Responsabilità per danni provocati da cani randagi: si applica l’art. 2043 c.c.

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Con la sentenza numero 5339 del 28/02/2024 la III sezione della suprema Corte (Pres. Destefano – relatore Pellecchia) chiarisce che ai danni provocati da cani randagi si applica la responsabilità ex. art. 2043 cc, che l’ente preposto alla vigilanza si individua sulla scorta della normativa regionale e che l’attore/danneggiato deve allegare e provare, anche con presunzioni, la regola di condotta violata dal soggetto tenuto al servizio di controllo del randagismo, mentre quest’ultimo deve dimostrare la scriminante civile.

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Corte di Cassazione – Sez. III Civ. – Sent. n. 5339 del 28/02/2024

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Indice

1. I fatti di causa e i giudizi di merito

Tizio, alla guida della propria autovettura, percorreva una strada provinciale quando si imbatteva in un cane randagio di grossa taglia che attraversava il selciato stradale, inducendolo fuori strada, previo contatto con l’animale. Tizio, al fine di ottenere il ristoro dei danni subiti dal proprio veicolo conveniva in giudizio l’Asl competente, la Provincia, quale Ente proprietario della Strada e il Comune. La Provincia, poi, chiedeva ed otteneva la chiamata in garanzia del proprio assicuratore.
Il Giudice di pace investito della domanda in primo grado disponeva l’estromissione dal Giudizio della Provincia e del proprio assicuratore, e condannava in solido l’Asl e il Comune al risarcimento dei danni subiti da Tizio. In particolare il Tribunale affermava che la condotta del Comune era colposa perché non aveva adottato le misure atte ad evitare la circolazione dei cani randagi, e a tutelare i cittadini che liberamente circolavano per le vie cittadine dai danni che questi potenzialmente potevano provocare.
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La Riforma Cartabia della giustizia civile

Aggiornata ai decreti attuativi pubblicati il 17 ottobre 2022, la presente opera, che si pone nell’immediatezza di questa varata “rivoluzione”, ha la finalità di spiegare, orientare e far riflettere sulla introduzione delle “nuove” possibilità della giustizia civile. Analizzando tutti i punti toccati dalla riforma, il volume tratta delle ricadute pratiche che si avranno con l’introduzione delle nuove disposizioni in materia di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, nonché di processo di cognizione e impugnazioni, con uno sguardo particolare al processo di famiglia, quale settore particolarmente inciso dalle novità. Un focus è riservato anche al processo del lavoro, quale rito speciale e alle nuove applicazioni della mediazione e della negoziazione assistita, che il Legislatore pare voler nuovamente caldeggiare. Francesca SassanoAvvocato, è stata cultrice di diritto processuale penale presso l’Università degli studi di Bari. Ha svolto incarichi di docenza in numerosi corsi di formazione ed è legale accreditato presso enti pubblici e istituti di credito. Ha pubblicato: “La nuova disciplina sulla collaborazione di giustizia”; “Fiabe scritte da Giuristi”; “Il gratuito patrocinio”; “Le trattative prefallimentari”; “La tutela dell’incapace e l’amministrazione di sostegno”; “La tutela dei diritti della personalità”; “Manuale pratico per la protezione dell’incapace”; “Manuale pratico dell’esecuzione mobiliare e immobiliare”; “Manuale pratico delle notificazioni”; “Manuale pratico dell’amministrazione di sostegno”; “Notifiche telematiche. Problemi e soluzioni”.

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2. Responsabilità per danni provocati da cani randagi: il giudizio di legittimità

Ricorre per la Cassazione della Sentenza il Comune, sulla scorta di due motivi. Con il primo censura la violazione dell’art. 2043 3 del 2697 cc, ritenendo errato quanto statuito dal Tribunale in punto di ripartizione dell’onere della prova, atteso che il danneggiato si era limitato ad allegare genericamente i fatti senza attribuire una specifica violazione di una norma cautelare da parte del Comune.
Con il secondo motivo si censurava la errata sussunzione della fattispecie nell’alveo del 2051 cc, quantomeno in termini di onere della prova e di qualificazione della responsabilità come oggettiva.
La Corte esamina i due motivi congiuntamente e coglie l’occasione per delineare i contorni della responsabilità per i danni provocati dai cani randagi.
La Corte premette che l’accertamento della responsabilità per i danni derivanti dal randagismo presuppone l’individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione di questo fenomeno; sul punto, infatti, e quindi sull’ente su cui gravi l’obbligo giuridico di “recupero”, “cattura” e “ricovero” dei cani randagi – la legge statale 281/91 è neutra, lasciando il compito di legiferare alle regioni.
Questo è, chiaramente, un esame da fare caso per caso.
Nel caso specifico la legge regionale siciliana (il fatto accadeva a Catania) prevede l’obbligo per i Comuni, anche in forma consorziata, di accalappiare i cani.
Del pari la Corte coglie l’occasione per evidenziare la differenza tra la responsabilità in esame e quella per danni provocati da animali selvatici; alla prima, infatti si applica il diverso regime definitivamente elaborato fin da Cass. 7969/20, costantemente ribadito in seguito, a mente del quale pur essendo disciplinata dalla regola generale di cui all’art. 2043 c.c., la responsabilità trova fondamento, prima ancora che nell’accertamento della colpa dell’ente preposto, in quello, preliminare, dell’esistenza in capo ad esso di un obbligo giuridico avente ad oggetto lo svolgimento di un’attività vincolata in base alla legge (la cattura dell’animale randagio).
“Non possono trovare applicazione le regole di cui all’art. 2052 cod. civ., in considerazione della natura stessa di detti animali e dell’impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi, da parte dei soggetti della pubblica amministrazione preposti alla gestione del fenomeno del randagismo” (Cass. 17060/18, 18954/2017, e 31957/18).
Una volta individuato il soggetto tenuto al controllo del randagismo, e quindi in questo caso il Comune, l’attore/danneggiato deve allegare e dimostrare il contenuto della condotta obbligatoria esigibile dall’ente e la riconducibilità dell’evento dannoso al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria, in base ai principi sulla causalità omissiva.
Entro questo perimetro va verificato il tipo di comportamento esigibile volta per volta dal Comune, sì da dedurne la eventuale responsabilità sulla base dello scarto tra la condotta concreta e la condotta esigibile, quest’ultima individuata secondo i criteri della prevedibilità e della evitabilità e della mancata adozione di tutte le precauzioni idonee a mantenere entro l’alea normale il rischio connaturato al fenomeno del randagismo. Nel nostro caso, premessa la prevedibilità dell’attraversamento della strada da parte di un animale randagio, la esistenza di un obbligo in capo all’ente comunale di impedirne il verificarsi avrebbe dovuto essere valutata secondo criteri di ragionevole esigibilità, tenendo conto che, per imputare a titolo di colpa un evento dannoso, non basta che esso sia prevedibile, ma occorre anche che esso sia evitabile in quel determinato momento ed in quella particolare situazione con uno sforzo proporzionato alle capacità dell’agente.
In particolare, e in accordo con i precedenti della Corte, si può affermare che per dichiarare sussistente la responsabilità dell’ente preposto è necessaria la prova dell’esigibilità di uno specifico comportamento attivo idoneo, ove opportunamente adottato, ad evitare l’evento. Si è detto, esemplificando, che il danneggiato avrebbe dovuto provare che era stata segnalata al comune la presenza abituale di animali randagi nel luogo dell’incidente, lontano dalle vie cittadine, ma rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, ovvero che vi fossero state nella zona richieste d’intervento dei servizi di cattura e di ricovero, demandati alla ASL e al Comune, rimaste inevase.
Tutto questo perché, se bastasse per invocarne la responsabilità, l’individuazione dell’ente preposto alla cattura dei randagi ed alta custodia degli stessi, la fattispecie cesserebbe di essere regolata dall’art. 2043 c.c. e finirebbe per essere del tutto disancorata dalla colpa, rendendo la responsabilità dell’ente una responsabilità sottoposta a principi analoghi se non addirittura più rigorosi di quelli previsti per le ipotesi di responsabilità oggettiva da custodia di cui agli artt. 2051, 2052 e 2053 c.c.
Afferma la Corte quindi che “L’onere del danneggiato è quello di provare, anche per presunzioni, l’esistenza di segnalazioni o richieste di intervento per la presenza abituale di cani, qualificabili come randagi, valorizzato da questa Corte con pronuncia dalla quale il collegio non intende discostarsi (Cass. 31/07/2017, n. 18954), rimane a valle dell’onere del soggetto tenuto per legge alla predisposizione di un servizio di recupero di cani randagi abbastanza articolato di provare di essersi attivato rispetto all’onere cautelare previsto dalla normativa regionale.”
Nel nostro caso, il servizio di recupero dei cani randagi gravava sul Comune e la domanda risarcitoria è fondata su un fatto che costituisce concretizzazione del rischio che la norma cautelare mirava ad evitare. E, poiché l’osservanza della norma cautelare implica l’approntamento di un servizio organizzato, spettava al Comune dedurre e dimostrare di avervi dato compiuta osservanza in base ai principi generali in materia di nesso di causalità e di responsabilità colposa.
Secondo il giudice dell’appello tale onere non e stato assolto dal Comune ricorrente, mentre l’attore aveva allegato e provato con presunzioni la colpa del Comune.
Il ricorso viene quindi rigettato.

Michele Allamprese

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