RESPONSABILITÀ MEDICA -La responsabilità della struttura privata
(estratto dal volume La Responsabilità Medica -dalla teoria alla pratica- pubblicato da Maggioli Editore autori Cannavò Giovanni – Liguori Michele – Orrico Marco-2011)
La responsabilità della struttura privata (Casa di Cura, Clinica, ecc.) è anch’essa, al pari di quella della struttura pubblica, di natura contrattuale. È stato sostenuto in dottrina che la responsabilità della struttura privata muta in base alle modalità di ricovero. In particolare, è stato ritenuto che:
“a) se il paziente si rivolge direttamente alla struttura sanitaria, della quale il medico è dipendente, la responsabilità contrattuale dell’Ente si fonda sul contratto stipulato dal paziente per l’effettuazione della prestazione sanitaria; |
b) nel caso, invece, in cui il rapporto sia sorto direttamente con un professionista di fiducia, ma sia stato comunque il paziente a rivolgersi, anche se su indicazione del medico di fiducia, alla struttura sanitaria, dell’intervento del medico quest’ultima sarà responsabile anche in virtù del principio del contatto sociale; |
c) solo nel caso in cui il contratto si sia concluso direttamente con il professionista e sia stato quest’ultimo a contattare la casa di cura, per l’affitto delle attrezzature o la locazione delle stanze, quest’ultima sarà responsabile solamente delle prestazioni accessorie concordate col paziente (es: assistenza infermieristica, sala operatoria, medicazioni, ecc.), svolgendo un ruolo di mero ausilio strutturale: detta responsabilità sarà, nel dettaglio, riconducibile all’art. 2050 c.c. se i mezzi usati dal medico siano pericolosi, o all’art. 2051 c.c., quale custode delle strutture o della apparecchiature, nel caso in cui il danno sia ascrivibile al mancato o difettoso uso delle stesse”( G. VANACORE e B. MANTILE, Ancora sulla responsabilità della struttura sanitaria da malpractice, in www.dannoepersona.it del 10 luglio 2009). |
Tale assunto è solo in parte condivisibile, in quanto deve ritenersi che la natura del rapporto contrattuale tra le parti e della conseguente responsabilità che ne deriva, non muta in base alle modalità di ricovero. Il paziente, infatti, sia se si rivolga direttamente alla struttura privata per l’esecuzione del contratto avente ad oggetto la prestazione di ricovero per assistenza terapeutica, sia se si rivolga indirettamente ad essa su consiglio del medico, sia se scelga direttamente il medico quale professionista esecutore della prestazione medica anche al di fuori dell’organizzazione della struttura privata che provvede a concludere il contratto di ricovero con la struttura privata, stipula con quest’ultima sempre e comunque un contratto avente ad oggetto la prestazione di ricovero per assistenza terapeutica. La natura contrattuale della responsabilità della struttura privata deriva, quindi, dalla qualificazione del contratto, avente ad oggetto prestazioni di ricovero per assistenza terapeutica, quale obbligazione soggettivamente complessa con prestazione indivisibile ad attuazione congiunta.
Il concetto di indivisibilità è espresso dall’art. 1316 c.c., che disciplina le obbligazioni indivisibili, il quale prevede che l’obbligazione è indivisibile, quando la prestazione ha per oggetto una cosa o un fatto che non è suscettibile di divisione per sua natura o per il modo con cui è stato considerato dalle parti contraenti.
L’indivisibilità, inoltre, si distingue in:
• soggettiva, quando i soggetti, dato lo scopo da realizzare, considerano indivisibile una prestazione per sua natura divisibile;
• oggettiva, quando è l’oggetto della prestazione a non poter essere suscettibile di divisione senza pregiudizio per il suo valore.
Quanto poi al dilemma se riferire il concetto di divisibilità e indivisibilità alla prestazione o all’oggetto della medesima, la dottrina riferisce tale concetto di indivisibilità all’oggetto della prestazione, poiché su di esso si concentra l’interesse del creditore. L’art. 1317 c.c., che disciplina le obbligazioni indivisibili, fa da trait d’union con l’art. 1292 c.c., che fornisce la nozione della solidarietà, in quanto prevede che alle obbligazioni indivisibili si applicano, in quanto compatibili, le norme relative alle obbligazioni solidali. Obbligazioni indivisibili e solidali (unitamente alle obbligazioni parziarie), infatti, fanno parte della più ampia categoria delle obbligazioni soggettivamente complesse data la comune presenza di una pluralità di rapporti (corrispondente alla pluralità dei soggetti).
Le obbligazioni con pluralità di soggetti ovvero obbligazioni soggettivamente complesse sono una categoria creata, in via di sintesi, dalla dottrina, che ha identificato quali elementi costitutivi: “anzitutto… una pluralità di soggetti…; in secondo luogo un’unica prestazione per tutti i più creditori o debitori (eadem res debita); in terzo luogo, un’unica causa (eadem res obligandi) che può essere rappresentata, secondo la previsione generale dell’art. 1173 c.c.…” (F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa. Profili sistematici, Giuffrè, Milano, 1974).
Il contratto avente ad oggetto prestazioni di ricovero per assistenza terapeutica costituisce un negozio atipico: l’interesse del paziente (che è quello di farsi curare) non rimane appagato con l’apprestamento dei locali, l’erogazione dei servizi alberghieri e di assistenza e con la messa a disposizione degli strumenti e delle apparecchiature sanitarie, ma riceve integrale soddisfazione soltanto con la contestuale esecuzione della prestazione professionale del medico, anche se di fiducia del paziente e scelto al di fuori dell’organizzazione della struttura privata.
Infatti, diversamente dalla normale ipotesi in cui l’organizzazione e la predisposizione dei mezzi necessari all’adempimento dell’obbligazione grava interamente sul debitore, nell’ipotesi di contratto avente ad oggetto prestazioni di ricovero per assistenza terapeutica, è il paziente (creditore) che deve attivarsi provvedendo a rifornire il professionista, al quale si è rivolto, dei mezzi necessari all’esecuzione della prestazione (medica o chirurgica), in quanto in difetto di essa non può trovare attuazione il rapporto d’opera professionale.
Si tratta, allora, di verificare se nell’ipotesi di ricovero presso struttura privata per l’esecuzione del contratto avente ad oggetto la prestazione di ricovero per assistenza terapeutica, si sia in presenza di un collegamento funzionale tra negozi che conservano la loro rispettiva autonomia in quanto fonti di distinti rapporti obbligatori, ovvero, come sembra più corretto, si sia in presenza di un’obbligazione plurisoggettiva ex latere debitoris, inquadrabile nella categoria delle “obbligazioni soggettivamente complesse con prestazione indivisibile ad attuazione congiunta” (in quanto un’esecuzione parziaria o non simultanea sarebbe inutiliter data, non essendo in grado di realizzare l’interesse del creditore).
Infatti, se è vero che l’unitarietà del risultato finale non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un unitario rapporto obbligatorio, potendo sempre il creditore realizzare il suo interesse anche mediante rapporti negoziali non collegati e non interdipendenti, tale ipotesi non sembra ricorrere nel caso di contratto di ricovero, in quanto:
• da un lato, l’obbligazione del professionista, anche se di fiducia del paziente e scelto al di fuori dell’organizzazione della struttura privata, si estende anche all’attività preliminare di verifica dell’idoneità della
struttura sanitaria in cui deve operare (funzionalità degli apparecchi, alle dotazioni di emergenza, all’adeguata sterilizzazione dei locali);
• dall’altro lato, la struttura privata accetta il paziente esclusivamente in relazione al tipo di trattamento terapeutico che questi deve ricevere (valutandolo compatibile con l’organizzazione e le strutture aziendali) ed in relazione alla capacità professionale del medico curante (e dunque secondo il personale gradimento espresso dalla struttura privata), a disposizione del quale dovranno essere messe le strutture tecniche e le risorse umane (infermieri, addetti all’assistenza in sala operatoria, addetti alla assistenza nel decorso post-operatorio) dell’azienda.
Il concreto atteggiarsi dei rapporti di questo tipo dimostra, pertanto, che il professionista si determina ad eseguire la prestazione in favore del paziente solo se può avvalersi della struttura organizzativa di una struttura privata da lui scelta, mentre, normalmente, la stessa si determina a concludere il contratto di ricovero per assistenza terapeutica soltanto se l’intervento viene eseguito nella propria struttura da un professionista gradito.
Il rapporto avente ad oggetto il ricovero in funzione di assistenza sanitaria può, quindi, configurarsi come obbligazione unitaria a carico di una pluralità di parti (il medico, o i medici facenti parte dell’équipe medica o chirurgica e la struttura privata) che, nell’esecuzione della prestazione, si articola in una serie di attività distinte (che non si identificano pertanto in altrettanti rapporti obbligatori) che si caratterizzano per il fatto della “indivisibilità temporale”, non potendo essere attuata la prestazione se non congiuntamente, mediante il simultaneo svolgimento di tali attività ed il coordinamento delle quali costituisce l’indispensabile momento organizzativo dell’esecuzione della prestazione dovuta in favore del paziente-creditore.
Né, di contro, è ostativa a tale schema, la riferibilità delle singole attività a ciascuno dei soggetti della parte complessa (i medici dell’équipe medica o chirurgica, eseguono materialmente la prestazione medica e/ o l’intervento, anche con diverse funzioni od incarichi, la struttura privata predispone e somministra i servizi), in quanto la contitolarità di un’unica obbligazione non esclude che l’esecuzione di essa renda necessarie attività materiali diverse, eseguite da soggetti diversi.
Se, dunque, l’obbligazione della struttura privata e quella dei medici dell’équipe medica o chirurgica costituiscono un’unica obbligazione soggettivamente complessa, ad attuazione congiunta, la responsabilità per inadempimento deve essere ricavata in via analogica, ex art. 12, comma 2, ultima ipotesi, disp. prel. c.c. – che è il metodo che assicura la completezza dell’ordinamento giuridico facendo ricorso, per colmare una lacuna del nostro ordinamento, all’intero complesso della legislazione vigente e, così, all’intero sistema legislativo – da quella dettata in materia di obbligazioni gravanti sui partecipanti alla comunione (in quanto fenomeno assimilabile alla contitolarità dei diritti/debiti) che prevede la responsabilità solidale per le obbligazioni assunte a favore della comunione (art. 1115 c.c.).
I medici dell’équipe medica o chirurgica e la struttura privata risponderanno, dunque, in solido in caso di insuccesso dell’intervento, rimanendo indifferente per il paziente titolare della posizione creditoria, in caso di inadempimento dell’obbligazione soggettivamente complessa, su quale dei soggetti debba gravare, nei rapporti interni, il peso economico del risarcimento del danno. Né, di contro, è ostativo a tale schema, il “principio di affidamento”, in virtù del quale ciascuno risponde delle conseguenze della propria condotta, commissiva od omissiva e nell’ambito delle proprie conoscenze e specializzazioni, mentre non risponde, invece, dell’eventuale violazione delle regole cautelari da parte di terzi.
Invero, detto principio, che è coerente applicazione del principio di personalità della responsabilità penale, si applica in tale diversa sede penale (Cass. pen. 22 maggio 2009 n. 32191, in Guida al diritto 2009, 40, 94).
Detto principio, in ogni caso, non va sempre ed automaticamente applicato (in sede penale) quando esistano altri partecipi della medesima attività o che agiscano nello stesso ambito di attività o nel medesimo contesto. Infatti, nell’ambito dell’attività medico-chirurgica svolta in équipe, è ius receptum che:
• “la possibilità di fare affidamento sull’altrui diligenza viene meno quando l’agente è gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi; o quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere che altri non si atterrà alle regole cautelari che disciplinano la sua attività” (Cass. pen. 8 ottobre 2009 n. 46741, in Guida al diritto 2009, 40, 94);
• “ciascun professionista, oltre ad agire con competenza e prudenza nell’ambito specificamente demandatogli, non può esimersi dal curare gli aspetti dell’atto medico che riguardano il comune coinvolgimento verso l’unico fine di cura del paziente. In conseguenza, ciascun medico non può isolarsi del tutto nel suo compito, ma deve altresì considerare e valutare l’attività dei colleghi…tale obbligo di controllo di attività poste in essere da specialisti di altre discipline si configura solo in presenza di errori evidenti e non settoriali, come tali rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista ordinario” (Cass. pen. 8 ottobre 2009 n. 46741, cit.);
• “si pone il problema dell’influenza della condotta colposa del terzo su quella dell’agente, che va risolto secondo la regola per cui l’agente ha l’obbligo di attivarsi, se ha la percezione (o dovrebbe averla) della violazione delle regole da parte degli altri partecipi nella medesima attività (per esempio, un’operazione chirurgica svolta in équipe) o se, comunque, si trova in una situazione in cui diviene prevedibile l’altrui inosservanza delle regole cautelari (che deve, quindi, avere caratteristiche di riconoscibilità). (Nella specie, la Corte ha ritenuto che non vi fossero elementi per addebitare il fatto alla responsabilità colpevole dell’anestesista, la cui responsabilità era stata affermata attraverso un improprio richiamo dei principi in tema di responsabilità di équipe; infatti, l’anestesista risultava avere svolto il proprio ruolo solo durante l’intervento chirurgico e non era stato chiamato a seguire il decorso postoperatorio del paziente, dove era stato ravvisato il comportamento colpevole che aveva provocato le lesioni al paziente, né il relativo intervento in quella sede era imposto dalle particolari condizioni del paziente; per l’effetto, poteva e doveva trovare piena applicazione il principio di affidamento, con conseguente annullamento senza rinvio in parte qua della decisione di condanna)” (Cass. pen. 22 maggio 2009 n. 32191, cit.);
• “il principio di affidamento non è di automatica applicazione quando esistano altri partecipi della medesima attività o che agiscano nello stesso ambito di attività o nel medesimo contesto. In questi casi, si pone il problema dell’influenza della condotta colposa del terzo su quella dell’agente, che va risolto secondo la regola per cui l’agente ha l’obbligo di attivarsi, se ha la percezione (o dovrebbe averla) della violazione delle regole da parte degli altri partecipi nella medesima attività (per esempio, un’operazione chirurgica svolta in equipe) o se, comunque, si trova in una situazione in cui diviene prevedibile l’altrui inosservanza delle regole cautelari (che deve, quindi, avere caratteristiche di riconoscibilità). (Nella specie, la Corte ha escluso che potesse invocare il principio di affidamento un medico chirurgo che, in occasione dell’effettuazione di un intervento chirurgico, aveva omesso di controllare la preparazione del composto medicinale da somministrare al paziente, che l’infermiere ferrista aveva predisposto somministrando per errore una sostanza diversa da quella prevista, determinando con ciò lesioni gravissime al paziente)” (Cass. pen. 28 maggio 2008 n. 24360, in Guida al diritto 2008, 31, 100.);
• “il principio di affidamento opera con precisi limiti quale criterio di distribuzione degli obblighi e delle responsabilità nell’ambito dell’attività medico-chirurgica svolta in équipe, per cui su ognuno dei medici che ha in cura il paziente incombe non solo l’obbligo di eseguire con diligenza e perizia i propri specifici compiti, ma anche l’obbligo di prevenire e neutralizzare l’altrui comportamento inosservante delle leges artis, con la conseguenza che in caso di mancato o scorretto adempimento di questo ulteriore dovere cautelare, è configurabile a suo carico una responsabilità penale per l’evento lesivo verificatosi” (Trib. Torino, I sez. pen., giud. mon. dott. Podda, 2 ottobre 2006, in Giur.merito 2007, 5, 1445);
• “di fronte ad ipotesi di cooperazione multidisciplinare nell’attività medico-chirurgica, sia pure svolta non contestualmente, ogni sanitario, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, è tenuto ad osservare gli obblighi ad ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico. Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio o facendo in modo che si ponga opportunamente rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali e, come tali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio” (Cass. pen. 24 gennaio 2005 n. 18548, in C.E.D. Cassazione 2005, Rv 231535; conf. Cass. pen. 11 ottobre 2007, in C.E.D. Cassazione 2007, Rv. 237891; Cass. pen. 16 luglio 2006, in C.E.D. Cassazione 2006, Rv. 234971.).
Deve, in definitiva, ritenersi che la struttura privata dove il paziente è stato ricoverato risponde dei danni, in solido con tutti i medici dell’équipe medica e chirurgica, quand’anche ciascuno di essi abbia stipulato con ilpaziente un contratto distinto ed autonomo, poiché la prestazione della struttura privata e quella dei medici sono collegate così strettamente da configurare un’obbligazione soggettivamente complessa con prestazione indivisibile ad attuazione congiunta, con la conseguenza che l’inadempimento contrattuale, o la responsabilità extracontrattuale, anche di uno soltanto dei coobbligati, obbliga anche gli altri al risarcimento (App. Napoli, IV sez. civ., rel. dott. Sena, sent. inedita 29 giugno 2007 n. 2283, F./Casa di Cura Villa Ester; Trib. Roma, XIII sez. civ. , giud. unico dott. Rossetti, 5 maggio 2007, in Red. Giuffrè 2008; Trib. Roma, XIII sez. civ., giud. unico dott. Rossetti, 8 aprile 2006, in Red. Giuffrè 2007; Trib. Roma, XII sez. civ., giud. unico dott. Rossetti, 14 novembre 2004, in Red. Giuffrè 2005; Trib. Roma, XII sez. civ., giud. unico dott. Rossetti, 5 agosto 2004, in Red. Giuffrè 2005; Trib. Roma, sent. inedita 28 aprile 2003, B./P., causa iscritta al n. 103848/99 del R.G.A.C.; Trib. Roma, sent. inedita 26 aprile 2003, A./A., causa iscritta al n. 86369/ 99 del R.G.A.C.; Trib. Roma 28 gennaio 2002, in Giur. Romana, 2002, 227; Trib. Roma 1 giugno 2001, in Giur. Romana, 2001, 354).
La responsabilità della struttura privata nei confronti del paziente ricoverato, pertanto, è sempre di natura contrattuale e consegue:
• ai sensi dell’art. 1218 c.c., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico quali, oltre a quelle di tipo lato sensu alberghiere, quelle di messa a disposizione di tutte le attrezzature necessarie all’intervento chirurgico richiesto, che devono essere idonee, adeguate e regolarmente funzionanti;
• ai sensi dell’art. 1228 c.c., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dai sanitari e dal personale medico, quali suoi ausiliari necessari pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costoro effettuata (nei locali di sua proprietà) e la sua organizzazione aziendale, anche e non solo in relazione al mero utilizzo dei locali o delle attrezzature.
La S.C. ha confermato tale assunto e ha sostanzialmente equiparato la responsabilità di una struttura privata per i danni cagionati ad un paziente ricoverato da prestazioni sanitarie di medici anche non dipendenti a quella della struttura pubblica. La S.C., in particolare ha affermato che “il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal S.s.n. o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), accanto a quelli di tipo lato sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell’ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 c.c., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell’art. 1228 c.c., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata affermata la responsabilità solidale con il chirurgo della società titolare della casa di cura, nella cui struttura era stato praticato ad una paziente l’intervento operatorio di liposuzione agli arti inferiori, al quale aveva fatto seguito un’infezione dannosa per la degente, così respingendo – siccome attinente a circostanze irrilevanti in diritto al fine di escluderne l’asserita responsabilità contrattuale – il motivo di impugnazione della stessa casa di cura con il quale era stato evidenziato che il chirurgo non svolgeva attività professionale alle sue dipendenze, che la clinica aveva fornito soltanto le attrezzature ed i servizi occorrenti per l’intervento chirurgico, ma non la sonda utilizzata dalla quale si era propagata l’infezione, e che i suoi dipendenti avevano agito sotto l’esclusiva sorveglianza del medico operatore, attuandone le disposizioni loro impartite)” (Cass. 14 giugno 2007 n. 13953, in Giust. civ. Mass. 2007, 6, in Resp. E risarc., 2007, 9, 69 e in Foro it., 2008, I, 1990; conf. Cass. 22 marzo 2007 n. 6945, in Resp. e risarc., 2007, 9, 69; Cass. 9 novembre 2006 n. 23918, in Resp. e risarc., 2007, 1, 44; Cass. 26 gennaio 2006 n. 1698, in Resp. e risarc., 2006, 3, 75; Cass. 4 maggio 2005 n. 9284, in Resp. e risarc., 2005, 5, 75; Cass. 13 gennaio 2005 n. 571, in Danno e resp., 2005, 563; Cass. 14 luglio 2004 n. 13066, in Danno e resp., 2005, 537 e in Mass. Foro it., 2004, 1009; sez. un. 1 luglio 2002 n. 9556, in Guida al diritto, 2002, 29, 46, con nota di F. MARTINI, in Foro it., 2002, 3060, con nota di A. PALMIERI e in Danno e resp., 2003, 97; Cass. 8 gennaio 1999 n. 103, in Danno e resp., 1999, 576 e 779 e in Mass. Foro it., 1999, 8; conf., per quanto concerne la giurisprudenza di merito, App. Napoli, III sez. civ., rel. dott. Fierro Cristini, sent. inedita 4 settembre 2007 n. 2732, P./Casa di Cura Villa Ester; App. Napoli, IV sez. civ., rel. dott. Sena, sent. inedita 29 giugno 2007 n. 2283, F./Casa di Cura Villa delle Quercie; App. Napoli, IV sez. civ., rel. dott. Sena, sent. inedita 29 giugno 2007 n. 2283, F./Casa di Cura Villa Ester; App. Napoli, III sez. civ., rel. dott. Carmelinda, sent. inedita 22 dicembre 2004 n. 3657, A./C.; Trib. Napoli, XII sez. civ., giud. unico dott. Gallo, sent. inedita 15 novembre 2004 n. 11677, A./R.; Trib. Napoli, IV sez. civ., giud. unico dott. Pastore, sent. inedita 11 giugno 2004 n.7033, L./Casa di Cura La Madonnina; Trib. Napoli, III sez. civ., giud. unico dott.Tagliatatela, sent. inedita 8 ottobre 2003 n. 10110, P./Clinica Mediterranea; Trib.Napoli 13 febbraio 1997, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, 984, con nota di LEPRE; Trib. Napoli 15 febbraio 1995, in Foro napoletano, 1996, 76).
Le sezioni unite, successivamente, hanno consacrato tale orientamento giurisprudenziale ed hanno definitivamente ed autorevolmente affermato che “la responsabilità della struttura sanitaria (va inquadrata) nella responsabilità contrattuale, sul rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto (Cass. n. 1698 del 2006; Cass. n. 9085 del 2006; Cass. 28 maggio 2004, n. 10297; Cass. 11 marzo 2002, n. 3492; 14 luglio 2003, n. 11001; Cass. 21 luglio 2003, n. 11316). A sua volta anche l’obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul “contatto sociale”, ha natura contrattuale (Cass. 22 dicembre 1999, n. 589; Cass. 29 settembre 2004, n. 19564; Cass. 21 giugno 2004, n. 11488; Cass. n. 9085 del 2006). Per diverso tempo tale legame contrattuale è stato interpretato e disciplinato sulla base dell’applicazione analogica al rapporto paziente-struttura delle norme in materia di contratto di prestazione d’opera intellettuale vigenti nel rapporto medico-paziente, con il conseguente e riduttivo appiattimento della responsabilità della struttura su quella del medico. Da ciò derivava che il presupposto per l’affermazione della responsabilità contrattuale della struttura fosse l’accertamento di un comportamento colposo del medico operante presso la stessa. Più recentemente, invece, dalla giurisprudenza il suddetto rapporto è stato riconsiderato in termini autonomi dal rapporto paziente-medico, e riqualificato come un autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive (da taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria) al quale si applicano le regole ordinarie sull’inadempimento fissate dall’art. 1218 c.c. Da ciò consegue l’apertura a forme di responsabilità autonome dell’ente, che prescindono dall’accertamento di una condotta negligente dei singoli operatori, e trovano invece la propria fonte nell’inadempimento delle obbligazioni direttamente riferibili all’ente. Questo percorso interpretativo, anticipato dalla giurisprudenza di merito, ha trovato conferma in una sentenza di queste sezioni unite (1 luglio 2002, n. 9556, seguita poi da altre delle sezioni semplici, Cass. n. 571 del 2005; Cass. n. 1698 del 2006) che si è espressa in favore di una lettura del rapporto tra paziente e struttura (anche in quel caso, privata) che valorizzi la complessità e l’atipicità del legame che si instaura, che va ben oltre la fornitura di prestazioni alberghiere, comprendendo anche la messa a disposizione di personale medico ausiliario, paramedico, l’apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie anche per eventuali complicazioni. In virtù del contratto, la struttura deve quindi fornire al paziente una prestazione assai articolata, definita genericamente di “assistenza sanitaria”, che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori. Così ricondotta la responsabilità della struttura ad un autonomo contratto (di spedalità), la sua responsabilità per inadempimento si muove sulle linee tracciate dall’art. 1218 c.c., e, per quanto concerne le obbligazioni mediche che essa svolge per il tramite dei medici propri ausiliari, l’individuazione del fondamento di responsabilità dell’ente nell’inadempimento di obblighi propri della struttura consente quindi di abbandonare il richiamo, alquanto artificioso, alla disciplina del contratto d’opera professionale e di fondare semmai la responsabilità dell’ente per fatto del dipendente sulla base dell’art. 1228 c.c. Questa ricostruzione del rapporto struttura – paziente va condivisa e confermata. Ciò comporta che si può avere una responsabilità contrattuale della struttura verso il paziente danneggiato non solo per il fatto del personale medico dipendente, ma anche del personale ausiliario, nonché della struttura stessa (insufficiente o inidonea organizzazione). Dalla ricostruzione in termini autonomi del rapporto struttura-paziente rispetto al rapporto paziente-medico, discendono importanti conseguenze sul piano della affermazione di responsabilità in primo luogo, ed anche sul piano della ripartizione e del contenuto degli oneri probatori. Infatti, sul piano della responsabilità, ove si ritenga sussistente un contratto di spedalità tra clinica e paziente, la responsabilità della clinica prescinde dalla responsabilità o dall’eventuale mancanza di responsabilità del medico in ordine all’esito infausto di un intervento o al sorgere di un danno che, come nel caso di specie, non ha connessione diretta con l’esito dell’intervento chirurgico. Non assume, in particolare, più rilevanza, ai fini della individuazione della natura della responsabilità della struttura sanitaria se il paziente si sia rivolto direttamente ad una struttura sanitaria del SSN, o convenzionata, oppure ad una struttura privata o se, invece, si sia rivolto ad un medico di fiducia che ha effettuato l’intervento presso una struttura privata. In tutti i predetti casi è ipotizzabile la responsabilità contrattuale dell’Ente. Inquadrata nell’ambito contrattuale la responsabilità della struttura sanitaria e del medico, nel rapporto con il paziente, il problema del riparto dell’onere probatorio deve seguire i criteri fissati in materia contrattuale, alla luce del principio enunciato in termini generali dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533, in tema di onere della prova dell’inadempimento e dell’inesatto adempimento” (Sez. un. 11 gennaio 2008 n. 577, in Resp. civ. e prev., 2008, 4, 849; conf., per quanto concerne la giurisprudenza di merito successiva, Trib. Napoli, XII sez. civ., rel. dott. Sorrentino, sent. inedita 1 marzo 2011 n. 2321, C./Clinica Villaba; App. Napoli, III sez. civ., rel. dott. Migliucci, sent. inedita 29 dicembre 2010 n. 4340, R./Casa di Cura Maria Rosaria; Trib. Modena 25 agosto 2008 n. 1271, in www.giurisprudenzamodenese.it.).
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento