Cass. pen. Sez. III, 23 gennaio 2018, n. 6220
Severa decisione della Cassazione in tema di responsabilità penale del nuovo amministratore societario per violazioni tributarie ed in particolare per il mancato pagamento delle ritenute e degli acconti IVA.
Sommario. 1.Il caso– 2.Peculiarità della pronuncia – 3. Volume
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Il caso
Ribadendo un suo orientamento – che risulta ormai consolidato – la Cassazione, con la sentenza n. 6220/2018, afferma che il soggetto che subentri ad altri nella carica di amministratore (o anche liquidatore) di una società dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, risponde dei reati di omesso versamento di ritenute dovute o certificate e di IVA, di cui agli artt. 10-bis e 10-ter, D.Lgs. n. 74/2000(1). Trattasi di soluzione presumibilmente obbligata per ragioni di opportunità: laddove infatti si ritenesse che il nuovo amministratore non risponde dell’omesso versamento delle imposte allorquando l’inadempimento sia ascrivibile alla condotta del precedente dirigente che ha abbandonato la carica, lasciando la società in condizioni patrimoniali tali da non poter adempiere le obbligazioni fiscali, diventerebbe agevole l’aggiramento di tale obbligo bastando che prima della scadenza del termine per il pagamento delle imposte vi sia un avvicendamento nella gestione della società, sicché del mancato versamento delle tasse non risponderebbe né il precedente né il nuovo amministratore.
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Peculiarità della pronuncia
Le problematiche connesse al subentro di un nuovo soggetto nella carica di amministratore di una società ed al riparto di responsabilità penali fra questo soggetto ed il precedente dirigente dell’impresa sono state affrontate dalla giurisprudenza prevalentemente con riferimento al reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture relative alle operazioni inesistenti di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000.
La circostanza che tale reato si perfezioni solo con la presentazione della dichiarazione in cui sono inserite le fatture mendaci rende infatti problematica l’individuazione del soggetto responsabile in presenza di una dichiarazione fiscale presentata per conto di una società allorché tale comunicazione sia sottoscritta da un amministratore subentrato al precedente – cui invece si deve la registrazione ed acquisizione delle fatture mendaci ma cessato dalla propria carica anteriormente alla scadenza del termine per l’adempimento fiscale.
Nulla quaestio nel caso in cui il secondo amministratore sia consapevole della mendacità dell’elemento passivo utilizzato, posto che in questo caso egli risponderà sicuramente – unitamente a chi lo ha preceduto – del reato in parola; laddove invece solo l’amministratore cessato dalla carica sia consapevole della falsità, che non viene portata a conoscenza del successore, il reato si perfezionerà sempre con la presentazione della dichiarazione, ma dell’illecito risponderà, quale “autore mediato” ed ai sensi dell’art. 48 c.p., solo il primo amministratore, avendo egli tratto in inganno il suo successore ed avendolo così indotto a presentare una mendace comunicazione all’erario(2).
Come detto, tale conclusione non è accolta dalla Corte di legittimità con riferimento ai reati di omesso versamento delle ritenute ed omesso versamento degli acconti IVA, illeciti dei quali risponde solo chi riveste la carica di amministratore al momento della scadenza del pagamento del debito tributario, andando invece penalmente esente da ogni responsabilità il precedente amministratore quand’anche quest’ultimo abbia intenzionalmente abbandonato la carica nell’immediatezza della scadenza del termine e nella consapevolezza che la società da lui fino a quel momento amministrata non era minimamente in grado di saldare il debito erariale.
Le ragioni per cui la Cassazione perviene a tale conclusione possono sostanzialmente essere individuate nel particolare elemento soggettivo che caratterizza i reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter, D.Lgs. n. 74/2000.
Ribadendo un insegnamento delle Sezioni Unite, la sentenza in epigrafe afferma che ai fini della sussistenza di tali reati non è necessario il dolo specifico, ovvero la volontà di evasione fiscale, ma il solo dolo generico, essendo sufficiente che l’imputato sia consapevole di non operare un versamento che sappia dovuto(3); non essendo richiesto il dolo specifico, la Cassazione ritiene che i reati in discorso siano punibili anche a titolo di dolo eventuale per cui tali illeciti sussistono anche quando un soggetto subentri nella carica di amministratore dopo la dichiarazione d’imposta e prima della scadenza di versamento, senza aver compiuto il previo controllo, di natura puramente documentale, sugli adempimenti fiscali e senza aver verificato se la società sia o meno in grado di farvi fronte.
In sostanza secondo questa giurisprudenza, l’assunzione della carica di amministratore comporta l’obbligo di procedere ad una verifica, per quanto non particolarmente approfondita, della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, ove ciò non avvenga, è evidente che colui che subentra nella carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare dalle pregresse inadempienze.
La sentenza n. 6220/2018 in commento, poi, si caratterizza per un’altra affermazione di particolare severità in base alla quale il reato di omesso versamento degli acconti IVA ha carattere istantaneo e consiste nel mancato versamento all’erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che è svincolato dalla effettiva riscossione delle somme – corrispettivo relative alle prestazioni effettuate, per cui la circostanza che il regime applicabile nel periodo di imposta considerato nella vicenda esaminato fosse quello “per competenza” obbligava il contribuente al versamento dell’imposta a prescindere dalla riscossione degli importi relativi alle prestazioni effettuate, rendendo dunque irrilevante la circostanza della esistenza di crediti non riscossi.
Va evidenziato, tuttavia, che tale atteggiamento di indifferenza nei confronti delle condizioni economiche del contribuente risulta smentito da una successiva decisione della Cassazione intervenuta un paio di giorni dopo la sentenza in epigrafe: con la pronuncia n. 6737 del 12 febbraio 2018 inerente al mancato versamento delle ritenute, i giudici di legittimità hanno affermato che “l’omesso versamento in una situazione di crisi simile può non integrare il reato, o sotto un profilo dell’elemento soggettivo o sotto il profilo della esimente rappresentata dalla forza maggiore“, sostenendo in particolare che il dolo richiesto per la sussistenza dei reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter, D.Lgs. n. 74/2000 non può consistere nella mera consapevolezza di omettere il versamento, ma richiede anche la “consapevolezza della illiceità della condotta che viene investita dalla volontà”, consapevolezza che può mancare quando il contribuente imprenditore omette di versare le imposte per far fronte – come la Cassazione ipotizza essere avvenuto nel caso di specie – ad esigenze personali e di vita dei dipendenti della società.
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Note
(1) In precedenza, nello stesso senso Cass., Sez. III, 4 giugno 2014, n. 38687; Id., 9 ottobre 2013, n. 3636.
(2) In senso contrario però Cass., Sez. III, 27 aprile 2012, n. 23229, in Mass. Uff. n. 252999, secondo cui “non risponde del reato di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, nemmeno a titolo di tentativo, l’amministratore di una società il quale, dopo aver acquisito e registrato una fattura per operazioni inesistenti, sia cessato dalla carica prima della presentazione della dichiarazione fiscale per la cui redazione la medesima fattura venga poi utilizzata dal suo successore”.
In dottrina, Fico, “Utilizzazione di fattura per operazioni inesistenti da parte dell’amministratore succeduto”, in Cass. pen., 2013, pag. 4138.
(3) Cass., SS.UU., 28 marzo 2013, n. 37424.
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