamente sulla questione della riconoscibilità di una sentenza straniera con cui venga concesso un risarcimento notevolmente superiore a quanto richiesto dalla parte attrice[42], ribadisce che nel nostro ordinamento il risarcimento del danno deve essere riconosciuto in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso[43].
Anche se la Corte di Cassazione ha affermato in diverse pronunce la natura compensativa e non punitiva del nostro sistema di responsabilità civile, negli ultimi anni si segnalano pure due pronunce che, di fatto, hanno aperto uno spiraglio all’affermazione di una funzione anche sanzionatoria dell’istituto del risarcimento dei danni.
La prima di tali decisioni riguarda un’ipotesi di risarcimento danni da illecito sfruttamento del diritto all’immagine in cui la Cassazione (11 maggio 2010, n. 11353[44]) sembra ricavare dal sistema dei rimedi una funzione non meramente compensativa.
In una successiva pronuncia, 15 aprile 2011, n. 8730[45], i Giudici di legittimità si spingono ancora più avanti, affermando che in tema di risarcimento dei danni patrimoniali conseguenti all’illecito sfruttamento del diritto d’autore, ai fini della valutazione equitativa del danno determinato dalla perdita del vantaggio economico che il titolare del diritto avrebbe potuto conseguire se avesse ceduto a titolo oneroso i diritti dell’opera, si può ricorrere al parametro costituito dagli utili conseguiti dall’utilizzatore abusivo, mediante la condanna di quest’ultimo alla devoluzione degli stessi a vantaggio del titolare del diritto. Con tale criterio, la quantificazione del risarcimento, più che ripristinare le perdite patrimoniali subite, svolge una funzione parzialmente sanzionatoria, in quanto diretta anche ad impedire che l’autore dell’illecito possa farne propri i vantaggi.
Alcuni autori hanno poi posto l’attenzione sul terzo comma dell’articolo 96 c.p.c.[46], al fine di invocare l’esistenza di ipotesi di fonte legislativa diverse da quelle rientranti nel principio generale di cui all’articolo 2043 c.c., fattispecie in cui viene riconosciuto un danno differente da quello effettivamente patito dal danneggiato, a fronte di un comportamento processuale scorretto tenuto dalla controparte.
Ancora, autorevole dottrina, sostiene che l’attuale formulazione dell’articolo 125 del codice della proprietà industriale[47], consente di individuare spazi significativi per una sorta di danno punitivo, in considerazione del fatto che tale articolo dispone che il risarcimento possa essere basato sulla perdita subita dal soggetto che lamenta la violazione dei propri diritti di proprietà intellettuale[48].
Nonostante le opinioni dottrinali su richiamate, permane un atteggiamento di chiusura nell’ordinamento italiano nei confronti dei tentativi di superare il principio di integrale riparazione del danno[49]. In proposito, infatti, pur non avendo quest’ultimo principio copertura costituzionale[50], va evidenziata la sua preminenza all’interno del sistema di responsabilità civile italiano, tale da riconoscerne la natura di principio generale all’interno del nostro ordinamento giuridico[51].
In definitiva, la possibilità di prevedere ipotesi risarcitorie che vadano oltre il pregiudizio subito non può trovare, pertanto, accoglimento, rischiando di sconfinare nell’ambito di obiettivi di punishment che difficilmente possono ritenersi compatibili con la responsabilità civile.
5. Le pene private
Dai danni punitivi vanno distinte le c.d. pene private.
Pur tenendo conto della difficoltà emersa in dottrina di individuare una definizione univoca della nozione in esame[52], con la locuzione “pena privata”[53] si intende una misura afflittiva o sanzionatoria, che trova la sua fonte in un atto negoziale e viene applicata in relazione ad una vicenda privata, la quale può essere irrogata dall’autorità giudiziaria su iniziativa e a vantaggio di un altro privato[54].
Nell’ampia nozione di pena privata si racchiudono diverse fattispecie elaborate dalla dottrina, del tutto eterogenee tra loro, contemplate sia dal codice civile che dalla legislazione speciale[55].
Nell’ambito degli istituti che normalmente vengono ricondotti nella categoria delle pene private sono state elaborate in dottrina due diverse classificazioni.
Secondo una prima consolidata partizione[56], le pene private sarebbero classificabili in ragione della loro fonte, distinguendosi tra pene “negoziali”, traenti origine da un preciso atto di autonomia privata[57]; pene “legali”, derivanti da una previsione normativa; ed infine, pene “giudiziali”, qualora espresse in un provvedimento dell’autorità giurisdizionale[58].
Tuttavia, come rilevato da autorevole dottrina[59], i confini definitori delle suddette categorie non appaiono sempre nitidi[60]. Basti pensare che le pene di tipo legale e negoziale sono comunque irrogate dall’autorità giudiziaria, e, quelle di tipo giudiziale, sono applicate ad istanza di parte e sulla base di espresse previsioni normative.
Per queste ragioni sembra preferibile una seconda classificazione basata sull’evento cui le pene private reagiscono, cioè sulla condotta oggetto di sanzione, la quale può consistere in un illecito extracontrattuale ovvero nell’inadempimento di una pregressa obbligazione.
Tale classificazione appare più rispondente alla natura afflittiva delle pene private. Un esempio di pena privata di fonte negoziale viene tradizionalmente individuato nella clausola penale (art. 1382 c.c.)[61], ossia l’accordo con cui le parti determinano in via preventiva e forfettaria il risarcimento del danno per il ritardo o per l’inadempimento dell’obbligazione[62].
Trattasi, tuttavia, di una delle ipotesi più controverse, in quanto la possibilità di riconoscere a tale istituto il carattere di pena privata è fortemente dibattuta in dottrina[63].
Secondo un primo e consolidato orientamento, essa avrebbe una funzione esclusivamente risarcitoria[64], in quanto volta alla determinazione di una liquidazione preventiva del danno.
Altri autori hanno individuato nella clausola penale la coesistenza di una duplicità di funzioni: una funzione risarcitoria ed una sanzionatoria[65].
Ancora, un altro orientamento valorizza il fatto che la somma pattuita a titolo di penale è dovuta anche a prescindere dall’effettiva sussistenza di un danno (il quale, appunto, non deve essere provato) e attribuiscono così alla penale una valenza sanzionatoria dell’inadempimento. Secondo tale prospettiva, pertanto, la clausola penale rappresenterebbe una fattispecie tipica di pena privata[66].
La giurisprudenza di legittimità ha espressamente escluso la possibilità di rinvenire nella clausola penale la natura di pena privata[67].
Nella categoria delle pene private di fonte negoziale viene altresì fatta rientrare l’ipotesi degli interessi c.d. moratori.
In proposito, il D.Lgs. 231/2002 e succ. modifiche, introdotto in attuazione della Direttiva 2000/35/CE, prevede un nuovo saggio legale di interesse moratorio che, diversamente da quello previsto dagli artt. 1224 e 1282 cod. civ., esprime tutt’altra concezione della responsabilità risarcitoria.
Tale tasso di interesse è dichiaratamente sanzionatorio[68], tanto che la stessa Direttiva relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali si propone di combattere la prassi poco virtuosa dei Paesi dell’Europa meridionale, di dilatare eccessivamente i tempi di pagamento.
Ancora, nella fattispecie di pena privata negoziale, si fa rientrare una fitta e articolata previsione di c.d. pene disciplinari, riguardanti il settore delle relazioni esistenti tra gruppi[69] ed i singoli soggetti che operano all’interno dell’ente[70].
In particolare, si tratta di sanzioni prese dagli organi associativi nei confronti dei privati che non rispettano le regole dell’associazione. La libertà associativa è infatti una forma di libertà negoziale, non contrattuale, per cui non possono essere applicate tout court ad essa le norme sulla penale[71].
Quanto agli esempi di pena privata giudiziale, alcuni autori richiamano l’ipotesi del risarcimento del danno non patrimoniale. Al riguardo, si ritiene che, ove sia stata arrecata una lesione intenzionale a valori fondamentali quali la vita, l’integrità fisica, l’onore, il risarcimento del danno possa consentire un particolare apprezzamento per il grado di riprovevolezza della condotta del danneggiante e, conseguentemente, il quantum risarcitorio risultare strettamente correlato all’elemento soggettivo che ha sorretto l’azione illecita[72].
Un’ulteriore figura di pena privata giudiziale viene individuata nel rimedio previsto dall’art. 140, comma 7, del codice del consumo, il quale, in caso di inadempimento dell’ordine giudiziale inibitorio, prevede il pagamento di una somma di denaro che è compreso tra 516 e 1032 euro, per ogni inadempimento o giorno di ritardo, in relazione alla gravità del fatto, da destinare al bilancio dello Stato per poi confluire in un apposito fondo finalizzato a finanziare iniziative a vantaggio dei consumatori[73].
Un’potesi ascrivile alla categoria delle pene private legali è invece rappresentata dalla riparazione pecuniaria prevista dall’art. 12 della legge sulla stampa (8 febbraio 1948, n. 47)[74], come conseguenza civile della diffamazione a mezzo stampa[75].
6. Le sanzioni civili indirette
Seppure non sempre tale distinzione è emersa chiaramente in dottrina, gli studiosi hanno elaborato anche la categoria delle sanzioni civili indirette[76], qualificate come misure afflittive di carattere patrimoniale previste dalla legge ed applicate dall’autorità giudiziaria.
Le sanzioni civili indirette, così come le pene private, presuppongono la violazione di una regola[77], ma le prime si distinguono dalle seconde perché la sanzione viene inflitta dal giudice e non dalla stessa parte privata (come invece avviene per le pene private).
Le sanzioni civili indirette pur esprimendo come le pene private il potere auto-organizzativo della società civile, poiché tendono a soddisfare un interesse privato; realizzano, però, contestualmente l’interesse pubblico[78].
Quest’ultimo aspetto contraddistingue le sanzioni civili indirette, le quali consistono di solito in misure afflittive patrimoniali che, pur essendo previste dal Legislatore ed irrogate dall’autorità giudiziaria, presuppongono l’iniziativa dei privati e sono dirette a loro vantaggio.
In proposito, autorevole dottrina evidenzia che «la percezione del vantaggio opera come incentivo che muove all’azione»[79].
Esempi di sanzioni civili indirette sono rappresentati dalle sanzioni previste dalla legge in materia di sicurezza del lavoro[80], in materia di condono fiscale o di condono edilizio, in materia edilizia[81], ancora di leggi che reprimono le frodi valutarie.
7. Considerazioni conclusive
Come rilevato nel corso del presente lavoro, pur accogliendo la tesi secondo cui il principio di integrale riparazione non avrebbe copertura costituzionale, non si può, nondimeno, trascurare la sua preminenza all’interno del sistema di responsabilità civile italiano.
Anche se il principio su citato si imbatte in determinate difficoltà sul piano applicativo ed incontra talune eccezioni in determinati settori, esso mantiene la natura di principio generale all’interno del nostro ordinamento giuridico.
In via generale, la possibilità di prevedere ipotesi risarcitorie che vadano oltre il pregiudizio subito non può trovare, pertanto, un generale accoglimento, rischiando di sconfinare nell’ambito di obiettivi di punishment che difficilmente possono ritenersi compatibili con la responsabilità civile, anche alla luce delle caratteristiche del nostro ordinamento.
Deve ritenersi, tuttavia, che il Legislatore ben possa introdurre con riferimento a particolari fattispecie, rimedi “riparatori” che vadano oltre i limiti della suddetta eccezionalità del principio di integrale riparazione, concepiti in considerazione delle peculiarità del settore specifico in cui sono inseriti.
L’analisi delle figure di danni c.d. “ultracompensativi” sin qui svolta pone una serie di questioni riguardanti la natura attribuibile alle medesime: se di risarcimento, danno punitivo, pena privata in alcuni casi, oppure di sanzione, od ancora diversa da queste ultime. L’assoluta eterogeneità delle ipotesi considerate non permette di giungere ad una valutazione univoca, non potendo essere sussunte all’interno di una categoria unitaria.
Alcune delle figure analizzate possono trovare un loro spazio legittimo all’interno della responsabilità civile; altre sembrano porsi al di fuori di essa, integrando tale apparato rimediale “dall’esterno”.
In proposito, l’ambito applicativo particolarmente ampio dei suddetti istituti rappresenta un valido argomento per porre in discussione la funzione solamente risarcitoria del sistema responsabilità e per accostare a quest’ultimo le suddette controverse fattispecie del danno punitivo, della pena privata, nonché della sanzione civile indiretta.
In questo panorama, l’individuazione di momenti “non riparatori” si presta a svolgere funzioni diverse, in termini di deterrenza/sanzione e/o di coercizione, che si rivelano come le risposte più adeguate dell’ordinamento in determinate fattispecie.
L’opportunità di fornire un ausilio ai rimedi aquiliani, in virtù delle peculiari esigenze di tutela registrate in certi settori, può giustificare la legittimità nel nostro ordinamento dei rimedi su indicati ultra compensativi.
Il tutto nella consapevolezza, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità, che le caratteristiche del nostro ordinamento giuridico sono tali da precludere integrali trapianti degli istituti di punishment propri dei sistemi giuridici di common law.
[1] Cfr., in generale, g. alpa, Gli incerti confini della responsabilità civile, in Resp. civ.e prev., 2006, pp. 1805 e ss. Secondo lo stesso autore (La responsabilità civile. Parte generale, Torino, 2010, pp. 155 ss.), possiamo individuare le ragioni di una tale evoluzione riposano anche su considerazioni che sono di “giustizia correttiva”.
[2] g. alpa, La responsabilità civile tra solidarietà ed efficienza in Riv. crit. dir. priv., 2004, p. 195.
[3] Cfr. s. patti, Il risarcimento del danno e il concetto di prevenzione, in La responsabilità civile, II, 2009, p. 165 ss.
[4] Sull’esigenza di un equilibrio fra riparazione e punizione, si veda f. busnelli, L’illecito civile nella stagione europea delle riforme del diritto delle obbligazioni, in Riv. dir. civ., 2006, 6, pp. 440 ss.
[5] Sul principio di integrale riparazione del danno, si rinvia, senza pretesa di esaustività, ai seguenti contributi: f. mastropaolo, voce Danno – III) Risarcimento del danno, in Enc. giur. Trecc., 1988; a. pinori, Il principio generale della riparazione integrale dei danni, in Contr. impr., 1998, p. 1144; a. pinori – e. corradi, Il principio della riparazione integrale dei danni, in g. visintini (a cura di), Il risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, Milano, 1999, p. 41 ss.; g. visintini, Risarcimento del danno, in p. rescigno, Trattato di diritto privato, Milano, 1984, IX, p. 203 ss.; ID., Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 2005, p. 631 ss.; g. villa, Danno e risarcimento contrattuale, in v. roppo (a cura di), Trattato del contratto, V, Rimedi – 2, Milano, 2006, p. 876 ss.; ID., La quantificazione del danno contrattuale, in Danno e resp., 2010, All. 1, p. 37; g. travaglino, Il danno patrimoniale extracontrattuale, in Danno e resp., 2010, All. 1, p. 45; d. messinetti, Pluralismo dei modelli risarcitori. Il criterio di ingiustizia “tradito”, in Riv. crit. dir. priv., 2007, p. 505; g. ponzanelli, La irrilevanza costituzionale del principio di integrale riparazione del danno, in m. bussani (a cura di), La responsabilità civile nella giurisprudenza costituzionale, ESI, 2006, p. 67; ID., Risarcimento giusto e certo tra giudici e legislatore, in Riv. dir. civ., 2010, p. 553; g. pedrazzi, La parabola della responsabilità civile tra indennità e risarcimento, in Liber amicorum. Dedicato a Francesco D. Busnelli, Milano, 2008, p. 651; ID., Oltre il risarcimento: il danno aquiliano tra (integrale) riparazione e sanzione, in p.g. monateri – a. somma (a cura di), Patrimonio, persona e nuove tecniche di “governo del diritto”. Incentivi, premi, sanzioni. XIX Colloquio biennale Associazione Italiana di diritto comparato, Ferrara 10- 12 maggio 2007, Ed. Scientifiche Italiane, CNF, 2009, p. 1045; p. stanzione – b. troisi, Principi generali del diritto civile, Torino, 2011
[6] Sull’origine storica del principio compensativo si veda, ex multis, p. fava, La responsabilità civile: trattato teorico-pratico, Milano, 2009, pp. 36 ss.
[7] Sulle funzioni del risarcimento, cfr. d. barbierato, Il risarcimento del danno e le sue «funzioni», Bergamo, 2013; m. franzoni, Il danno risarcibile, Milano, 2010.
[8] Il legislatore, muovendo dalla considerazione che non è possibile eliminare ciò che in natura si è definitivamente prodotto, ha fatto emergere come predominante il modello della tutela per equivalente, secondo cui si tende a riprodurre uno status quo equivalente a quello esistente prima della verificazione del danno, attraverso la corresponsione di una somma di denaro.
[9] Viene in rilievo in tal modo la finalità riparatoria del risarcimento del danno patrimoniale, che si traduce nella compensazione economica della perdita subita dalla vittima
[10] Basti pensare che, come evidenzia m. franzoni, Il danno risarcibile, cit., p. 283, in tema di danno alla persona il tentativo di assicurare una riparazione integrale del pregiudizio è puramente illusorio, non essendo rinvenibile un valore di mercato cui ancorare la liquidazione, non si può assicurare l’integrale riparazione del danno, proprio perché non è dato individuare la perdita economica.
[11] Osserva l. barassi, Teoria generale delle obbligazioni, Milano 1946, p. 742, che malgrado l’accettazione generalizzata del principio di integralità del risarcimento, è statisticamente accertato che il giudice nell’esercizio del suo potere di apprezzamento discrezionale, sovente arriva a moderare la somma liquidata in omaggio all’equa considerazione di elementi e circostanze risultanti dalla fattispecie: “è la vera equità temperatrice del summum jus”.
[12] g. ponzanelli, La irrilevanza costituzionale del principio di integrale riparazione del danno, cit., pp. 69 ss.
[13] La Corte costituzionale, pur avendo negato copertura costituzionale al principio della integrale riparazione del danno ha rilevato l’impossibilità di ammettere una deroga a quest’ultimo principio quando oggetto di tutela siano i diritti fondamentali della persona.
[14] Si veda, tra gli altri, p. perlingeri, Le funzioni della responsabilità civile, in Rass. dir. civ., 2011, pp. 155 ss., il quale sottolinea l’esistenza di una pluralità di funzioni della responsabilità civile (preventiva, compensativa, sanzionatoria, punitiva) che possono tra loro coesistere.
[15] I sostenitori della tesi dell’unitarietà della funzione, invece, pongono quella compensativa alla base del risarcimento del danno senza eccezioni. In particolare, sarebbe estranea ogni finalità punitiva in qualunque forma di risarcimento.
[16] c.m. bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1984, p. 543, nota 1.
[17] Secondo altri autori, a. de cupis, Il danno, Milano, 1980, p. XVIII della premessa, la funzione del risarcimento è anche riparatoria, ma soprattutto, sanzionatoria.
[18] Cass. civ, 19 febbraio 2007, n. 1183, in Foro it., 2007, I, p. 1498. Anche le Sezioni Unite della Cassazione, con le note sentenze in tema di danni non patrimoniali, hanno avuto modo di ribadire il principio secondo cui «nel nostro sistema il risarcimento deve coprire l’intero danno ma non oltre quello» (Cass., S.U., 11 febbraio 2008, n. 26972-26975, in Resp. civ e prev., 2009, 1, p. 38.
[19] Sul tema dell’indennizzo, cfr., ex multis, g. di marco, Indennizzo e risarcimento nel diritto civile, in Resp. com. impr., 2000, p. 621; p. perlingeri, La responsabilità civile tra indennizzo e risarcimento, in Rass. dir. civ., 2007, p. 1061; g. pedrazzi, La parabola della responsabilità civile tra indennità e risarcimento, cit. p. 651.
[20] La diversità tra risarcimento e indennizzo risiederebbe, pertanto, nella liceità o illiceità del fatto causativo. Tale criterio distintivo, tuttavia, è criticato da p. perlingeri, La responsabilità civile tra indennizzo e risarcimento, cit., p. 1067, che individua la differenza tra le due ipotesi «nel diverso criterio della valutazione del danno conseguente ad un giudizio di valore che l’interprete esprime, ritenendo quell’atto gravemente lesivo di un interesse peculiarmente tutelato dall’ordinamento».
[21] Si veda c. buonauro, Responsabilità da atto lecito dannoso, Milano, 2012, pp. 139 ss. secondo cui il risarcimento ruota intorno alla ingiustizia del danno, mentre l’indennità presuppone atti e comportamenti leciti e l’assenza di antigiuridicità della condotta eziologicamente produttiva di nocumento, sicché «alla lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento non si accompagna la violazione del parametro normativo di riferimento». Cfr. anche m.a. mazzola, I nuovi danni, Padova, 2008, p. 129, secondo cui «l’indennizzo risponde ad un evidente intento risarcitorio ma originandosi da un atto non antigiuridico e quindi pretende un trattamento differente rispetto all’illecito aquiliano».
[22] In materia si veda m. morelli, L’indennità di espropriazione nel testo unico, Matelica, 2008, pp. 12 ss.
[23] Cfr. f. manganaro, L’indennità di espropriazione tra Corte costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo, in Astrid rassegna, 2008.
[24] Uno dei primi autori a tentare una ricostruzione sistematica delle ipotesi indennitarie fu r. scognamiglio, Indennità, in Noviss. dig. it, VIII, Torino, 1968, pp. 594–597; nonché f.s.. ciccarello, Indennità (dir. priv.) in Enc. dir., 1971 XI, pp. 99-106; recentemente si veda m.a. mazzola, Responsabilità civile da atti leciti dannosi, nella collana Il diritto privato oggi, Milano, 2007.
[25] Così c. buonauro, Responsabilità da atto lecito dannoso, cit., pp. 139 ss; s. piras, Saggio sul comportamento necessitato nel diritto privato, in Studi sassaresi, 1949, XII; g. mirabelli, L’atto non negoziale nel diritto privato italiano, Napoli, 1955, pp. 111 e ss.
[26] Va rilevato, tuttavia, che oggetto di rinnovato dibattito torna ad essere la stessa funzione della responsabilità civile. In particolare ci si interroga sulla opportunità di riconsiderare la funzione meramente riparatoria del sistema responsabilità in favore di una funzione che sia ad un tempo anche sanzionatoria-deterrente rispetto alle condotte antigiuridiche. In proposito si veda f.d. busnelli; s. patti, Danno e responsabilità civile, Torino, 2013, p. 99 e ss., secondo cui I consociati […] nel risarcimento del danno vedono anzitutto uno strumento sanzionatorio, in grado non soltanto di reintegrare il patrimonio leso ma anche di svolgere una funzione di prevenzione dell’illecito.
[27] La dottrina rileva che la funzione del risarcimento non possa considerarsi punitiva dell’autore della condotta del fatto e che, pertanto, la pronuncia di condanna debba restare sempre ritagliata a misura del disvalore subito dalla vittima (m. franzoni, Il danno risarcibile, in Trattato della responsabilità civile diretto da m. franzoni, Milano 2004, p. 670).
[28] Sui danni punitivi si veda g. ponzanelli, I danni punitivi, in Nuova giur. civ., II, 2008, p. 25; p. pardolesi, Danni punitivi: frustrazione da vorrei, ma non posso?, in Riv. crit. dir. priv., 2007, p. 341; p. sirena, Il risarcimento dei cd. Danni punitivi e la restituzione dell’arricchimento senza causa, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 531 ss; v. d’acri, I danni punitivi, Roma, 2005.
[29] I danni punitivi, pur originando dalla nozione inglese, se ne sono distaccati e si sono sviluppati in modo peculiare, risultando disponibili in via generale per ogni caso di “highly reprehensible civil wrongdoing”. L’origine storica dei danni punitivi risalente nel tempo, potendosene individuare una prima forma già nel codice di Hammurabi, del 2000 a.C. circa, nelle leggi Ittite del 1400 a.C, ed altresì nelle leggi di Mosè del 110 a.C. Cfr. v. d’acri, I danni punitivi, cit., p. 47 ss.
[30] Per approfondimenti, cfr. g. ponzanelli, I punitive damages nell’esperienza nordamericana, in Riv. dir. civ., 1983, II, p. 435. Va segnalato comunque un recente revirement da parte della stessa Corte Suprema degli Stati Uniti in ordine alla quantificazione dei danni punitivi nella sentenza della United States Court of Appeals for the Second Circuit a New York City del 17 dicembre 2014, nel caso Turley vs. ISG Lackawanna, Inc., m. gardenal, c. colace, Danni punitivi statunitensi: cambiano le regole, in Diritto24, Marzo 2015, consultabile in http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2015-03-16/danni-punitivi-statunitensi-cambiano-regole-124336.php. Vedi g. ponzanelli, I danni punitivi sempre più controllati: la decisione Philip Morris della Corte Suprema americana, in Foro it., 2008, p. 179.
[31] Il problema che si pone in materia è se nel nostro ordinamento la responsabilità civile svolga solo una funzione compensativa/riparatoria, o se ad essa possa affiancarsene, pur indirettamente una preventiva o deterrente. Per il dibattito sul punto si vedano c.m. bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, cit., pp. 127 ss. e 171 ss.; p.g. monateri, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile diretto da r. sacco, Torino, 1998, pp. 19 ss. e 333 ss.; g. alpa, Diritto della responsabilità civile, cit., pp. 289 ss.; m. franzoni, Il danno risarcibile, in Trattato della responsabilità civile diretto da M. Franzoni, cit., pp. 621 ss.; p. sirena, Il risarcimento dei c.d. danni punitivi e la restituzione dell’arricchimento senza causa, cit., pp. 531 ss.; g. ponzanelli, I danni punitivi, cit., II, pp. 25 ss.
[32] Così p.g. monateri – d. gianti – l. siliquini cinelli, Danno e risarcimento, Torino, 2013, p. 22.
[33] g. spoto, I danni punitivi e il risarcimento del danno ambientale, Atti del convegno di Roma 23-24 novembre 2007: Dall’art. 18 della legge istitutiva del Ministero dell’ambiente al codice dell’ambiente: riflessioni e prospettive (Firenze University Press, 2008), pp. 351-365.
[34] Cfr. f. nicotra, Responsabilità aggravata ex art. 96 cpc: una fattispecie di danno punitivo, in Altalex, Marzo 2015, consultabile all’indirizzo http://www.altalex.com/index.php?idnot=70608
[35] Per approfondimenti, si veda g. grondona, Danno morale da diffamazione a mezzo stampa e ambito di rilevanza dei danni punitivi, in Resp. civ., 2010, p. 836; m.g. baratella, La riparazione pecuniaria, in Resp. comm. impr., 2011, p. 295; d. de rada, La riparazione pecuniaria ex art. 12 legge n. 47/1948 tra il ruolo di sanzione civilistica accessoria al reato di diffamazione a mezzo stampa e quello di pena privata, in Resp. civ. prev., 1998, p. 1558;
[36] Si veda g. facci, L’art. 709 ter c.p.c., l’illecito endofamiliare ed i danni punitivi, in Fam. e dir., 2008, p. 1023; e. la rosa, Il nuovo apparato rimediale introdotto dall’art. 709 ter c.p.c. I danni punitivi approdano in famiglia?, in Fam. e dir., 2008, pp. 60 ss.; f. farolfi, L’art. 709 ter c.c.: sanzione civile con finalità preventiva e punitiva?, in Fam. e dir., 2009, p. 609.
[37] La norma stabilisce che in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può, al di là delle ipotesi risarcitorie contemplate, condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
[38] Cfr. a. grassi, Il concetto di “danno punitivo”, in Tagete – Rivista medico giuridica, 2000, fasc. I, p. 107.
[39] Si veda Corte cost., 27 ottobre 1994, n. 372; cfr. anche Corte cost., 14 luglio 1986, n. 184, in Foro it., 1986, I, 2060, con nota di g. ponzanelli, La Corte costituzionale, il danno non patrimoniale e il danno alla salute.
[40] Cass. civ., Sez. III del 19 gennaio 2007 n. 1183, in Corr. Giur., 2007, pp. 497 ss., con nota di p. fava, Punitive damages e ordine pubblico: la Cassazione blocca lo sbarco e in Danno e Resp., 2007, pp. 1225 ss., con commento critico di p. pardolesi, Danni punitivi all’indice? .
[41] Cass. civ., 8 febbraio 2012, n. 1781, in Danno e Resp., 2012, pp. 609 ss., con nota di g. ponzanelli, La Cassazione bloccata dalla paura di un risarcimento non riparatorio.
[42] La vicenda de qua traeva origine da un’azione di risarcimento intentata da un lavoratore negli Stati Uniti relativamente ai danni subiti in relazione ad un infortunio sul lavoro. La Corte Suprema del Massachussets aveva condannato le società convenute (italiane) a corrispondere ciascuna al lavoratore l’importo di cinque milioni di dollari (elevati, poi, a otto, a fronte degli interessi maturati), nonostante la richiesta dell’attore non superasse i trecentocinquantamila dollari. L’attore, a questo punto, adiva la Corte d’Appello di Torino per chiedere che le pronunce fossero riconosciute e dichiarate efficaci in Italia. La Corte d’Appello, dichiarava efficace in Italia una sola delle summenzionate pronunce, ritenendo che non sussistessero ragioni ostative per il riconoscimento della sentenza Statunitense.
[43] I giudici della Suprema Corte hanno cassato la pronuncia della Corte d’Appello di Torino ritenendo che la sentenza de qua non potesse essere riconosciuta nel nostro ordinamento per contrarietà con l’ordine pubblico. Segnatamente all’accertamento del suddetto requisito, la Corte ha richiamato i principi consolidati in materia di risarcimento del danno ed, in particolare, ha chiarito che: a) il nostro ordinamento subordina il diritto al risarcimento del danno alla prova di un concreto pregiudizio economico (cfr. Cass. n. 15184 del 2008); b) deve rimanere estranea al nostro sistema l’idea della punizione del responsabile civile, per cui appare indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta (Cass. n. 1183 del 2007); c) la valutazione della natura e finalità punitiva dell’eccessività dell’importo liquidato dal giudice straniero si risolve in un apprezzamento di fatto del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato.
[44] In Foro it., 2011, I, pp. 534 ss., annotata da p. pardolesi, Abusivo sfruttamento di immagine e danni punitivi.
[45] In Foro It., 2011, I, 3073, con nota di p. pardolesi, Violazione del diritto d’autore e risarcimento punitivo/sanzionatorio.
[46] In argomento si veda f.d busnelli e e. d’alessandro, L’enigmatico ultimo comma dell’art. 96 c.p.c.: responsabilità aggravata o “condanna punitiva”?, in Danno e Resp., n. 6/2012, pp. 585 ss., l. frata, L’art. 96, comma 3°,cod. proc. civ. tra “danni punitivi” e deterrenza, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2012, I, p. 272; m. mafuccini, Come contrastare l’abuso del processo? Brevi spunti sugli articoli 96 e 385 del codice di procedura civile, in Questione Giustizia, 3, 2009, p. 55; t. dalla massara, Terzo comma dell’art. 96 c.p.c.: quando, quanto e perché?, in Nuova giurisprudenza civile commentata , n. 1 , 2011 , pp. 55-72.
[47] Si veda m. santise, Coordinate ermeneutiche di diritto civile, Torino, 2014, pp. 480 e ss.; a. riccio, I danni punitivi non sono, dunque, in contrasto con l’ordine pubblico interno, in Contratto e impresa, 2009, 4-5, pp. 854-881; p. pardolesi, Un’innovazione in cerca d’identità: il nuovo art. 125 codice proprietà industriale, in Corriere giur., 2006, pp. 1605 ss.; m.s. spolidoro, Il risarcimento del danno nel Codice della Proprietà Industriale. Appunti sull’art. 125 c.p.i., in Riv. dir. ind., 2009, p. 153; m. franzosi, Il risarcimento del danno da lesione di proprietà industriale, in Dir. ind., 2006, p. 205; g. savorani, Diritto d’autore: rimedi civilistici dopo la direttiva enforcement, in Danno e resp., 2007, p. 500; e. di sabatino, Proprietà intellettuale, risarcimento del danno e restituzione del profitto, in Resp. civ., 2009, p. 442.
[48] Cfr. v. di cataldo, Risarcimento del danno e diritti di proprietà intellettuale, in Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del mercato a cura di Maugeri Zoppini, 2009. L’autore osserva che «i danni punitivi da lesione di diritti di proprietà intellettuale (il discorso potrebbe non valere per altri danni punitivi, che pure sono presenti in vari sistemi compreso il nostro), nel sistema americano […] trovano una delle loro giustificazioni non nella volontà di premiare il danneggiato, né nella volontà di punire il contraffattore, ma solo nella consapevolezza, perfettamente nota a chi ha esperienza di quel genere di attività dannose che sono le contraffazioni di diritti di proprietà intellettuale, che il danno processualmente liquidabile rappresenta normalmente una porzione soltanto del danno vero che rimane in gran parte sommerso, e quindi non viene risarcito. Il danno punitivo […] ha una funzione di correzione della sottostima del danno imposta dai fatti e dalle regole del processo».
[49] In questo senso g. annunziata, Responsabilità civile e risarcibilità del danno, Padova, 2010, p. 4, secondo cui il fondamento della responsabilità civile è diverso da quello penalistico, in quanto è di tipo riparatorio e non sanzionatorio, e non sempre o non necessariamente è collegato al disvalore ed alla riprovevolezza di una condotta; a. de pauli, L’irriconoscibilità in Italia per contrasto con l’ordine pubblico di sentenze statunitensi di condanna al pagamento dei danni “punitivi”, in Giur. it., 2008, p. 395; g. miotto, La funzione del risarcimento dei danni non patrimoniali nel sistema della responsabilità civile, in Resp. civ. prev., 2008, pp. 188 ss., secondo cui sarebbe palese la minaccia che i danni punitivi costituirebbero per la stabilità del sistema di responsabilità civile a causa della compenetrazione all’interno dello stesso di una funzione squisitamente penalistica senza che ad essa si accompagnino le garanzie proprie del diritto penale.
[50] La Costituzione italiana, mentre al secondo comma dell’articolo 25 prevede una norma latu sensu di diritto penale, secondo cui «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso», non contiene invece alcuna disposizione relativamente alla responsabilità civile. In proposito, la Corte Costituzionale ha affermato che: «la regola generale di integralità della riparazione e di equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato non ha copertura costituzionale» (Corte cost. 30 aprile 1999, n. 148). In dottrina si è espresso contro la valenza costituzionale del principio di integrale riparazione del danno g. ponzanelli, La irrilevanza costituzionale del principio di integrale riparazione del danno, cit.; nello stesso senso, si veda altresì g. villa, La quantificazione del danno contrattuale, cit., p. 37.
[51] La giurisprudenza di legittimità ha talvolta attribuito natura fondamentale al medesimo, per lo meno nell’ambito della quantificazione dei danni alla persona. Si vedano, in particolare, Cass. 12 luglio 2006, n. 15760, in Corr. giur., 2006, p. 1375, con nota di g. ponzanelli, Pacs, obiter, miopia giornalistica e controllo della Cassazione sulla quantificazione dei danni, e Cass. 2 febbraio 2007, n. 2311, in Danno e resp., 2007, p.685, con nota di g. ponzanelli, Oltre le duplicazioni: la babele delle voci di danno non patrimoniali risarcibili, in Resp. civ. prev., 2007, p. 788, con nota di p. ziviz, Le relazioni pericolose: i rapporti tra danno biologico e danno esistenziale.
[52] Sul tema delle pene private, si veda: p.g. monateri, g.m. arnone, n. calcagno, Il dolo, la colpa e i risarcimenti aggravati dalla condotta in Trattato sulla responsabilità civile diretto da p.g. monateri, Torino, 2014, pp. 61 ss.; m.g. baratella, Le pene private, in Responsabilità comunicazione impresa – Collana diretta da u. ruffolo, Milano, 2006; p. gallo, Pene private e responsabilità civile, Milano, 1996; p. sirena, Dalle pene private ai rimedi ultracompensativi, in Studi in onore di Cesare Massimo Bianca, IV, Milano, 2006; s. patti, Pena privata, in f.d. busnelli – s. patti (a cura di), Danno e responsabilità civile, Torino, 2003, p. 235; g. ponzanelli, Pene private, in Enc. giur., Roma, 1992; f. galgano, Regolamenti contrattuali e pene private, in Contr. e imp., 2001, 509; e. moscati, Pena privata e autonomia privata, in Le pene private (a cura di) f.d. busnelli e g. scalfi, Milano, 1985; e. guerinoni, Pene private e danni punitivi, in p. cendon (a cura di), I danni risarcibili nella responsabilità civile, VIII, Aspetti processuali e applicativi, Torino, 2005, p. 93 ss.
[53] Rileva m.g. baratella, Le pene private, cit., p. XI, che: «L’attributo “privata” sembrerebbe, prima facie, contraddire il sostantivo “pena”. Tuttavia, la contraddizione è più apparente che reale, essendo la pena privata una misura ibrida, di natura privatistica, ma idonea a svolgere la funzione propria della sanzione pubblicistica».
[54] Così e. moscati, Pena privata e autonomia privata, cit., pp. 235 ss.
[55] La nozione di pena privata è infatti il frutto dell’elaborazione della dottrina, sulla base di una serie di istituti, individuabili sia nel diritto civile in generale, che in particolare nell’area della responsabilità civile, caratterizzati da una funzione mista, pertanto anomala per i rimedi civilistici.
[56] Così c.m. bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, cit., p. 252.
[57] Cfr. Si veda e. moscati, Pena privata e autonomia privata, in Le pene private a cura di f.d. busnelli e g. scalfi, cit., p. 235 ss.
[58] Si veda g. ponzanelli, Pene private, cit., p. 2 ss.
[59] Cosi m.g. baratella, Le pene private, cit., p. XIII; p. gallo, Pene private e responsabilità civile, cit., p. 35.
[60] Rileva in proposito s. patti, Pena privata, cit., 235, che il carattere «ibrido» di tale figura è evidenziato dalla sua estensione a settori quali il diritto del lavoro, la legislazione valutaria, il diritto agrario e quello urbanistico.
[61] Si veda, ex multis, r. pardolesi, Liquidazione contrattuale del danno; s. mazzarese, Clausola penale e pena privata; a. bruni, Clausola penale poteri riduttivi del giudice; l. bozzi, La clausola penale tra risarcimento e sanzione: lineamenti funzionali e limiti dell’autonomia privata, in Europa dir. priv., 2005, tutti in Le pene private a cura di f.d. busnelli e g. scalfi (a cura di), Le pene private, cit., pp. 251 ss.
[62] c.m. bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, cit., p. 221. Cfr. anche r. sacco, g. de nova, Il contratto, II, Torino, 2004, p. 160.
[63] Si veda nota 61.
[64] Così, ex plurimis, cfr. f. gerbo, Clausola penale e danno, in Riv. dir. civ., 1983, II, p. 206; c.m. bianca, op. cit., p. 221 e ss.; s. mazzarese, Clausola penale, in Comm. al Cod. Civ. diretto da P. Schlesinger, Milano, 1999, p. 159
[65] Tale interpretazione inoltre è proposta da m.g. baratella, Le pene private, cit., p. 15 ss., che richiama l’opinione espressa da s. d’avino, Clausola penale: profilo strutturale ed operativo, in Vita not., 1997, II, p. 1049.
[66] Così, v.m. trimarchi, La clausola penale, Milano, 1954, p. 11; l. barassi, La teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1957, p. 480; e. moscati, Pena privata e autonomia privata, cit., pp. 239 e ss., il quale sottolinea «l’enorme capacità espansiva» della clausola penale e aggiunge che: «data l’elasticità dello schema della clausola penale non vi sono praticamente limiti alla libertà delle parti di scegliere le modalità del meccanismo sanzionatorio».
[67] Corte di Cassazione, 27 settembre 2011, n. 19702; id., 19 gennaio del 2007 n. 1183, secondo cui la clausola penale non ha natura e finalità sanzionatoria o punitiva, ma assolve alla funzione di “rafforzare il vincolo contrattuale e di liquidare preventivamente la prestazione risarcitoria”.
[68] Parla di “vera e propria sanzione civile punitiva o pena privata” a. riccio, Gli interessi moratori previsti dalla disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e le norme sull’usura, in Contratto e Impresa n. 2/04, p. 556. Concordano sulla funzione afflittiva degli interessi a. crivelli, Le penali di fonte legale, in I danni risarcibili nella responsabilità civile, vol. II, collana Il diritto civile nella giurisprudenza diretta da p. cendon, Torino, 2005, p. 318; g. spoto, L’attuazione della Direttiva sui ritardi nei pagamenti, in Europa e diritto privato, 2004, I, p. 171.
[69] Si pensi alle sanzioni endoassociative di cui agli artt. 16 e 36 c.c. Per una classificazione delle pene endoassociative si veda f.g. bosetti, L’autonomia punitiva nei rapporti tra associazione e singolo associato, in Le pene private, cit., p. 157.
[70] Sul punto cfr. g. ponzanelli, Pena privata, cit., p. 3. Si veda altresì m. basile, Le «pene private» nelle associazioni, in f.d. busnelli e g. scalfi (a cura di), Le pene private, cit., p. 189 ss.
[71] Al limite le norme sulle penali possono essere applicate alle sanzioni endoassociative a contenuto patrimoniale. I limiti che possono essere rintracciati per queste sono fissati dagli artt. 2 e 18 Cost.
[72] p.g. monateri, g.m. arnone, n. calcagno, Il dolo, la colpa e i risarcimenti aggravati dalla condotta, cit., p. 62.
[73] a. astone, L’autonoma rilevanza dell’atto illecito. Specificità dei rimedi, Milano, 2012, pp. 96 ss.
[74] Secondo cui “nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere oltre al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell’offesa e alla diffusione dello stampato”.
[75] L’esplicita qualificazione di tale sanzione come aggiuntiva rispetto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali ex art. 185 c.p. non lascerebbe dubbi circa la sua estraneità ad una prospettiva di puro ristabilimento di un equilibrio di interessi pregiudicato. Così g. de vero, Corso di diritto penale, I, Torino, 2012, p. 54. Si veda anche p. cendon, Pena privata e diffamazione, in Politica del diritto, 1979, p. 149 e ss., secondo cui la sanzione pecuniaria rappresenta uno strumento utile per superare i limiti del rimedio risarcitorio, in tutti i casi in cui la minaccia della riparazione non risulti idonea a far desistere da illeciti comportamenti diffamatori.
[76] Si veda f. galgano, Alla ricerca delle sanzioni civili indirette: premesse generali, in Contr. Impr., 1987, p. 531.
[77] Rileva e. al mureden, I fatti illeciti. Casi e materiali, Torino, 2014, p. 456, che tra le pene private e le sanzioni civili indirette esiste un evidente “nesso di natura sociologica”, in quanto entrambe sono espressione della fiducia attribuita alla capacità di autoregolamentazione della società civile.
[78] m. franzoni, Il danno risarcibile, cit., p. 708.
[79] f. galgano, Alla ricerca delle sanzioni civili indirette: premesse generali, cit., p. 532, che richiamava come esempio l’art. 18, comma 14, l. 20 maggio 1970, n. 300, che fissa in cinque mensilità di retribuzione la misura minima di condanna del datore di lavoro per licenziamento illegittimo; gli artt., 31, 34 e 60, comma 2 della l. 27 luglio 1978, n. 392, in tema di abusi del locatore.
[80] Si veda p. pascucci, Il rebus dell’effettività delle cosiddette “sanzioni civili indirette” in tema di sicurezza sul lavoro, in p. pascucci (a cura di), Il Testo unico sulla sicurezza del lavoro. Atti del convegno di studi giuridici sul disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 aprile 2007 (Urbino, 4 maggio 2007), Ministero della salute-ISPESL, Roma, 2007, pp. 131-147; l. montuschi, Attualità della sanzione civile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2007, pp. 1188 ss.
[81] Chi costruisce un immobile senza la prescritta concessione edilizia ed aliena il bene stipula un contratto che è affetto da nullità. Cfr. g. alfa, Abusi edilizi e categorie civilistiche, in Contratto e impr., 1986, pp. 157 ss; n. irti, La nullità come sanzione civile, in Contratto e impr., 1987, pp. 544 ss.
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