Richiesta contributi previdenziali lavoratore subordinato

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Richiesta contributi previdenziali lavoratore subordinato: va integrato il contraddittorio nei confronti dell’Ente Previdenziale- Ordinanza Cass.n.29637 del 22.10.2021- Effetti sui processi civili in corso.
Fino al 2021, quando il lavoratore chiedeva al proprio datore di lavoro le differenze retributive, nonchè la regolarizzazione della propria posizione contributiva e previdenziale, citava unicamente il datore di lavoro e chiedeva al Tribunale Odinario Sez Lavoro di condannare il medesimo datore a regolarizzare la posizione assicurativa e contributiva del lavoratore presso l’ente di previdenza deputato ex art 2115 c.c.
Oggi, a seguito dell’ordinanza  della Corte di Cassazione n.29637 del 22.10.2021, il lavoratore deve citare anche l’Ente Previdenziale a pena di nullità del giudizio.
E’ evidente che la pronuncia giurisprudenziale ha modificato la procedura. Per di più la modifica non riguarda solo i giudizi instaurandi ma anche quelli già instaurati, atteso che, molti giudizi attualmente sub judice della Corte d’Appello sono stati rimandati al giudice del primo grado siccome nulli per mancata corretta instaurazione del contraddittorio.

Corte di Cassazione – Sez. Lavoro Civ. – Ordinanza n. 29637 del 22-10-2021

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1. Perchè è cambiato l’ordinamento giurisprudenziale?

L’ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione n.29637 del 22.10.2021, in verità, non è stata una pronuncia isolata della Suprema Corte, ma si inserisce nell’alveo di un filone giurisprudenziale che già da tempo insisteva affinchè anche l’Ente Previdenziale venisse considerato parte necessaria del processo. (In tal senso vedasi Cass. n.8956/2020-2517/20- 2526/20-2496/20-2495/20-2494/20).
Il precedente orientamento si basava sul fatto che il rapporto di lavoro sottostante fosse un presupposto imprescindibile del rapporto contributivo, per cui solo una volta accertato il primo, il datore poteva essere condannato a regolare il secondo.
Secondo il nuovo orientamento invece l’ente di previdenza non è solo interessato all’accertamento giudiziario sull’esistenza e durata del rapporto di lavoro e sulla misura imponibile, ma è anche destinatario del pagamento.
Inoltre il lavoratore non può chiedere di condannare il datore di lavoro a versare i contributi perchè nessuno può far valere processualmente un diritto altrui, salvo nelle ipotesi in cui sia la legge a consentirlo (vedi art 18 commi 2 e 4 Statuto Lavoratori; Dlgs 23/15 art 2 comma 2 e art 3 comma 2).
Nel giudizio è necessario che partecipino tutti i sogetti della situazione sostanzialmente dedotta per non privare la decisione finale dell’unitarietà connessa con l’esperimento dell’azione.
L’ente previdenziale è un soggetto della situazione di fatto dedotta, ergo deve partecipare al giudizio.
Se dunque la parte, o il giudice, rileva la mancata costituzione dell’ente di previdenza, il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio ex art.102 c.p.c.
Se però nei giudizi in corso è possibile adeguarsi alla pronuncia testè esaminata, ci chiediamo cosa sia accaduto ai giudizi instaurati prima della modifica giurisprudenziale ed ancora sub judice.
Orbene, la prassi delle corti di appello territoriali e della Corte di Cassazione è quella di rinviare il giudizio al primo grado siccome nullo.
La conseguenza è un aumento dei casi di rinvio e l’insoddisfazione della parte, la quale, dopo due o più gradi di giudizio, ancora non trova soddisfazione  alla propria pretesa. Ecco allora che  la domanda che ci poniamo è quella relativa alla legittimità della modifica, a cui cercheremo di rispondere nel secondo paragrafo.
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2. Può una pronuncia della Suprema Corte cambiare il diritto positivo?

Com’è noto, l’ordinamento italiano è un ordinamento di civil law, ossia basato su norme di diritto scritte prima della commissione del fatto e non su precedenti giurisprudenziali. Il sistema quindi offre un’ampia garanzia al cittadino. Tuttavia anche un ordinamento così strutturato prevede che la giurisprudenza modifichi la norma scritta, ampliandone o riducendone la portata. Ovviamente la pronuncia giurisprudenziale non può stravolgere il significato della norma. Il suo intervento infatti è possibile unicamente per consentire alla legge di adattarsi alla realtà dei fatti che è in continua evoluzione, senza ricorrere al procedimento di revisione di una norma in parlamento.
Il fenomeno dell’abbandono di un indirizzo giurisprudenziale a favore di un altro è noto in dottrina e giurisprudenza con il nome di “overulling“.
Per i tedeschi è ipotizzabile un overulling processuale ed un overulling sostanziale.
Nell’overulling sostanziale il giudice modifica un rapporto nel quale è terzo; nell’overulling processuale il giudice modifica la propria relazione col cittadino. Quest’ultima ipotesi non è auspicabile laddove il giudice non sia in completa buona fede.
Per gli italiani, l’overulling sostanziale è consentito laddove rientra nell’alea della norma; mentre l’ overulling processuale è intollerabile.
In effetti, come la Corte di Strasburgo insegna, i principi europei sono la certezza del diritto e l’equo processo. Di conseguenza l’overulling va motivato in sentenza.
In Italia non basta la motivazione, il cambiamento è ammesso solo se la Suprema Corte si è pronunciata a suo favore e lo abbia fatto, per di più, a sezioni unite. Ciò in quanto la Corte di Cassazione svolge una funzione di nomofilachia.
Nel caso in esame, la pronuncia di riferimento è la sentenza della Cassazione a SS.UU. n.3678 del 2009, nella quale la Suprema Corte ha riconosciuto la necessaria partecipazione dell’ente previdenziale al giudizio. Ciò in quanto solo in tal modo l’ente potrà rispondere per rapporti di lavoro esistenti e non fittizi, mentre al datore di lavoro verrà consentito di non trovarsi esposto, qualora sia stato assente nel giudizio, agli effetti di un riconoscimento di un rapporto di lavoro lontano nel tempo.
Va aggiunto poi che l’ente non risponderà dei contributi prescritti, anche se la prescrizione non è stata eccepita in giudizio.
Ecco quindi che l’overulling in questo caso è legittimo siccome giustificato dalla Suprema Corte e motivato. Tuttavia alcuni interrogativi permangono e li affrontiamo nel successivo paragrafo.

3. Una pronuncia giurisprudenziale può avere effetto retroattivo?

Come anticipato, l’abbandono del vecchio orientamento giurisprudenziale ha modificato anche le cause definite in Tribunale, prima dell’avvento della novella giurisprudenziale, ma attualmente pendenti innanzi alla Corte d’Appello. Al momento, le corti di merito stanno tutte rinviando al primo grado. La retroattività dell’overulling è giustificata perchè la modifica non è retroattiva solo se è imprevedibile. Viceversa nel caso in esame, la modifica era prevedebile, atteso che l’orientamento, oggi prevalente, è in discussione da oltre una decina di anni.
Tuttavia, a modesto parere di chi scrive, la prassi non è corretta, perchè viola il principio di certezza del diritto. Del resto l’art 111 di Costituzione impone di non cambiare le regole a partita iniziata. Infatti, la parte che aveva intrapreso il giudizio in primo grado, aveva fatto affidamento sulle norme che regolavano il processo nel momento in cui aveva agito. Oggi, invece, si vede penalizzata senza sua colpa. In totale spregio del principio del “tempus regit actum“.
Ma sempre a parere di chi scrive, il principio di diritto affermato è discutibile non solo se applicato ai giudizi già in corso, bensì anche se applicato ai nuovi processi.
Come illustrato in precedenza, la Suprema Corte ha giustificato la scelta basandosi sul principio secondo il quale il lavoratore non può chiedere di condannare il datore di lavoro a versare i contributi, perchè nessuno può far valere processualmente un diritto altrui, salvo nelle ipotesi in cui sia la legge a consentirlo (vedi art 18 commi 2 e 4 Statuto Lavoratori; Dlgs 23/15 art 2 comma 2 e art 3 comma 2).
Finora però, il lavoratore chiedeva la condanna del datore di lavoro alla regolarizzazione della propria posizione previdenziale ex art 2115 c.c
Quest’ultima norma recita testualmente: ” Salvo diverse disposizioni della legge o delle norme corporative, l’imprenditore e il prestatore di lavoro contribuiscono in parti eguali alle istituzioni di previdenza e di assistenza. L’imprenditore e’ responsabile del versamento del contributo, anche per la parte che e’ a carico del prestatore di lavoro, salvo il diritto di rivalsa secondo le leggi speciali. E’ nullo qualsiasi patto diretto ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza o all’assistenza.”
Se dunque il datore è responsabile del versamento del contributo, in caso in cui ometta di versare il contributo può essere condannato a versarlo.
Di conseguenza, a mio modesto parere, anche nel caso dell’art 2115 c.c. ricorre l’ipotesi della sostituzione processuale ammessa dalla legge. Ergo la presenza dell’Ente previdenziale in giudizio continua a non essere necessaria.
Alla luce di tale ragionamento, perciò, ho il timore che l’overulling suddescritto risponda non già all’esigenza di garantire la partecipazione di tutte le parti sostanziali in giudizio, ma alla necessità di smaltire il carico di lavoro delle Corti territoriali e soprattutto della Corte di Cassazione, a danno però dei tribunali che risulteranno sempre più oberati.
Resta poi la considerazione personale che il nostro ordinamento si stia trasformando gradualmente in un sistema di common law, seppure non espressamente ammesso, con grave vulnus dei principi costituzionali di certezza del diritto e di divisione dei poteri legislativo, aministrativo e giudiziario. Motivo per il quale ritengo opportuno che sia il Parlamento ad intervenire per modificare o meno l’attuale processo del lavoro.

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Federica Di Fabio

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