La richiesta di cui all’art. 628-bis c.p.p. può avere ad oggetto solo la sentenza penale di condanna o il decreto penale di condanna, e non un provvedimento di competenza del Tribunale di sorveglianza.
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Indice
1. La questione (richiesta ex art. 628-bis c.p.p.)
Il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila dichiarava inammissibile un’istanza con la quale un condannato aveva chiesto la liberazione condizionale, e ciò sulla base del rilievo che i delitti per i quali egli era stato condannato erano ostativi ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1, ord. pen.
Più precisamente, a tenore della richiamata disposizione normativa, il condannato poteva essere ammesso alla liberazione condizionale solo nel caso di collaborazione con l’autorità giudiziaria ovvero di accertamento dell’impossibilità o inesigibilità di tale collaborazione.
La Corte di Cassazione, sezione prima penale, dal canto suo, rigettava il ricorso presentato dall’istante avverso la citata decisione del Tribunale di sorveglianza mentre, a sua volta, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo accertava nel caso di specie una violazione dell’art. 3 della CEDU giacché la pena dell’ergastolo, nelle modalità concretamente patite dal detenuto che era stato sostanzialmente impossibilitato ad ottenere la liberazione condizionale ed a fruire di lunghi periodi (circa cinque anni) di liberazione anticipata maturati al momento del ricorso in ragione della positiva condotta infra-muraria, risultava inumana.
L’assenza di collaborazione con la giustizia aveva determinato, infatti, una presunzione assoluta di pericolosità che finiva per privare il condannato di alcuna realistica possibilità di liberazione, nonostante la positività del percorso svolto, laddove invece il principio della dignità umana impedisce di privare una persona della libertà senza fornirle la possibilità di riconquistarla.
In sostanza, “disponendo l’equivalenza tra l’assenza di collaborazione e la presunzione assoluta di pericolosità sociale il regime in vigore collega in realtà la pericolosità dell’interessato al momento in cui i delitti sono stati commessi, invece di tener conto del percorso di reinserimento e degli eventuali progressi compiuti dalla condanna”.
Dunque, e conclusivamente, la Corte di Strasburgo riteneva come la pena perpetua del c.d. ergastolo ostativo (risultante dal combinato disposto degli artt. 22 c.p., 4-bis e 58-bis ord. pen.) limitasse “eccessivamente la prospettiva di rilascio dell’interessato e la possibilità di riesame della pena”.
Di conseguenza, ai sensi dell’art. 46 della Convenzione, la Corte indicava allo Stato italiano la necessità “di attuare, di preferenza per iniziativa legislativa, una riforma del regime della reclusione dell’ergastolo, che garantisca la possibilità di riesame della pena; cosa che permetterebbe alle autorità di determinare se, nel corso dell’esecuzione della pena, vi è stata un’evoluzione del detenuto e se è progredito nel percorso di cambiamento… In particolare, la Corte europea, pur ammettendo che lo Stato possa pretendere la dimostrazione della “dissociazione” dell’ambiente mafioso, considerava come questa rottura potesse esprimersi con strumenti diversi dalla collaborazione con la giustizia e dall’automatismo legislativo attualmente in vigore”.
Ciò posto, a fronte di questo iter giudiziario, la Suprema Corte evidenziava però come il D.L. n. 162 del 31 ottobre 2022, convertito con modificazioni dalla L. n. 199 del 30 dicembre 2022, avesse apportato modifiche all’art. 4-bis ord. pen. sicché, alle condizioni previste dall’attuale testo del comma 1-bis del citato articolo, non era più richiesto il requisito della collaborazione effettiva o dell’accertamento della sua impossibilità, per i condannati per il delitto di associazione mafiosa o per gli altri delitti ostativi.
Orbene, preso atto di questa nuova normativa, il Comitato dei Ministri, cui era devoluta la sorveglianza sull’esecuzione della decisione emessa dalla Corte EDU, ai sensi dell’art. 46, comma 2, della Convenzione, aveva esaminato le predette modifiche normative e aveva dichiarato come il condannato fosse ora in grado di presentare l’istanza di liberazione condizionale.
Pur tuttavia, quest’ultimo, invece di avanzare siffatta richiesta, a mezzo dei difensori muniti di procura speciale, presentava una richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione EDU, ai sensi dell’art. 628-bis c.p.p..
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte, dopo avere analizzato questo istituto di nuovo conio, riteneva come il rimedio richiesto non si attagliasse al caso di specie dal momento che, come è noto, i provvedimenti adottati dalla magistratura di sorveglianza sono caratterizzati “dall’essere adottati “rebus sic stantibus”, così da dare luogo al c.d. “giudicato aperto”” e, quindi, il c.d. “giudicato esecutivo” non si configura come giudicato in senso stretto, quanto piuttosto come una preclusione processuale destinata a non operare nel caso in cui sopravvengano nuovi elementi non valutati nella precedente decisione della magistratura di sorveglianza (Sez. U, n. 34091 del 28/04/2011).
Il Supremo Consesso, inoltre, in particolare, riteneva come a nulla rilevasse, ai fini della proponibilità del rimedio invocato dalla difesa, una delle richieste prospettate dal condannato alla Cassazione, ossia quella di valutare se le condizioni poste dalla legge consentano un effettivo riesame della sua posizione nel senso indicato dalla Corte EDU dal momento che la legge de qua aveva eliminato le presunzioni assolute.
Gli Ermellini, di conseguenza, formulavano il principio di diritto secondo il quale la richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della CEDU o dei Protocolli addizionali ai sensi dell’art. 628-bis c.p.p. può avere ad oggetto la sentenza penale di condanna o il decreto penale di condanna, sicché il rimedio è inapplicabile con riferimento ad un provvedimento di competenza del Tribunale di Sorveglianza, cui l’interessato può sottoporre la questione, con una nuova domanda, facendosene conseguire da ciò la declaratoria di inammissibilità della richiesta e la condanna del richiedente al pagamento delle spese processuali.
3. Conclusione
La decisione in esame desta un certo interesse, essendo ivi circoscritto il margine applicativo che riguarda l’istituto di nuovo conio, preveduto dall’art. 628-bis cod. proc. pen., introdotto dalla Riforma Cartabia, vale a dire la richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dei Protocolli addizionali.
Si afferma difatti in tale pronuncia che siffatta richiesta può avere ad oggetto la sentenza penale di condanna o il decreto penale di condanna, sicché il rimedio è inapplicabile con riferimento ad un provvedimento di competenza del Tribunale di Sorveglianza, cui l’interessato può sottoporre la questione, con una nuova domanda.
Orbene, fermo restando che il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza è positivo in quanto aderente al tenore letterale di questa norma codicistica che fa riferimento solo a siffatte decisioni, e non altre, è dunque sconsigliabile, perlomeno alla stregua di tale approdo ermeneutico, avanzare siffatta richiesta, ove essa riguardi provvedimenti diversi dalla sentenza penale di condanna o dal decreto penale di condanna, quale, come avvenuto nel caso di specie, il provvedimento di competenza del Tribunale di Sorveglianza.
Ad ogni modo, codesto provvedimento, oltre per la ragione appena enunciata, è sicuramente condivisibile anche perché esso prova a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale.
Non resta dunque che vedere se questa pronuncia verrà confermata da altre successive, o se invece ve ne saranno altre di segno contrario.
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