La soggezione da attribuire al debitore in caso di inadempimento delle obbligazioni è stato oggetto di accesi dibattiti in dottrina, che si è scontrata sul fondamento da attribuire alla responsabilità in caso di mancata esecuzione della prestazione. Che sia una responsabilità oggettiva o una responsabilità soggettiva?
Indice
1. La regola dell’art. 1218 c.c. sulla responsabilità da inadempimento
La responsabilità del debitore da inadempimento contrattuale[1] è regolata dall’art. 1218 c.c., per il quale il debitore inadempiente, cioè colui che non esegue esattamente la prestazione dovuta, è tenuto al risarcimento del danno, salvo che non fornisca prova che l’inadempimento o il ritardo sia stato determinato da un’impossibilità di eseguire la prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Contrariamente alla concezione accolta dal codice civile del 1985[2], il legislatore del ’42 ha ritenuto che ci debba essere un’impossibilità oggettiva, non già soggettiva, nel senso che la prestazione in sé è divenuta irrealizzabile per qualsiasi debitore, Inoltre, la seconda parte dell’art. 1218 c.c. richiede la presenza di una causa non imputabile, vale a dire una causa non evitabile e prevedibile da parte del debitore. A tal ultimo proposito, si suol parlare di caso fortuito e di forza maggiore come situazioni giuridiche che operano da clausole di esonero dalla responsabilità per inadempimento[3].
Sul contenuto di questa norma, la dottrina, anche condizionata dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, ha iniziato ad interrogarsi sulla sua applicazione, in particolare alla luce delle posizioni giuridiche che l’ordinamento attribuisce ai soggetti del rapporto obbligatorio.
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2. Teorie oggettivistiche
Le interpretazioni tradizionali si rifanno rigidamente alle letture codicistiche dell’art. 1218 c.c. ove, in generale, si esalta il requisito dell’oggettivo impedimento ad eseguire la prestazione per esimere il debitore da responsabilità contrattuale.
Il padre di queste teorie è il giurista Osti che considera l’impossibilità oggettiva in senso assoluto naturalistico[4], cioè come un impedimento umano all’esecuzione della prestazione. Quindi, si giustifica l’inadempimento solo se nessuno nella posizione del debitore avesse potuto fisicamente dare luogo all’esecuzione. Questo pensiero è stato ripreso nella formulazione del codice civile vigente, come si evince dallo stesso art. 1218 c.c.
Sul punto, si è espresso anche Mengoni, primo giurista ad introdurre di obbligazioni di mezzo e di risultato di ispirazione francese, che ricorda la natura sempre oggettiva della responsabilità contrattuale[5].
Diversamente, ha preso piede una teoria c.d. “intermedia” che si presenta come una deroga al rigido modello sopracitato. I sostenitori di tale tesi ritengono l’impedimento non come un’impossibilità oggettiva ed assoluta, ma come un’impossibilità oggettiva che rileva sotto il profilo economico, e non umano, nel senso che non può essere superata con l’impegno del debitore in riferimento alla natura specifica dell’obbligazione che si deve adempiere[6].
3. Teorie soggettivistiche
Successivamente, si sono sviluppate delle teorie che pongono al centro la dimensione soggettiva, ovvero la colpa, del debitore.
Gli autori in questione, con speciale menzione all’autorevole Bianca, concepiscono l’inadempimento come inadempimento colposo. In particolare, si pone a fondamento della responsabilità del debitore il dovere di diligenza di cui l’art. 1176 c.c.
La diligenza impone al debitore di tenere un impegno nel soddisfacimento del credito, cioè nell’adempimento dell’obbligazione, con particolare rigore in caso di attività professionale in base alla particolare natura di quest’ultima. In caso di violazione di tale dovere, il debitore potrà dirsi inadempiente ai sensi dell’art. 1218 c.c.
Le varie teorie soggettivistiche si basano su questa lettura sistematica ed assiologica, che vuole superare le strettoie dell’art. 1218 c.c. alla luce dei valori dell’ordinamento. Di fatto, ci si è spinti oltre il rigore dell’interpretazione tradizionale sull’impossibilità sopravvenuta, dato che quest’ultima rende difficile per il debitore sfruttare tale ipotesi a fini probatori.
Da qui si è iniziato a parlare di inesigibilità della prestazione, nel senso che quest’ultima è sicuramente possibile, ma non può essere pretesa al debitore, e perciò non rileva un’impossibilità assoluta che incorre in responsabilità per inadempimento contrattuale[7].
4. La risposta della giurisprudenza costituzionale e di merito
È ormai pacifica nella giurisprudenza l’adozione di un modello prettamente soggettivo.
In particolare, la Corte costituzionale ha posto il principio di inesigibilità come limite superiore alle pretese del creditore quando si configura un interesse del debitore a non eseguire la prestazione di rango superiore a quello del creditore a soddisfare il proprio diritto di credito[8].
La giurisprudenza di merito, seppur con alcune contraddizioni[9], sembra preferire anch’essa un modello soggettivo, pur ricordando che la valutazione della posizione soggettiva del debitore, cioè della diligenza ex art. 1176 c.c., può rilevare esclusivamente se si sia verificata una causa oggettivamente apprezzabile, che non attiene alla persona ovvero al patrimonio del debitore[10].
5. In conclusione
Alla stregua di quanto illustrato finora, si può certamente affermare che il sistema della responsabilità contrattuale è ancora oggetto di forti dibattiti, nonostante la parola della Consulta che ha più volte strizzato l’occhio ad un’interpretazione più elastica dell’art. 1218 c.c. Il dibattito rimane aperto, grazie anche ai nuovi sviluppi recenti del diritto contrattuale, ove l’evoluzione dei rapporti patrimoniali del nuovo millennio e il profondo mutamento della società moderna apre a nuovi orizzonti anche in tema di responsabilità da inadempimento contrattuale.
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