Abstract
Ad avviso del Ministero del lavoro, la previsione normativa di cui al comma 8 bis dell’art. 51 del TUIR è limitata all’ambito fiscale, e costituisce, di fatto, un’eccezione al principio di armonizzazione delle basi imponibili fiscali e previdenziali. Tale impostazione, condivisa dall’INPS e confermata anche dal decreto 28 gennaio 2009 del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 25 del 31 gennaio 2009, comporta dei riflessi rilevanti per i lavoratori italiani assegnati in Paesi con i quali siano in vigore appositi accordi in materia di sicurezza sociale.
L’obiettivo delle presenti note è di illustrare le modalità di utilizzo delle retribuzioni convenzionali nella determinazione della base imponibile fiscale e previdenziale dei lavoratori italiani inviati all’estero e di illustrare i principali orientamenti in merito della dottrina.
1. Premessa
Nei casi di assegnazione all’estero di personale italiano, al verificarsi delle condizioni previste dal comma 8 bis dell’art. 51 del D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986 (d’ora in avanti TUIR), le imposte dovute in Italia devono essere calcolate utilizzando, come base imponibile, le retribuzioni convenzionali. La dottrina maggioritaria, in virtù del principio di equiparazione delle basi imponibili fiscali e previdenziali operata dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, ha desunto che in tali fattispecie le retribuzioni convenzionali debbano essere utilizzate anche per il calcolo dei contributi obbligatori in Italia.
Al contrario, il Ministero del lavoro e l’INPS hanno sostenuto che la previsione di cui al comma 8 bis dell’art. 51 esplica i propri effetti unicamente in campo fiscale e non anche in quello contributivo. Tale impostazione restrittiva sembra trovare conferma anche nel recente decreto 28 gennaio 2009 del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 25 del 31 gennaio 2009 che, nel fissare le retribuzioni convenzionali per il 2009, stabilisce che le stesse debbano essere prese “a base per il calcolo dei contributi dovuti per le assicurazioni obbligatorie dei lavoratori italiani operanti all’estero ai sensi del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398, nonché per il calcolo delle imposte sul reddito da lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 51, comma 8-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.
2. Le retribuzioni convenzionali: evoluzione legislativa
Sino al 1° gennaio 2001, le retribuzioni convenzionali
[1] sono state utilizzate, ai sensi della L. n. 398 del 3 ottobre 1987, unicamente per il calcolo dei contributi dovuti in Italia dai lavoratori inviati all’estero. In particolare, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale del 30 dicembre 1985, n. 369 e al fine di tutelare il lavoratore italiano inviato all’estero in Paesi con i quali l’Italia non abbia stipulato una convenzione di sicurezza sociale, ovvero la convenzione in vigore non preveda la completa copertura contributiva, la L. n. 398 del 3 ottobre 1987 ha previsto l’obbligo di versamento in Italia di una serie di assicurazioni utilizzando, come base imponibile, le retribuzioni convenzionali
[2]. In tutti gli altri casi, laddove gli accordi consentano la prosecuzione del mantenimento della copertura assicurativa in Italia, in deroga al principio del criterio della territorialità i datori di lavoro possono continuare a versare i contributi previdenziali in Italia sulla base delle retribuzioni effettive corrisposte ai lavoratori all’estero. Viceversa, dal punto di vista fiscale, i redditi di lavoro dipendente prestati all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto venivano esclusi, sulla base del disposto della lettera c) del terzo comma dell’art. 3 del TUIR, da imposizione in Italia.
Particolari problemi sono sorti a partire dal 2001 con l’abrogazione dell’agevolazione fiscale concessa ai dipendenti all’estero ad opera del D.Lgs. n. 314 del 2 settembre 1997
[3], e la contemporanea introduzione, mediante la L. n. 342 del 21 novembre 2000, del comma 8
bis dell’art. 51 del TUIR
[4]. Nello specifico, il comma 8
bis ha previsto che, nel rispetto di determinate condizioni, le retribuzioni convenzionali adottate ai fini previdenziali venissero utilizzate anche come base imponibile ai fini fiscali, in deroga alle disposizioni che impongono la determinazione analitica dei redditi di lavoro dipendente
[5].
Sulla base del principio dell’equiparazione degli imponibili fiscali e previdenziali, introdotta dallo stesso D.Lgs. n. 314 del 2 settembre 1997, non riscontrandosi alcuna eccezione esplicita nella normativa che escluda l’utilizzo della retribuzione convenzionale ai fini contributivi nei casi previsti dal comma 8 bis dell’art. 51 del TUIR, la dottrina maggioritaria è pervenuta alla logica conclusione che, a partire dal 1° gennaio 2001, qualora il dipendente risponda ai requisiti della normativa fiscale per l’utilizzo delle retribuzioni convenzionali, le medesime retribuzioni debbano essere adottate anche ai fini previdenziali, indipendentemente dal Paese di assegnazione.
3. L’interpretazione del Ministero del lavoro
Con nota del 19 gennaio 2001, il Ministero del lavoro ha sostenuto, con un intervento in via interpretativa, che le disposizioni di cui al comma 8
bis dell’art. 51 del TUIR sono limitate all’ambito fiscale e non anche a quello previdenziale, confermando le regole di imposizione contributiva sino a quel momento in vigore. Ne consegue che, nel caso di distacchi all’estero di lavoratori italiani in Paesi con i quali l’Italia abbia stipulato e ratificato un accordo di sicurezza sociale
[6], se vengono rispettate le condizioni poste della norma fiscale in commento e la convenzione prevede la possibilità di continuare a versare i contributi in Italia, le imposte devono essere calcolate sulle retribuzioni convenzionali, mentre i contributi vanno determinati sulle retribuzioni effettivamente erogate.
Nello specifico, il Ministero, non ha fondato la propria tesi su un effettivo riscontro normativo, ma ha ricostruito la disciplina applicabile sulla base dell’analisi dei principi generali e di una serie di considerazioni.
Una prima considerazione riguarda il principio ispiratore delle normative fiscali e previdenziali che prevedono l’adozione delle retribuzioni convenzionali. La nota del Ministero sottolinea che: “… il principio ispiratore della legge n. 342/2000 è lo stesso della legge n. 398/1987. Entrambe le normative, cioè, si applicano nei casi in cui vi sia doppia imposizione, in Italia e all’estero” ed occorre tenere conto che “… le convenzioni per evitare la doppia imposizione fiscale e le convenzioni di sicurezza sociale seguono regole diverse. Mentre nelle prime è prevista, di norma, la competenza concorrente dell’Italia e del Paese estero, nelle seconde è previsto l’esonero dall’obbligo contributivo nel Paese di occupazione con l’applicazione del solo regime previdenziale italiano”.
Una seconda considerazione è relativa alle preoccupazioni del Ministero sulle conseguenze derivanti dall’adozione di un’interpretazione estensiva che risulterebbe “… penalizzante per il finanziamento del sistema previdenziale, con una riduzione delle entrate, ancorché parzialmente compensata da una riduzione delle corrispondenti prestazioni, ma soprattutto per il lavoratore che, in virtù del calcolo contributivo introdotto dalla legge n. 335/1995, vedrebbe ridotto l’importo del trattamento pensionistico”.
Infine, il Ministero rileva come la riduzione della copertura previdenziale conseguente all’adozione delle retribuzioni convenzionali ai fini previdenziali nei casi previsti dal comma 8 bis dell’art. 51 del TUIR “[…] esporrebbe l’Italia nell’Unione Europea sul piano della responsabilità per la violazione del principio della libera circolazione. […] tra gli effetti distorsivi può essere segnalata anche la disparità di trattamento che, per gli aspetti previdenziali, si verrebbe a creare tra i lavoratori che soggiornano all’estero per periodi inferiori o superiori ai 183 giorni. Tale discrimine, se ha la sua ragion d’essere nel campo fiscale, in quanto legato al concetto di “residenza fiscale”, perde ogni significato se trasportato nel campo previdenziale, ove il concetto di “residenza” non rileva”.
Tale impostazione, integralmente accolta dall’INPS con circolare n. 86 del 10 aprile 2001, e successivamente ribadita da altri interventi dello stesso Istituto
[7], sembra trovare conferma anche nei decreti ministeriali di individuazione delle retribuzioni convenzionali. Da ultimo il decreto 28 gennaio 2009 del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 25 del 31 gennaio 2009, nell’individuare le retribuzioni convenzionali per il 2009, stabilisce che le stesse debbano essere prese “
a base per il calcolo dei contributi dovuti per le assicurazioni obbligatorie dei lavoratori italiani operanti all’estero ai sensi del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398, nonché per il calcolo delle imposte sul reddito da lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 51, comma 8-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917” e non anche nei casi di invio all’estero di personale italiano che rispetta i requisiti di cui al comma 8 bis dell’art. 51 del TUIR.
4. La posizione della dottrina prevalente
Come anticipato, la dottrina prevalente ha espresso dubbi e critiche sull’interpretazione restrittiva del Ministero del lavoro (e dell’INPS), laddove non effettua una specifica analisi del dato normativo, ma si affida ad una ricostruzione basata sui principi generali
[8]. In particolare, nei casi in cui vengano rispettate le condizioni di cui al comma 8
bis dell’art. 51 del TUIR, l’adozione delle retribuzioni convenzionali come base imponibile ai fini previdenziali discende direttamente dal combinato disposto delle disposizioni contenute nello stesso comma 8
bis e dell’art. 12 della L. n. 153 del 30 aprile 1969, come modificato dal D.Lgs. n. 314 del 2 settembre 1997
[9]. Nel rispetto del principio di armonizzazione delle basi imponibili fiscali e previdenziali introdotto, a partire dal 1° gennaio 1998, dallo stesso D.Lgs. 314 del 1997, l’art. 12 della L. n. 153 del 30 aprile 1969 prevede che “
costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini contributivi quelli di cui all’articolo 46 (ora art. 49, n.d.A.), comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, maturati nel periodo di riferimento”. Inoltre, il secondo comma stabilisce che “
per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale si applicano le disposizioni contenute nell’art. 48 (ora art. 51, n.d.A.) del Tuir, salvo quanto specificato nei seguenti commi”. Tra le esclusioni dal principio di armonizzazione delle basi imponibili fiscali e previdenziali previste dal quarto comma, e definite come tassative dal quinto comma del medesimo articolo, non si rinviene quanto previsto dal comma 8
bis dell’art. 51. Pertanto, la dottrina maggioritaria
[10] ne fa discendere che, nei casi in cui ad un lavoratore dipendente si renda applicabile il disposto di cui al comma 8
bis dell’art. 51 del TUIR, in ogni caso i contributi dovuti in Italia devono essere determinati sulla base delle retribuzioni convenzionali, a prescindere dall’esistenza o meno di un accordo di sicurezza sociale con lo Stato estero di assegnazione.
5. Conclusioni
La tesi restrittiva del Ministero del lavoro e dell’INPS che individua nelle retribuzioni effettive la base imponibile per il calcolo dei contributi dovuti in Italia dai lavoratori italiani assegnati in Paesi convenzionati in materia di sicurezza sociale, è stata fortemente criticata dalla dottrina prevalente. L’intervento del Ministero suscita perplessità, soprattutto nella sua ricostruzione normativa ed è forte il timore che si sia voluto limitare l’intenzione del legislatore di armonizzare le basi imponibili fiscali e previdenziali per salvaguardare le necessità di gettito e di finanziamento del sistema previdenziale italiano. Laddove quanto chiarito dal Ministero dovesse rappresentare la vera intenzione del legislatore, risulterebbe oltremodo opportuna una modifica dell’art. 12 della L. n. 153 del 30 aprile 1969.
di Andrea Costa
Dottore Commercialista e Revisore Contabile in Roma
[1] Le retribuzioni convenzionali vengono determinate annualmente con decreto ministeriale e consistono in importi forfetari determinati sulla base delle retribuzioni previste nei contratti collettivi. A prescindere da quanto effettivamente corrisposto al lavoratore in costanza di assegnazione estera, è esente da imposizione quella parte della retribuzione e degli eventuali
benefit che eccedono il limite retributivo fissato da tali retribuzioni.
[2] Per un approfondimento si veda A. Costa, Distacco all’estero dei lavoratori italiani. Aspetti amministrativi, previdenziali e fiscali della gestione degli expatriates, in Lav. prev. oggi, 2008, 3, 402 e ss. La legge 3 ottobre 1987, n. 398 prevede che, nel caso di assegnazioni in Paesi extra comunitari non convenzionati, i lavoratori italiani inviati all’estero vengano obbligatoriamente iscritti in Italia ad una serie di forme di previdenza e di assistenza sociale (I.V.S., assicurazione contro la tubercolosi, disoccupazione involontaria, assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali, assicurazione di maternità).
[3] Per i profili critici connessi all’abrogazione della lettera c) dell’art. 3 del TUIR si veda F. Crovato, I redditi di lavoro dipendente nel sistema delle imposte sui redditi, Padova, 2001, 307 e ss.; S. D’Andrea, Il dipendente all’estero paga le tasse in Italia, in Il Sole 24 Ore, del 27 ottobre 2008, 41. Si veda inoltre Cass. 12201/02, n. 1540/03, n. 251/04, n. 13053/04, n. 24455/08 e la circolare Assonime n. 17 del 16 marzo 2001.
[4] Il comma 8 bis dell’art. 51 del TUIR trova applicazione per i soggetti residenti in Italia e recita “In deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8, il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398”. Ad ogni modo, la disposizione contenuta nel comma 8 bis dell’art. 51 del TUIR non trova attuazione qualora il dipendente sia distaccato presso un Paese con il quale l’Italia abbia stipulato un accordo per evitare le doppie imposizioni e lo stesso preveda la tassazione esclusivamente nel Paese estero, trovandosi applicazione il principio di prevalenza della convenzione sulle disposizioni fiscali interne.
Per individuare i criteri di applicazione della tassazione sulla base della retribuzione convenzionale, si veda anche la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 245 del 11 settembre 2007 con commento di M. Magnani, Distacco di lavoratore all’estero: l’Agenzia conferma i criteri di tassazione, in Guida al lavoro, 2007, 37, 72 e ss. Si veda inoltre A. Costa, Distacchi all’estero dei lavoratori married unaccompanied e obblighi di sostituzione d’imposta, in Dir. prat. trib., 2008, 5, 940 e ss.; G. Melis, La nozione di residenza fiscale delle persone fisiche nell’ordinamento tributario italiano, in Rass. trib., 1995, 1034 e ss.; A. Righini, Il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero, in Il fisco, 2007, 39, 5716 e ss.; P. Stizza, Il quadro normativo relativo ai redditi di lavoro dipendente “transnazionale”, in E. Della Valle – L. Perrone – C. Sacchetto – V. Uckmar, a cura di, La mobilità transnazionale del lavoratore dipendente: profili tributari, Padova, 2006, 466 e ss.
[5] L’art. 51, comma 1, del TUIR stabilisce il principio della onnicomprensività, secondo il quale costituiscono reddito di lavoro dipendente tutte le somme ed i valori che il dipendente percepisce nel periodo d’imposta, a qualunque titolo, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro e nel rispetto del criterio di cassa.
[6] A livello europeo la disciplina di sicurezza sociale dei lavoratori italiani inviati in uno stato membro è disciplinato dal regolamento 1408/71. Tale regolamento trova applicazione anche negli Stati appartenenti all’Area Europea di Libero Scambio (AELS – Islanda, Liechtenstein e Norvegia) ed in Svizzera. L’Italia ha inoltre stipulato apposite convenzioni di sicurezza sociale con i seguenti Paesi: Argentina, Australia, Brasile, Canada (Provincia dell’Ontario, Provincia del Quebec), Capoverde, Croazia, Isole del Canale (Jersey, Guersney, Aldernay, Herm, Jetou), ex Jugoslavia (Repubbliche di Bosnia Erzegovina, Macedonia e Repubblica Federale di Jugoslavia costituita da Serbia, Montenegro e Kosovo), Principato di Monaco, San Marino, Santa Sede, Tunisia, Turchia, Uruguay, Venezuela. Sono in corso di ratifica nuove Convenzioni con Cile, Filippine, Marocco, mentre è in fase di negoziato la Convenzione con la Nuova Zelanda. I distacchi in Corea del Sud sono regolamentati da un’apposita intesa amministrativa.
[7] Si veda, per tutte, la circolare INPS n. 44 del 4 aprile 2008.
[8] Si veda, tra gli altri, I. Azzollini,
Il reddito di lavoro dipendente svolto all’estero: casi e questioni, in
Il fisco, 2001, 26, 8939; P.L. Cardella,
Il punto sulla disciplina dei redditi di lavoro dipendente prestato all’estero, in
Rass. trib., 2003, 3, 894 e ss.; F. delli Falconi, G. Marianetti,
Fissati i livelli di retribuzione convenzionale per il lavoro prestato all’estero, in
Corr. Trib., 2006, 12, 925-926; A. Iorio,
La tassazione del lavoro dipendente svolto all’estero, in
Corr. trib., 2002, 14, 1218; P. Revelant,
Il lavoro dipendente all’estero tra diritto interno e normativa convenzionale, in
Corr. trib., 2001, 3547; A. Veneruso,
La tassazione del reddito del personale distaccato in imprese multinazionali, in
Impresa c.i., 2001, 5, 785 e ss.; P. Stizza,
Il quadro normativo relativo ai redditi di lavoro dipendente “transnazionale”,
op. cit., 467-468, che solleva anche dei dubbi di carattere costituzionale relativamente al principio della capacità contributiva. Si veda inoltre la circolare Assonime,
cit. Per una posizione più vicina a quella del Ministero del lavoro si rinvia a E. Mattesi,
L’individuazione dei sostituti d’imposta dei lavoratori dipendenti assoggettati ad IRPEF su base convenzionale, in
Il fisco, 2001, 7, 2220 e R. Fanelli,
La nuova disciplina dei redditi di lavoro dipendente prestato all’estero, in
Corr. trib., 2001, 18, 1318 e ss., secondo i quali l’applicazione delle retribuzioni convenzionali nei casi previsti dal comma 8
bis dell’art. 51 del TUIR “non è condizionata né presuppone la (eventuale) coesistenza degli obblighi contributivi propri della stessa legge n. 398/1987”. Che la questione richieda uno specifico intervento normativo è testimoniato anche dalla risoluzione n. 8-00075 del 13 febbraio 2001, con la quale la Commissione finanze della Camera ha impegnato il Governo a valutare “l’opportunità
di prevedere, per tutti i lavoratori italiani operanti all’estero, compresi quelli operanti in Paesi con i quali sono in vigore accordi di sicurezza sociale, il medesimo sistema di determinazione forfetaria dell’imponibile, contributivo e fiscale”.
[9] Si veda F. delli Falconi, G. Marianetti, La gestione del personale all’estero, Milano, 2008, 270-271.
[10] Si veda anche la circolare Assonime, cit. Non si perverrebbe ad una differente soluzione ritenendo che l’eccezione in commento venga introdotta dal decreto ministeriale di approvazione delle retribuzioni convenzionali, in quanto, come è stato giustamente osservato (si veda F. delli Falconi, G. Marianetti, Livelli di retribuzione per il calcolo del carico fiscale dei lavoratori operanti all’estero, in Corr. Trib., 2007, 8, 625 e ss.), una fonte di rango secondario non dovrebbe prevalere su una disposizione avente forza di legge.
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