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Il caso
In seguito ad ispezione eseguita in data 21 agosto 2014 presso il Condominio Caio, emergeva l’assenza di dispositivi di sicurezza (estintori e segnaletica) a corredo del serbatoio interrato di GPL e del relativo impianto di distribuzione collegato ai vari contatori privati.
Il detto serbatoio risultava di proprietà della ditta Tizio S.r.l. che lo cedeva in comodato d’uso al Condominio Caio. Sulla stessa ditta ricadeva anche il dovere di distribuzione del gas ai vari appartamenti privati.
Gli ispettori compilavano regolare verbale di ispezione al quale allegavano un foglio di prescrizioni, al fine di consentire alla ditta di uniformarsi alle norme sulla sicurezza, ritenendo che i relativi obblighi dovessero ricadere sulla Tizio SRL in quanto proprietaria dell’impianto.
Il Tribunale di Lucca , con sentenza del 23 novembre 2017, condannava il legale rappresentante della Tizio SRL alla pena , condizionalmente sospesa, di 20 giorni di arresto, poiché ritenuto colpevole della contravvenzione di cui agli articoli 46, comma 2 e 55 punto 5 lettera c) del D. lgs n. 81/2008 per non avere adottato idonee misure a prevenire gli incendi e a tutelare la sicurezza dei lavoratori nella sua qualità di legale rappresentante della società proprietaria dell’impianto in oggetto, ceduto al condominio in semplice comodato d’uso .
Il legale rappresentante della Tizio SRL proponeva appello avverso la sentenza di condanna ritendendo che l’obbligo di dotazione dell’area di tutta la strumentazione di sicurezza necessaria, fosse a carico del proprietario dell’area stessa (identificato con l’utilizzatore dell’impianto) non potendo, il luogo in oggetto, essere considerato né come “luogo di lavoro” né come pertinenza aziendale. Infatti, l’area in oggetto risultava essere di proprietà condominiale e, pertanto, inaccessibile all’imputato.
Con sentenza del 16 aprile 2019 la Corte d’appello di Firenze rigettava il ricorso confermando la sentenza di primo grado, ritenendo che le operazioni di messa in sicurezza avrebbero dovuto essere svolte al momento del montaggio iniziale dell’impianto ferma restando, comunque, la necessaria autorizzazione di accesso all’impianto che il Condominio doveva concedere per gli interventi manutentivi futuri ove la Tizio S.r.l. l’avesse richiesta.
Riguardo alla nozione di luogo di lavoro, la Corte d’appello di Firenze ha affermato che “hanno tale qualifica i luoghi destinati ad ospitare posti di lavoro ubicati all’interno di azienda o all’interno dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro” ai sensi dell’articolo 62 bel D. lgs. n. 81/2008.
Alla luce di questa definizione, è risultato evidente il fatto che, in caso di necessari interventi di manutenzione e/o di messa in sicurezza dell’impianto, gli unici a poter intervenire sui luoghi in cui esso si trovava erano proprio i lavoratori della Tizio SRL che dovevano essere messi nella condizione di poter lavorare in sicurezza, tanto più, che l’impianto in questione era di proprietà della Tizio S.r.l. anche se collocato in una area di proprietà privata.
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I motivi del ricorso
Il legale rappresentante della Tizio S.r.l. proponeva ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1 lettera e), deducendo, con unico motivo di impugnazione, la contraddittorietà ed illogicità della motivazione nella forma sia del travisamento degli atti sia della omessa valutazione delle prove.
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello di Firenze, avrebbe erroneamente considerato come pertinenza aziendale non il solo serbatoio, ma l’intero impianto di distribuzione, comprendente serbatoio, tubature e vano contatori, questi ultimi di proprietà di un terzo, secondo quanto emergerebbe dal verbale dei Vigili del Fuoco prodotto in sede di udienza dibattimentale dal pubblico ministero. Questo avrebbe comportato l’omessa considerazione di un documento decisivo ai fini della decisione.
Inoltre, la Corte d’appello avrebbe omesso di valutare le dichiarazioni a discolpa rese dall’imputato, il quale avrebbe ribadito la proprietà privata dell’area e l’assoluta impossibilità di accedere ad essa da parte della Tizio S.r.l. per qualsiasi tipo di intervento.
La decisione della Corte
La Suprema Corte con decisione n. 45316 del 7 novembre 2019 rigettava il ricorso attraverso il seguente iter argomentativo.
L’art. 55 punto 5 lettera c) del D.lgs. 81/2008 punisce con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da € 1.200 a € 5.200 la violazione, tra gli altri, dell’articolo 46 comma 2, il quale a sua volta prescrive che nei luoghi di lavoro soggetti al presente decreto legislativo devono essere adottate idonee misure per prevenire gli incendi e per tutelare l’incolumità dei lavoratori.
La difesa dell’imputato non contesta la mancata adozione delle misure antincendio, ma si limita a dedurre che l’area su cui insisteva l’impianto non potesse essere qualificata come il “luogo di lavoro”, non trattandosi di una pertinenza dell’azienda.
La Corte ha ritenuto infondata tale prospettazione ritenendo che quanto previsto dall’articolo 62 del D. lgs 81/2008, secondo il quale sono qualificati come luogo di lavoro, “i luoghi destinati ad ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro” trova applicazione solo in relazione alle disposizioni contenute nel Titolo II del predetto decreto[1] tra i quali non rientra l’art. 46, comma 2.
Così, ai fini dell’applicazione di quest’ultima norma generale, può assumere la qualità di “luogo di lavoro qualsiasi spazio a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro oppure che esso sia accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro[2] potendo, dunque, rientrarvi ogni luogo in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si svolge e dell’accesso ad essa da parte di terzi estranei all’attività lavorativa[3].
Di conseguenza, essendo il luogo di collocazione dell’impianto accessibile ai lavoratori per interventi di manutenzione/riparazione/ modifica che si fossero resi eventualmente necessari, esso doveva essere ricompreso nella nozione di luogo di lavoro nel quale il responsabile della ditta avrebbe dovuto adempiere ai prescritti obblighi di sicurezza”.
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Note
[1] Cass., Sez. 4, n. 45808 del 27/6/2017
[2] Cass., Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013; Cass., Sez. 4, n. 28780 del 19/5/2011; Cass., Sez. 4, n. 40721 del 9/9/2015
[3] Cass. Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013; Cass., Sez. 4, n. 12223 del 3/2/2015
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