Profili generali e linee di disciplina della responsabilità dei magistrati nel sistema giuridico italiano.
Indice
1. Responsabilità dei magistrati: premessa
Il tema della responsabilità patrimoniale da danno ed il conseguente risarcimento di quanto cagionato nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, in uno alla responsabilità civile dei magistrati, sta agitando, più che in passato, le acque della politica italiana. Si susseguono disegni di legge in materia, unitamente a proposte di modifica alla legge attualmente disciplinante il risarcimento dei danni cagionati nel predetto esercizio, entrata in vigore il 16 aprile del 1988 [1].
Come noto la legge 117 venne sottoposta a referendum abrogativo e la Corte costituzionale, nel 2022, dichiarò inammissibile la richiesta referendaria popolare della legge 117, acclarandone la legittimità per il tramite di una sentenza asseverativa della costituzionalità dell’impianto risarcitorio e di responsabilità per i magistrati, profilato dal provvedimento legislativo.
La legge 117 è intestata al risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e alla responsabilità civile dei magistrati nell’area dell’ambito di applicazione chiarita dall’articolo 1 della medesima, per il tramite dell’individuazione dei soggetti, ai quali le disposizioni legislative in parola si applicano. Si tratta di tutti i magistrati contemplati dall’ordinamento giuridico italiano esercenti attività giudiziaria, a prescindere dalla natura delle funzioni, ivi inclusi quelli esercenti le proprie funzioni in organi collegiali.
Il compendio normativo in parola segue un viatico articolato in 19 disposizioni teso a tracciare la trama del tema epigrafato dal provvedimento normativo in commento, e in particolare individuando condizioni, presupposti e attività per ottenere il risarcimento del danno cagionato nei limiti prefissati dalla legge 117.
Il provvedimento normativo del 1988 in rassegna ha visto plurime modifiche ed integrazioni e oggi presenta un assetto tendenzialmente completo, ancorchè per taluni aspetti alquanto farragginosi [2].
Per l’effetto si rivela interessante sotto il versante pratico e didattico-scientifico, tracciare i profili di interesse delle fattispecie prevedute dalla legge 117, nei termini indicati. In quest’ottica tracceremo i motivi portanti del sistema con particolare riguardo alle condizioni per l’attivazione della legge, soffermando l’attenzione sui profili processuali e ordinamentali di maggiore interesse. Per altro, è opportuno sin da subito, sgombrare il campo da qualsiasi equivoco circa la natura della responsabilità di cui è parola nella legge 117.
La responsabilità della normativa in esame è di natura esclusivamente civile e, per come emerge nitidamente dall’articolo 9 della legge 117, non va assolutamente confusa con quella disciplinare o di altra natura [3].
2. Le condizioni e i presupposti di operatività della legge 117
Colui che ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato, con dolo o colpa grave, nell’esercizio delle sue funzioni, può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali. Medesimo potere spetta a chi ha subito un danno ingiusto per il cosiddetto diniego di giustizia.
Sbarramento normativo non dissimile da quello preveduto dalla normativa disciplinare è quello in virtù del quale non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella valutative dei fatti o probatoria. Costituisce per altro colpa grave la violazione manifesta della legge nonché del diritto U.E. il travisamento fattuale o probatorio, ovvero l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento, o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta altrettanto incontrastabilmente dagli atti del procedimento, ovvero ancora l’emissione di un provvedimento cautelare personale reale, fuori dai casi consentiti dalla legge, oppure senza motivazione [4].
Costituisce diniego di giustizia il rifiuto, l’omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell’atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente senza un motivo giustificato 30 giorni dalla data dal deposito in cancelleria. Se il termine non è previsto debbono in ogni caso decorrere inutilmente 30 giorni dalla data del deposito in cancelleria dell’istanza volta a ottenere il provvedimento. Col termine di 30 giorni può essere prorogato, prima della sua scadenza, dal dirigente dell’ufficio con decreto motivato non oltre i 3 mesi dalla data di deposito dell’istanza. Per la redazione di sentenze di particolare complessità il dirigente dell’ufficio, con ulteriore decreto motivato, adottato prima della scadenza, può aumentare fino ad altri 3 mesi il suindicato termine. Quando l’omissione o il ritardo senza giustificato motivo ineriscono alla libertà personale dell’imputato, il termine di cui sopra è ridotto a 5 giorni improrogabili a decorrere dal deposito dell’istanza o coincide con il giorno in cui si è verificata una situazione, ovvero è decorso un termine che rendano incompatibile la permanenza della misura restrittiva della libertà personale [5].
3. Lineamenti procedurali
L’azione di risarcimento del danno contro lo Stato deve essere esercitata nei confronti del presidente del Consiglio dei ministri [6]. L’azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti, avverso i provvedimenti cautelari e sommari e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento, ovvero se tali rimedi non sono previsti quando sia esaurito il grado del procedimento nell’ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno.
La domanda deve essere proposta a pena di decadenza entro 3 anni che decorrono dal momento in cui l’azione è esperibile. Da ciò si ricava con immediata evidenza che il termine decadenziale per proporre l’azione risarcitoria del danno è soggetto a un duplice ordine di condizioni e presupposti: l’azione deve essere esperibile nei termini suindicati e tale esperimento deve essere attuato entro e non oltre il triennio.
L’azione può essere esercitata decorsi 3 anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento nell’ambito del quale il fatto stesso si è verificato. Nei casi di diniego di giustizia su rassegnati, l’azione deve essere promossa entro 3 anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull’istanza. In nessun caso il termine decorre nei confronti della parte che non abbia avuto conoscenza del fatto, a cagione della segretezza investigativa.
Il tribunale adito, audite le parti in contraddittorio, delibera cameralmente sull’ammissibilità della domanda giudiziale. Agl’indicati fini il giudice alla prima udienza, rimette le parti innanzi al collegio che è tenuto a provvedere entro 40 giorni dal provvedimento di rimessione. Tra le cause di inammissibilità della domanda vi è in uno alla manifesta infondatezza quella del mancato rispetto dei termini e dell’assenza dei presupposti di cui ai temi della responsabilità per dolo o colpa grave del diniego di giustizia e della competenza.
Allorquando il tribunale dichiara ammissibile la domanda, dispone la prosecuzione del processo. È interessante rilevare che se la domanda è dichiarata ammissibile il tribunale ordina la trasmissione degli atti ai titolari dell’azione disciplinare.
Il magistrato il cui comportamento, atto o provvedimento, rileva in giudizio, non può essere chiamato in causa ma può intervenire in ogni fase e grado del procedimento quale interventore facoltativo; al fine di consentire lo spiegarsi di tale attività, il presidente del tribunale deve dargli comunicazione del procedimento almeno 15 giorni prima della data fissata per la prima udienza.
La decisione pronunciata nel giudizio promosso contro lo Stato non fa stato nel giudizio di rivalsa – giudizio di cui diremo subito appresso – se il magistrato non è intervenuto volontariamente in giudizio. Comunque non fa stato nel procedimento disciplinare.
Il magistrato cui viene addebitato il provvedimento non può essere assunto come teste né nel giudizio di ammissibilità né nel giudizio contro lo Stato.
4. Azione di rivalsa e competenza per la relativa azione e misura
Il presidente del Consiglio dei ministri, entro 2 anni dal risarcimento avvenuto sulla base di tiolo giudiziale o extra-giudiziale, ha l’obbligo di esercitare l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato; questo sia nel caso di diniego di giustizia, sia nei casi in cui la violazione manifesta della legge sia patente, sia nel caso in cui vi sia stato travisamento fattuale e/o probatorio, sia in quello in cui è stato violato il diritto U.E.. Presupposto comune a tutte le indicate ipotesi di rivalsa infra biennale è che le cause siano state determinate da dolo o negligenza inescusabile.
I giudici popolari rispondono soltanto in caso di dolo e la competenza per l’azione di rivalsa è attribuita esclusivamente al presidente del Consiglio dei ministri che ha l’obbligo di promuoverla. La promorrà davanti al tribunale determinato nelle forme e coi modi in precedenza indicati e la misura della rivalsa non può superare una somma pari alla metà di una annualità dello stipendio al netto delle trattenute fiscali percepito dal magistrato al tempo in cui l’azione risarcitoria è proposta, anche se dal fatto è derivato danno a più persone e queste hanno agito con distinte azioni di responsabilità. Tale limite non si applica al fatto commesso con dolo.
L’esecuzione della rivalsa, quando viene effettuata mediante trattenuta sullo stipendio, non può comportare complessivamente il pagamento per ratei mensili in misura superiore a 1/3 dello stipendio netto [7].
5. Conclusioni
Il percorso normativo compendiato dai 19 articoli che compongono la legge 117 evidenzia, come anticipato in premessa, talune farraginosità e lascia aperta la strada a tal altre perplessità ermeneutiche. Si pensi a titolo esemplificativo alla complessità della consistenza del concetto di travisamento fattuale o probatorio, di cui al fondamentale articolo 2, comma 3, ai fini dell’integrazione della responsabilità per colpa grave, ovvero a quelle passerelle, non richieste tra decisione pronunciata nel giudizio promosso contro lo Stato e procedimento disciplinare, nonché all’ambiguità della dicitura contenuta nell’articolo 9 sull’azione disciplinare.
Il presente lavoro ha però messo in evidenza come il meccanismo della proposizione dell’azione, della competenza e dei termini, dell’ammissibilità della domanda e della cosiddetta responsabilità indiretta del magistrato per il tramite dell’azione di rivalsa e della competenza per l’azione di rivalsa e misura della medesima sia tutto sommato idoneo al soddisfacimento delle esigenze sottese alla normativa in questione.
In buona sostanza ciò che si vuol sostenere, tirando le fila della prospettazione qui rassegnata, è che il sistema nella sua impostazione di fondo appare adeguato al soddisfacimento degli obiettivi che si era prefisso, ancorchè necessiti di un mirato restyling funzionale a renderlo più aderente alle esigenza di certezza del diritto e delle situazioni giuridiche soggettive dedotte in giudizio [8].
Nell’ambito delle presenti conclusioni vanno altresì rammentate talune disposizioni della legge 117 che fungono da raccordo con l’intero sistema normativo italiano.
Chi ha subito un danno in conseguenza di un fatto costituente reato, commesso dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni, ha diritto al risarcimento nei confronti del magistrato e dello Stato. In tal caso l’azione civile per il risarcimento del danno e il suo esercizio, anche nei confronti dello Stato come responsabile civile, sono regolati dalle norme ordinarie. All’azione di regresso dello Stato che sia tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato, si procede altresì secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti. Il mancato esercizio dell’azione di regresso comporta responsabilità contabile [9].
Le disposizioni della legge 117 non pregiudicano il diritto alla riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e ingiusta detenzione [10]. La legge 117 è altresì intervenuta, come già anticipato in precedenza, sulla responsabilità dei componenti degli organi giudiziari collegiali inserendo nel Codice di procedura penale e in quello del Codice di procedura civile – rispettivamente nell’articolo 148 e nell’articolo 131 – il meccanismo della cosiddetta dissenting opinion di ascendenza angloamericana. Per il tramite di tale meccanismo giuridico si è potuta profilare la responsabilità dei componenti i collegi giurisdizionali e si è potuto chiarire quali sono i presupposti e quali sono le condizioni per l’esercizio dell’azione di rivalsa nei confronti dei componenti un collegio giudiziario [11].
Da ultimo, sempre nell’ambito di raccordi normativi operati dalla legge 117 del 1988, va rammentato l’emendamento del capoverso dell’articolo 328 del Codice penale nella parte in cui statuisce che se il pubblico ufficiale è un magistrato vi è omissione o ritardo quando siano decorsi i termini previsti dalla legge perché si configuri diniego di giustizia. Così facendo il sistema normativo ha attuato un collegamento concettuale e giuridico con la definizione di diniego di giustizia contenuta nell’articolo 3 della legge 117 nei termini illustrati in precedenza.
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- [1]
Ci riferisce alla legge 13 aprile 1988, nr.117, di seguito nel testo indicata come legge 117, pubblicata nella gazzetta ufficiale del 15 aprile 1988, nr.88, ed entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella gazzetta ufficiale della Repubblica italiana ex art.19 della legge medesima, oggetto del presente lavoro.
- [2]
Le novelle succedutesi nel tempo possono essere enucleate cronologicamente come segue. Legge 2 dicembre 1988, nr.420; decreto legislativo 7 febbraio 2006, nr.62; legge 27 febbraio 2015 nr.18.
- [3]
Il procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari ha l’obbligo di esercitare l’azione disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa all’azione di risarcimento, salvo che essa azione non sia stata già proposta. Appare dirimente sul punto anche al fine di non equivocare i sensi dei due tipi di responsabilità, la lettura di un nostro contributo scientifico del 2020, dal titolo I doveri del magistrato nell’esercizio delle sue funzioni, per i tipi editoriali Maggioli.
- [4]
In materia non può non farsi rinvio ai lavori redatti dallo scrivente sulle tematiche disciplinati, tra i quali oltre quello citato nella nota precedente, anche quello relativo a Il trasferimento per incompatibilità ambientale e o funzionale del magistrato, 2021, per i tipi editoriali, Maggioli.
- [5]
Con la legge nr.18 del 2015 in precedenza citata l’originario comma 3 dell’articolo 2 sulla responsabilità per dolo o colpa grave è stato sostituito e scorporato anche col comma 3-bis afferente la violazione manifesta del diritto unionale.
- [6]
Competente è il tribunale del capoluogo del distretto della Corte di appello da determinarsi a norma dell’art.11 c.p.p. e dell’articolo 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p. approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, nr.271.
- [7]
Le disposizioni richiamate nel corpo del testo si applicano anche agli estranei partecipe nell’esercizio delle funzioni giudiziarie. Per essi la misura della rivalsa è calcolata in rapporto allo stipendio iniziale annuo al netto delle trattenute fiscali che compete al magistrato di tribunale e, se l’estraneo che partecipa all’esercizio delle funzioni giudiziari, percepisce uno stipendio annuo netto o reddito di lavoro autonome netto, inferiori allo stipendio iniziale del magistrato di tribunale, la misura della rivalsa è cslcolata in rapporto a tale stipendio o reddito al tempo in cui l’azione risarcitoria è proposta
- [8]
D’altro canto non è certo un caso che la Consulta più volte chiamata a pronunciarsi su profili di illegittimità costituzionale della normativa in parola abbia sempre ritenuto che l’impianto legislativo della legge 117 sia conforme al dettato costituzionale.
- [9]
Ai fini dell’accertamento dell’indicata responsabilità entro il 31 gennaio di ogni anno la Corte dei conti acquisisce informazioni dal presidente del Consiglio dei ministri e dal guardasigilli sulle condanne al risarcimento dei danni per fatti costituenti reato commessi dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni emesse nel corso dell’anno precedente e sull’esercizio della relativa azione di regresso. È la responsabilità civile per fatti costituenti reato nella prefigurazione normativa dell’articolo 13 della legge 117, così come novellata nel 2018 dalla citata legge 18.
- [10]
Tale proposizione normativa è di fondamentale importanza nel sistema risarcitorio qui scrutinato; infatti basti por mente al numero di casi che vedono acclarata una ingiusta detenzione in assenza di una riscontrata negligenza inescusabile nell’atto o provvedimento giudiziale che ha astretto il soggetto inframurariamente. Grazie a tale accorgimento legislativo il soggetto potrà comunque ottenere la riparazione ex articoli 314 e 315 c.p.p., che la legge 117 lascia nella loro autonomia procedurale.
- [11]
Proprio a tali ultimi propositi va menzionata la pronuncia della Corte costituzionale del 1989 che ha dichiarato la illegitimità delle disposizioni dell’art.16 della legge 117 nella parte in cui disponevano l’obbligatorietà della compilazione del sommario processo verbale, invece che la facoltatività dello stesso laddove uno dei componenti dell’organo collegiale lo richieda.
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