Si definisce “revenge porn” (dall’inglese revenge, vendetta) la condivisione di materiale pornografico, in immagini o video, attraverso la rete, con sistemi di messaggistica istantanea, i social network, senza il consenso della persona ritratta ed allo scopo di nuocerle, umiliarla o ricattarla. Particolarità di questo tipo di immagini e video è che gli stessi sono girati con il consenso della persona ritratta, ad esempio all’interno di coppie, nell’ambito di momenti intimi consensuali. A essere non consensuale, dunque, non è la realizzazione del materiale pornografico, ma la sua successiva diffusione. Ed è a questo proposito che, prima di iniziare a trattare il tema, è necessario effettuare una doverosa premessa terminologica.
Indice
1. Una doverosa premessa sul cosiddetto “revenge porn”
Nonostante il fenomeno sia conosciuto per l’appunto con il nome di pornografia “della vendetta”, detta definizione non solo è fuorviante, ma può prestarsi ad interpretazioni pericolose e a derive che potrebbero in qualche modo tentare di giustificare questi atti, che invece costituiscono a tutti gli effetti un reato.
La vendetta, per quanto possa essere in astratto discutibile, presuppone infatti il fatto che esista alla base un torto o uno sgarbo per cui vendicarsi. Ci si vendica di qualcuno che ci ha fatto qualcosa di brutto o sbagliato. Dal momento che il fenomeno in oggetto trova la sua massima diffusione ed espressione all’interno di coppie che si lasciano, gli episodi che ne sono conseguiti e che spesso sono saliti agli onori della cronaca sono stati così denominati, ma si tratta di una qualifica giornalistica, non giuridica, un termine inventato dai quotidiani per descrivere i fatti di cronaca: “revenge porn”, perché uno dei due ex fidanzati o coniugi si vendica per il fatto di essere stato lasciato/a diffondendo le immagini e video espliciti dell’altro/a, come se il solo fatto di “lasciare” costituisse un affronto tale da essere punito.
Dal momento che alcuni episodi di “revenge porn” hanno avuto conseguenze drammatiche, giungendo alla morte per suicidio delle vittime, questa premessa non rappresenta un mero vezzo linguistico, e nemmeno una precisazione di poco conto: imparare a trattare questo fenomeno come un reato vero e proprio, come di fatto è, in cui c’è un colpevole, che è il soggetto che diffonde le immagini senza il consenso, allo scopo di umiliare e nuocere, ed una vittima, che è il soggetto ritratto e le cui immagini vengono diffuse, è il primo passo verso la prevenzione e la lotta al reato stesso. In molti episodi, peraltro, i protagonisti sono stati e sono tuttora minorenni. Continuare a parlare di revenge porn, con il sottinteso pensiero che se le immagini non fossero state girate, non avrebbero nemmeno potuto essere diffuse e dunque anche la vittima risulta essere un po’ colpevole, è un atteggiamento pericoloso, specie alla luce di molti fatti di cronaca violenta aventi ad oggetto reati di sfondo sessuale.
L’art. 612-ter del Codice penale parla di “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” ed è così che dobbiamo definire questo reato, se ne parliamo da un punto di vista giuridico.
Fatta questa premessa, passiamo ora ad esaminare la fattispecie, soffermandoci specificamente sulle strategie di prevenzione e sul ruolo che le piattaforme social e il Garante della Privacy possono ricoprire.
2. La normativa di riferimento
L’art. 612-ter del Codice penale, introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 10 della legge 19 luglio 2019, n. 69, presenta una disciplina complessa articolata in due differenti ipotesi disciplinate rispettivamente al comma 1 e al comma 2.
Il comma 1 punisce (salvo che il fatto costituisca più grave reato) chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza con consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.
Il comma 2 prevede che la stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini e i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare il loro nocumento.
La previsione di cui al comma 1 rappresenta un reato comune, che può essere commesso da chiunque, per cui l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico; diversa è invece la previsione del comma 2, che può essere realizzata solo da chi ha in precedenza ricevuto le immagini e deve essere sorretta dal dolo specifico. La norma infatti prevede che i soggetti che diffondono successivamente le immagini o i video debbano, per essere puniti, farlo con il fine di recare loro nocumento; è importante questa precisazione, specie alla luce dei famigerati gruppi sui social, dove spesso queste immagini, dopo aver effettuato milioni di visualizzazioni e collezionato click in tutto il mondo, si trovano a girare senza controllo. Non si potrà essere puniti per il solo fatto di essere presenti in uno di questi gruppi o per aver scelleratamente cliccato sul tasto condividi, ma solo nel caso in cui lo si sia fatto con il preciso scopo di nuocere alla persona ritratta nel video.
I commi 3 e 4 disciplinano una serie di circostanze aggravanti: è aggravata la pena se i fatti sono commessi dal coniuge, anche se separato o divorziato o da una persona con cui si è avuta una relazione affettiva (prima e forse unica volta nell’ordinamento italiano in cui il matrimonio è equiparato, nel trattamento, ad un “semplice” fidanzamento); costituisce aggravante l’utilizzo di strumenti informatici o telematici (e dunque il reato in questione è commesso in forma aggravata sostanzialmente nel 100% dei casi); infine ultima ma non meno importante, costituisce aggravante il fatto che la vittima sia una persona in condizione di infermità fisica o psichica o una donna in stato di gravidanza.
Il reato è punibile a querela della persona offesa e qui cominciano i primi problemi, perché spesso la persona offesa si vergogna di andare a querelare un fatto che la vede protagonista in maniera tanto intima e scabrosa; tuttavia, il delitto nelle sue forme aggravate è procedibile d’ufficio.
Oltre alle pene previste dal codice penale, che non sono lievi in astratto, la vittima ha a sua disposizione i rimedi civilistici ordinari, nonché la possibilità di presentare un’istanza all’Autorità Garante per la Protezione dei dati personali per chiedere la rimozione o deindicizzazione delle pagine web che hanno pubblicato il materiale.
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3. La segnalazione al Garante della Privacy
Oltre alla denuncia, un rimedio concreto importante per l’eliminazione del materiale dalla rete può essere la segnalazione al Garante della privacy, ai sensi degli art. 144-bis del Codice in materia di protezione dei dati personali e 33-bis del Regolamento n. 1/2019 del Garante. Allo scopo è presente sul sito istituzionale dell’Autorità un apposito form, in cui dovranno essere indicate le piattaforme di condivisione di contenuti (social network, messaggistica, ecc.) attraverso le quali si teme la diffusione, nonché le ragioni che fondano il timore che la condotta pregiudizievole possa essere perpetrata. Punto dolente, della procedura, perché di nuovo si scontra con vergogna e timore di giudizio, è che dovranno essere trasmesse all’Autorità – tramite un link che sarà comunicato dopo la presentazione della segnalazione – le immagini o i contenuti sessualmente espliciti dalla cui divulgazione ci si intenda tutelare.
Il Garante, in presenza dei presupposti indicati dalle norme di riferimento, adotterà un provvedimento, che sarà notificato alle piattaforme coinvolte nel tentativo di contrastare la temuta diffusione. Si tratta di uno strumento utilizzabile da adulti e minori, che in modo rapido ed efficiente dovrebbe contribuire a tutelare maggiormente le vittime del reato, che in questo modo dovrebbero (condizionale sempre obbligatorio) veder cancellati con più celerità i materiali pornografici, mentre la giustizia ordinaria fa il suo (lungo) corso.
4. L’impatto emotivo del revenge porn e le possibili strategie di prevenzione
Un aspetto cruciale da considerare quando si discute della pornografia non consensuale è l’impatto emotivo devastante che ha sulle vittime. La condivisione non autorizzata di contenuti intimi può causare danni psicologici gravi, tra cui depressione, ansia, vergogna e isolamento sociale, fino ad arrivare nei casi più gravi ad atti di autolesionismo. È lo stesso fenomeno che si verifica con i casi più gravi di cyberbullismo. Le vittime spesso sperimentano una violazione profonda della loro privacy e dignità, con conseguenze a lungo termine sulla loro salute mentale e benessere.
Un problema significativo correlato a questo reato è la diffusione dei contenuti online. Una volta condivisi su internet, questi materiali diventano virali in pochissimo tempo, rendendo difficile la loro rimozione completa. Questo rende essenziale un intervento rapido e coordinato per prevenire ulteriori danni alle vittime. Altro tema nevralgico è quello legato alla responsabilità delle Piattaforme Online, soprattutto alla luce dell’approvazione del Digital Services Act e del Digital Markets Act, i due nuovi Regolamenti europei che stringono le maglie della responsabilità delle piattaforme sui contenuti che gli utenti pubblicano online.
Tuttavia, quando si parla di reati commessi online, la miglior strategia è come sempre la prevenzione. La rete è, per sua natura, un ruolo reale, ma immateriale, e può risultare difficile se non impossibile andare a punire tutti i colpevoli, che potrebbero essere ovunque nel mondo e cancellare tutti i contenuti, anch’essi potenzialmente ovunque nel mondo. Parole come educazione digitale, consapevolezza, consenso sulla diffusione e condivisione di contenuti sensibili, aumento della cultura della privacy e protezione dei nostri dati dovrebbero diventare parte del nostro bagaglio culturale e dei programmi di insegnamento scolastico, per arrivare non a colpevolizzare le vittime (è utile e opportuno ripetere: il reato non è girare i materiali all’interno della propria coppia, il reato è diffonderli senza consenso), ma a insegnare a tutti a tutelarsi e proteggersi, perché l’amore è eterno, sì, ma solo finché dura.
5. Cosa fare in caso di episodi di pornografia non consensuale
Se si è vittima o testimone di revenge porn, è essenziale sapere come agire. Ecco i passi da seguire:
Raccogliere prove: conservare tutte le prove, inclusi screenshot o link, che dimostrino la diffusione non autorizzata dei contenuti può essere utile per le indagini, oltre che per la segnalazione al Garante.
Segnalazione al Garante Privacy: utilizzare il link https://servizi.gpdp.it/diritti/s/revenge-porn-scelta-auth per segnalare il caso al Garante per la protezione dei dati personali, che svolge un ruolo fondamentale nel processo di rimozione dei contenuti dannosi.
Denuncia alla Polizia Postale: rivolgersi alla Polizia Postale e delle Comunicazioni competente per il territorio e fornire loro tutte le prove raccolte.
Supporto legale: consultare un avvocato specializzato in diritto informatico o privacy per valutare le opzioni ed ottenere assistenza nei processi civile e penale, oltre che per la rimozione dei contenuti.
Supporto psicologico: cercare supporto psicologico per affrontare il trauma emotivo causato dall’esperienza è fondamentale. Non c’è niente di cui vergognarsi a essere la vittima di un reato, specialmente di uno così odioso.
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