Sommario: 1. Cenni storici; 2. Estensione dell’applicabilità della fattispecie agli enti; 3. Analisi; 4. Epilogo.
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Cenni storici
Il delitto di corruzione tra privati, contemplato all’art. 2635 c.c., così come quello di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 c.c., non era stato inserito dalla legge di riforma del diritto societario datata 2002 nel congiunto di reati che potevano dare luogo, ex art. 25 ter del D.lgs n. 231 del 2001, alla responsabilità da reato delle società.
Tale esclusione venne giustificata in ragione dell’incompatibilità strutturale tra corruzione privata nel suo lato “passivo” – che all’epoca pretendeva la connessione con il danno per la società del corrotto – ed il presupposto previsto ai sensi del D.lgs n. 231 del 2001 per l’attribuzione della responsabilità da reato, ossia la condizione di vantaggio o di interesse per la persona giuridica. Peraltro non veniva considerata la condotta “attiva”, anch’essa contemplata all’art. 2635 c.c. Eppure, l’azione del soggetto corruttore può essere – ed effettivamente suole essere – manifestazione della volontà di un ente collettivo (si pensi ad una società concorrente) e realizzata nell’interesse di questo, dunque in linea con il criterio obiettivo di imputazione della responsabilità collettiva stabilito dall’art. 5 del Decreto anteriormente citato[1].
In un contesto economico ove si favorisce l’esternalizzazione delle funzioni ed il decentramento delle fasi produttive, e dunque la frammentazione dell’attività nel suo complesso, aumenta inevitabilmente il rischio di corruzione tra soggetti economici privati. Stando così le cose, la lacuna parve già ai primi commentatori «infelice ed irragionevole»[2] considerato che la ratio iuris del precetto penale “corruzione privata” risiede nel contrasto alla criminalità d’impresa che implica – evidentemente – la responsabilità della medesima.
Ancora, gli strumenti legislativi sovranazionali, da cui derivava l’istanza di tipizzazione dei reati sopradetti[3], imponevano agli Stati l’introduzione delle misure necessarie affinché la corruzione tra privati fosse perseguita attraverso sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive. Si pensi alla Convenzione di Merida[4], entrata in vigore nel 2005 in seno alle Nazioni Unite, che all’art. 25, e dopo aver enucleato la fattispecie “attiva” e “passiva” di corruzione privata, fissa l’onere per gli Stati firmatari di prevedere, in conformità ai principi contenuti nei propri ordinamenti interni, la responsabilità – anche penale – delle persone giuridiche che partecipino a tali condotte senza che con questo si pregiudichi la responsabilità per delitto delle persone fisiche che abbiano commesso i fatti.
Infine, nel proprium dell’ordinamento italiano risultava paradossale che la responsabilità derivante da delitto delle persone giuridiche di cui al D.lgs 231/2001, in origine introdotta appunto per sanzionate il fenomeno corruttivo – ancorché pubblico- una volta estesa al settore dei delitti “socio-economici” divenisse inapplicabile proprio per il delitto societario più affine al modello classico di corruttela.
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La responsabilità amministrativa degli entiIl modello di organizzazione e gestione (o “modello ex D.Lgs. n. 231/2001”) adottato da persona giuridica, società od associazione privi di personalità giuridica, è volto a prevenire la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.Le imprese, gli enti e tutti i soggetti interessati possono tutelarsi, in via preventiva e strutturata, rispetto a tali responsabilità ed alle conseguenti pesanti sanzioni, non potendo essere ritenuti responsabili qualora, prima della commissione di un reato da parte di un soggetto ad essi funzionalmente collegato, abbiano adottato ed efficacemente attuato Modelli di organizzazione e gestione idonei ad evitarlo.Questo volume offre, attraverso appositi strumenti operativi, una panoramica completa ed un profilo dettagliato con casi pratici, aggiornato con la più recente giurisprudenza. La necessità di implementare un Modello Organizzativo ex D.Lgs. n. 231/2001, per gli effetti positivi che discendono dalla sua concreta adozione, potrebbe trasformarsi in una reale opportunità per costruire un efficace sistema di corporate governance, improntato alla cultura della legalità.Damiano Marinelli, avvocato cassazionista, arbitro e docente universitario. È Presidente dell’Associazione Legali Italiani (www.associazionelegaliitaliani.it) e consigliere nazionale dell’Unione Nazionale Consumatori. Specializzato in diritto civile e commerciale, è autore di numerose pubblicazioni, nonché relatore in convegni e seminari.Piercarlo Felice, laurea in giurisprudenza. Iscritto all’albo degli avvocati, consulente specializzato in Compliance Antiriciclaggio, D.Lgs. n. 231/2001, Trasparenza e Privacy, svolge attività di relatore e docente in convegni, seminari e corsi dedicati ai professionisti ed al sistema bancario, finanziario ed assicurativo, oltre ad aver svolto docenze per la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze (Scuola di Formazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze) sul tema “Antiusura ed Antiriciclaggio”. Presta tutela ed assistenza legale connessa a violazioni della normativa Antiriciclaggio e normativa ex D.Lgs. n. 231/2001. È tra i Fondatori, nonché Consigliere, dell’Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio (AIRA). Collabora con l’Università di Pisa come docente per il master post laurea in “Auditing e Controllo Interno”. Ha ricoperto l’incarico di Presidente dell’Organismo di Vigilanza ex D.Lgs. n. 231/2001 presso la Banca dei Due Mari di Calabria Credito Cooperativo in A.S.Vincenzo Apa, laureato in economia e commercio e, successivamente, in economia aziendale nel 2012. Commercialista e Revisore Contabile, dal 1998 ha intrapreso il lavoro in banca, occupandosi prevalentemente di finanziamenti speciali alle imprese, di pianificazione e controllo di gestione, di organizzazione e, nel 2014/2015, ha svolto l’incarico di Membro dell’Organismo di Vigilanza 231 presso la BCC dei Due Mari. È attualmente dipendente presso la BCC Mediocrati. Ha svolto diversi incarichi di docenza in corsi di formazione sull’autoimprenditorialità, relatore di seminari e workshop rivolti al mondo delle imprese.Giovanni Caruso, iscritto presso l’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Cosenza e nel registro dei tirocinanti dei Revisori Legali dei Conti. Laureato in Scienze dell’Amministrazione, in possesso di un Master in Diritto del Lavoro e Sindacale e diverse attestazioni in ambito Fiscale e Tributario, Privacy e Sicurezza sul Lavoro. Svolge l’attività di consulente aziendale in materia di Organizzazione, Gestione e Controllo, Sicurezza sui luoghi di lavoro, Finanza Aziendale e Privacy. Ha svolto incarichi di relatore in seminari e workshop rivolti a Professionisti ed Imprese. Damiano Marinelli, Vincenzo Apa, Giovanni Caruso, Piercarlo Felice | 2019 Maggioli Editore 25.00 € 23.75 € |
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Estensione dell’applicabilità della fattispecie agli enti
Fu dunque ben accolta l’estensione, come conseguenza della riforma intervenuta ad opera della L. 190/2012, al delitto di cui all’art. 2635 c.c. della responsabilità diretta dell’ente privato attraverso l’inclusione della lettera s bis) all’art. 25 ter del D.lgs n. 231 che stabilì «per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell’art. 2653 c.c., la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote».
La successiva riforma del delitto oggetto di esame, avutasi a seguito dell’emanazione del D.lgs. 38/2017 che, attraverso il meccanismo di recepimento degli atti europei introdotto dalla legge n. 234 del 2012[5], dava esecuzione nell’ordinamento interno alla Decisione Quadro 2003/568/GAI del Consiglio dell’Unione Europea, inasprì l’impianto sanzionatorio anche per gli enti. La corruzione privata, nella sua forma “attiva”, veniva ora punita con una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di quattrocento quote e fino ad un massimo di seicento. La precedente sanzione rimaneva, di contro, inalterata relativamente al delitto di istigazione alla corruzione tra privati “attiva”, di cui all’art. 2635 bis c.c. Si disponeva infine l’applicabilità a dette fattispecie delle sanzioni interdittive stabilite all’art. 9 del Decreto legislativo 231/2001.
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Analisi
È bene notare che anche a seguito del suddetto intervento riformatore resta esclusa la punibilità della persona giuridica ove sia responsabile, a norma del disposto del D.lgs 231/2001, per il compimento di fatti che corrispondano al contegno “passivo” del delitto di corruzione tra privati. Detto in altre parole, la persona giuridica non risponderà dell’azione del corrotto disciplinata al comma 1 dell’art. 2653 c.c. ovvero delle condotte degli «amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori,[o altri soggetti che svolgano funzioni direttive] di società o enti privati che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per sé o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà». La decisione del Legislatore appare incoerente per due ordini di ragioni. Da un lato, la rielaborazione della fattispecie nel 2017 ha eliminato la rilevanza della sussistenza di “nocumento” perché il delitto possa essere sanzionato con conseguente decadenza dell’incompatibilità rispetto ai requisiti necessari per l’applicazione della disciplina di cui al D.lgs. 231/2001. Dall’altro, proprio in ragione della scelta di elidere il pregiudizio per la società del corrotto dal novero degli elementi della fattispecie passiva, appare inconseguente non sancire la punibilità dell’ente giuridico se la appena menzionata determinazione risponde alla volontà di protezione del bene giuridico “tutela del mercato e libera concorrenza”[6]. La elezione di politica criminale assunta, “cozza” con l’interpretazione che post-riforma si è data circa il bene giuridico protetto, dimostrando di contro la conservazione di una prospettiva unicamente interna di salvaguardia dell’entità economica, ovvero solo di tutela del patrimonio sociale.
Ad ogni buon conto, relativamente al corruttore che appartenga ad una società ed operi nell’interesse della stessa, e dunque alla modalità “attiva” della fattispecie, potendosi applicare sanzioni a norma del Decreto n. 231 quando il fatto sia commesso da un soggetto che svolga funzioni – genericamente – di leadership, la persona giuridica sarà tenuta a dimostrare, per essere esclusa da responsabilità – in conformità con l’art. 5 del menzionato Decreto – di aver adottato ed efficacemente eseguito, prima della commissione della condotta, un “modello di organizzazione e gestione” in grado di prevenire ed impedire l’evento corruttivo, pur sempre in base ad una valutazione ex ante del pericolo. Saranno debitamente valutati i meccanismi in grado di creare riserve occulte idonee a «pagare il prezzo della corruzione»[7] e dovranno essere comunicati all’organo preposto alla vigilanza all’interno dell’ente privato i processi che consentano l’ottenimento di un indebito vantaggio per ivi essere analizzati. Si tratta di accertamenti all’esito dei quali difficilmente l’ente, a meno di possedere un sistema inviolabile di compliance, potrà dimostrare l’assenza della denominata “colpa di organizzazione”. A tale ultimo riguardo è stato evidenziato che il riferimento che il precetto fa ad “altre utilità” oltre che al denaro, quale compenso indebito per il corrotto, finisce per limitare notevolmente la libertà d’impresa anticipando la soglia del “penalmente rilevante”. Difatti, risultano essere “in potenza” perseguibili tutta una serie di condotte riguardanti – ad esempio – le spese di rappresentanza, le liberalità e le sponsorizzazioni. Si tratta di un ulteriore caso della ben nota “tentazione al panpenalismo”[8] nel campo del diritto penale economico.
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Epilogo
In ragione degli elementi di riflessione appuntati, può legittimamente affermarsi che la soluzione adottata dal legislatore italiano si risolve in una trasposizione non compiuta della disciplina europea, che effettivamente, relativamente alla responsabilità delle persone giuridiche per corruzione privata, annovera anche l’ipotesi di condotta “passiva”.
L’assetto non è cambiato neppure a seguito dell’emanazione della L. n. 3/2019 (c.d. decreto “spazzacorrotti”) che, se da un lato ha introdotto l’innovativa clausola della procedibilità d’ufficio per le fattispecie di corruzione tra privati e di istigazione alla stessa ex art. 2635 bis c.c. ove appunto compiute da persone fisiche, nulla dispone in merito responsabilità da reato della persona giuridica per i medesimi fatti criminosi[9]. Orbene, il mancato intervento sul D.lgs. 231 si presenta come un’occasione mancata per il Legislatore.
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Note
[1] Clerici A. L., La corruzione tra privati, Vicalvi, Key ed., 2017, pp. 212 e ss.
[2] Bellacosa M., Obblighi di fedeltà dell’amministratore di società e sanzioni penali, Milano, Giuffrè, 2006, p. 278.
[3] Ci riferiamo alla Convenzione di Merida del 2003 dell’ONU, alla Convenzione penale sulla corruzione siglata in seno al Consiglio d’Europa nel 1999 ed agli atti dell’Unione Europea in materia, ossia la l’Azione comune 1998/742/GAI e da ultimo la Decisione Quadro 2003/568/GAI la cui mancata trasposizione, come noto, comporta la procedura di infrazione a danno dello Stato Membro inadempiente ex artt. 258 e ss.
[4] Disponibile in https://www.admin.ch/opc/it/federal-gazette/2007/6733.pdf.
[5] La legge n. 234 del 2012 “sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa europea” modificò – tra l’altro- il processo di recepimento annuale della normativa europea introducendo un sistema sdoppiato rispetto alla precedente “legge comunitaria”: da una parte, la legge di delegazione europea, si limita a stabilire le disposizioni di delega necessarie al recepimento delle direttive comunitarie; dall’altro, la legge europea che contiene disposizioni volte a garantire l’adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo.
[6] Di Vizio F., “La riforma della corruzione tra privati”, in www.quotidianogiuridico.it, 2017, p.11
[7] Clerici A. L., La corruzione tra privati, cit., pp. 212 e ss.
[8] De Angelis P. – Jannone A., “D. L. Anticorruzione. La corruzione tra privati e la tentazione del “panpenalismo”. Cosa cambia nel modello”, in Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, in www.asso231.it, 2012.
[9] Costa D., “Il rapporto tra la responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del D. lgs. 231/2001 e il delitto di corruzione tra privati alla luce delle recenti innovazioni”, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 2.
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