Quando non è applicabile l’attenuante di cui all’art. 385, co. 4, c.p.?
Indice
1. La questione
La Corte di Appello di Lecce confermava una condanna di un imputato alla pena di un anno, un mese e dieci giorni di reclusione pronunciata in primo grado in ordine al reato di evasione dagli arresti domiciliari aggravata dalla recidiva (artt. 385, 99 cod. pen.).
Ciò posto, avverso questa decisione il difensore dell’accusato ricorreva per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva la violazione dell’art. 385, comma 4 cod. pen. per mancato riconoscimento della relativa attenuante nonostante il pronto rientro dell’imputato nell’abitazione adibita a domicilio coatto e la tempestiva presentazione ai Carabinieri ivi giunti per l’effettuazione dei periodici controlli.
2. La soluzione adottata dalla Cassazione sul riconoscimento dell’attenuante
La Cassazione riteneva il motivo suesposto infondato alla stregua di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale non è configurabile la circostanza attenuante di cui all’art. 385, comma quarto, cod. pen., nel caso in cui la persona evasa dalla detenzione domiciliare rientri spontaneamente nel luogo di esecuzione della misura da cui si era temporaneamente allontanata, essendo indispensabile che la stessa si presenti presso un istituto carcerario o si consegni ad un’autorità che abbia l’obbligo di tradurla in carcere (tra molte v. Sez. 6, n. 1560 del 27/10/2020; Sez. 6, n. 25602 del 22/05/2008; Sez. 6, n. 19645 del 18/02/2004).
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3. Conclusioni
Fermo restando che, come è noto, l’art. 385, co. 4, c.p. dispone che, quando “l’evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita”, la decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando non può essere riconosciuta siffatta circostanza.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso indirizzo interpretativo, che l’attenuante prevista dall’art. 385, comma quarto, cod. pen. non si applica se chi evade dalla detenzione domiciliare rientra spontaneamente a casa, essendo necessario che la persona si presenti in un istituto carcerario o si consegni a un’autorità obbligata a tradurla in carcere.
E’ dunque sconsigliabile, perlomeno alla stregua di codesto approdo ermeneutico, sostenere la sussistenza di tale elemento accidentale ove si verifichi una situazione di questo genere.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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