Il Consiglio di Stato viene chiamato in sede giurisdizionale a dirimere la “querelle” tra la resistenza di un comune italiano e la Società appellante, la quale, con la sentenza in epigrafe, ha ritenuto di essere stata privata, a suo dire ingiustamente, del diritto al risarcimento ad essa spettante in virtù di un pregiudizio economico patito a causa di un danno da provvedimento illegittimo. I giudici di Palazzo Spada ci ricordano attraverso la sentenza in commento che la richiesta di risarcimento può essere riconosciuta qualora siano presenti contestualmente il dato oggettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa, l’elemento soggettivo nonché il nesso causale tra l’illecito commesso ed il danno subito.
Indice
1. La vicenda
Il Tar Campania nel 2021 ha respinto le richieste avanzate dalla società in quanto ha ritenuto che l’interesse legittimo pretensivo vantato non fosse fondato. Lo stesso, che consiste nel trarre un’utilità dal corretto esercizio di una pubblica potestà, avrebbe dovuto essere concesso, si legge nel ricorso, in modo che la Società avrebbe potuto avviare l’attività di autolavaggio aspirata (che insisteva su un’area già destinata a parcheggio) e richiesta al comune con la presentazione, nel 2013, di regolare s.c.i.a.. L’appellante si vedeva rigettare l’istanza in quanto non compatibile con la destinazione urbanistica e ricorreva quindi al tribunale amministrativo di primo grado, il quale ravvisava la violazione dell’art. 19 della L. n. 241/90, l’eccesso di potere ed il difetto di istruttoria in capo all’ente e per l’effetto annullava la nota dirigenziale di rigetto, salvando comunque gli ulteriori provvedimenti amministrativi. Forte di tale pronuncia la società si rivolge nuovamente al tribunale di prime cure amministrative chiedendo il risarcimento per i mancati guadagni dal 2013 con un articolato motivo di doglianza “error in judicando – error in procedendo – errata applicazione delle norme e dei principi generali in tema di responsabilità per colpa della pubblica amministrazione — errata applicazione dei principi generali in tema di determinazione e liquidazione del danno, sia con riferimento al danno emergente sia con riferimento al lucro cessante”. Questa volta il TAR, con la sentenza in epigrafe, respinge il ricorso perché infondato, condannando la società anche al pagamento delle spese di lite. La società, non volendo lasciare niente di intentato ricorre al Consiglio di Stato, il quale ritiene l’appello infondato. Vediamo perché.
2. Responsabilità e requisiti per il risarcimento
La responsabilità di una amministrazione per i danni causati in seguito all’emanazione di un provvedimento, che poi dovrebbe risultare illegittimo, non è di facile attribuzione o, meglio, occorrono una serie di comportamenti non idonei degli organi che hanno preso parte al procedimento che devono rivelarsi gravi e commessi in un contesto fattuale preciso all’interno di un quadro giuridico-normativo peraltro tale da evidenziarne la colpa e che comunque portino ad accertare come l’ente abbia agito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l’esercizio della sua funzione deve costantemente ispirarsi nell’adozione di un provvedimento. La colpa della pubblica amministrazione va individuata nella violazione di quei canoni che estrapolano comportamenti negligenti, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili (Consiglio di Stato, sez. III, 15 maggio 2018, n. 2882).
Nel verificare la lesione dell’interesse legittimo in capo all’utente, non è sufficiente che questo venga da solo leso, seppur condizione necessaria, se non unitamente all’interesse materiale al quale il soggetto aspira. Occorre provare, ai fini del risarcimento del danno da provvedimento illegittimo, che siano concorsi l’elemento oggettivo e quindi l’illegittimità del provvedimento amministrativo (sostanzialmente l’ingiustizia del danno e quindi prova del pregiudizio subito e nesso causale) ed il dato soggettivo (dolo o colpa) inteso come amministrazione nella sua interezza e non del singolo operatore.
Quando il provvedimento è contrario alla normativa di legge, di per sé potrebbe anche dar vita ad una richiesta di risarcimento, restando a carico all’amministrazione l’onere di dimostrare, per declinare la responsabilità, la complessità della situazione fattuale, l’assenza di chiarezza della normativa che dovrebbe portare alla decisione oppure l’esistenza di giurisprudenza contrastante; dimostrare in sostanza che l’errore sia giustificabile come nel caso in esame. Quindi per quanto la Società possa limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto per accedere alla richiesta del risarcimento, tale presunzione di colpevolezza della PA viene riconosciuta e provata unitamente ad altri fattori e come ci hanno già ricordato i giudici del Supremo Consesso Amministrativo, la responsabilità di una amministrazione è accertata nel momento in cui viene a palesarsi la sua negligenza e imperizia in riferimento alla gravità della violazione (Consiglio di Stato, sez. III, 11 marzo 2015, n. 1272) tenendo conto peraltro del comportamento complessivo degli organi che sono intervenuti nel procedimento (Consiglio di Stato, sez. III, 14 maggio 2015, n. 2464) i quali hanno agito in un contesto di circostante fattuali e in un perimetro normativo che ha condotto all’illecito. La colpa dell’amministrazione quindi affinché sia configurata deve emergere chiaramente ed il giudice, nel concedere la tutela amministrativa, deve verificare non solo l’acclarata responsabilità dell’amministrazione nell’adozione di un provvedimento illegittimo che nega il bene della vita spettante, ma deve rinvenire una gravità nell’agire tale da attribuirle quantomeno la colpa, secondo quelli che sono agli insegnamenti dell’art. 97 della Costituzione ovvero quando il comportamento si pone in contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa. In buona sostanza, la giurisprudenza si è già espressa concludendo che <<ai fini dell’accertamento della responsabilità, perché si configuri la colpa dell’amministrazione, occorre avere riguardo al carattere ed al contenuto della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, in caso di sua violazione, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico. Al contrario, se il canone della condotta amministrativa è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’autorità pubblica un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà sussistere solo nelle ipotesi in cui il potere è stato esercitato in palese spregio delle menzionate regole di imparzialità, correttezza e buona fede, proporzionalità e ragionevolezza, con la conseguenza che ogni altra violazione del diritto oggettivo resta assorbita nel perimetro dell’errore scusabile, ai sensi dell’art. 5 c.p.>> (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 21 aprile 2023 n. 4050).
Che debba sussistere il nesso di causalità è pacifico. Al di là che è stato più volte ribadito in vari passaggi da tutte le Corti è oggettivamente corretto e facilmente spiegabile dal fatto che vi è un’imprescindibile collegamento tra l’atto illegittimo e l’evento verificatosi a discapito del soggetto, il cosiddetto “legame eziologico” e che, se la condotta antigiuridica non ci fosse stata non si sarebbe prodotto neanche l’evento dannoso.
3. La decisione
Alla luce delle esposte considerazioni la giurisprudenza ha comunque avuto un indirizzo pressoché costante nel richiedere la prova dei requisiti come precisati sopra e l’organo giudicante non sarebbe neanche tenuto a verificare le cause di illegittimità del provvedimento in caso di accertata assenza di un solo elemento costitutivo dell’illecito vista la “naturale” assorbenza che assume ognuno.
Il Consiglio di Stato si pronuncia definitivamente respingendo l’appello della società perchè non è stato dimostrato che la società avrebbe avuto titolo ad avviare l’attività richiesta in quanto da una parte sono assenti, dall’altra sono rimasti incontestati, i provvedimenti che avrebbero legittimato l’appellante a vedersi riconoscere quanto desiderato. Ma anche volendo, a tutto concedere, la zona sulla quale avrebbe dovuto sorgere l’attività era divenuta soggetta ai limiti edificatori in seguito alla decadenza del vincolo espropriativo e gli interventi programmati per avviare l’autolavaggio non sarebbero, allo stato dei fatti, consentiti.
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