Riconoscimento infracomunitario delle qualifiche professionali

Redazione 31/05/24
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Il Tribunale Amministrativo Regionale (T.A.R.) per il Lazio ha recentemente sollevato una questione di cruciale importanza riguardante il riconoscimento infracomunitario delle qualifiche professionali. In particolare, l’attenzione è stata posta sul titolo di specializzazione all’insegnamento di sostegno, rimettendo alcune questioni interpretative alla Corte di giustizia dell’Unione Europea (UE).

TAR Lazio -sez. IV-ter- ordinanza n. 8867 del 3-05-2024

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1. La vicenda e la questione: riconoscimento qualifiche professionali in UE


La controversia nasce da un provvedimento del Ministero dell’Istruzione che ha rigettato una richiesta di riconoscimento, ai sensi del d.lgs. n. 206/2007, di un corso di specializzazione frequentato in Spagna. Questo corso era finalizzato alla specializzazione nel sostegno nella scuola secondaria di secondo grado. La decisione del T.A.R. per il Lazio, sezione IV-ter, è stata formalizzata nell’ordinanza del 3 maggio 2024, n. 8867, sotto la presidenza di Tricarico e la redazione di Gallo.
Il nodo centrale della questione riguarda l’interpretazione dell’art. 13 della Direttiva 2005/36/UE, come modificata dalla Direttiva 2007/55/UE. Il T.A.R. ha chiesto alla Corte di giustizia UE se questa direttiva debba essere interpretata nel senso di impedire l’applicazione di una normativa nazionale che consenta il riconoscimento di un titolo di formazione specialistica acquisito in un altro Stato membro, anche se tale titolo non permette l’esercizio della professione nello Stato membro d’origine e non è legalmente riconosciuto come titolo abilitante.
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2. La giurisprudenza italiana in materia e i dubbi del TAR Lazio


La giurisprudenza italiana, rappresentata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ha adottato una visione estensiva della normativa sul riconoscimento delle qualifiche professionali. Secondo le decisioni nn. 18, 19, 20, 21 e 22 del 2023, è necessaria una verifica concreta delle competenze professionali acquisite nel Paese d’origine dal richiedente e della loro idoneità all’accesso alla professione regolamentata nello Stato di destinazione. Questo principio si basa sulla direttiva 2005/36/CE e mira a facilitare il riconoscimento reciproco dei diplomi e delle qualifiche professionali tra gli Stati membri dell’UE.
Nonostante l’interpretazione estensiva adottata dalla giurisprudenza nazionale, il T.A.R. per il Lazio ha sollevato dubbi sulla compatibilità di tale interpretazione con il diritto dell’Unione Europea. In particolare, si è chiesto se sia legittimo riconoscere in Italia un titolo che non è legalmente riconosciuto come abilitante nello Stato membro d’origine. La direttiva 2005/36/UE, infatti, impone che il titolo riconosciuto debba essere prescritto nello Stato membro d’origine per l’accesso alla stessa professione.

3. La normativa europea e le questioni del TAR alla CGUE


La direttiva 2005/36/UE mira a eliminare gli ostacoli alla libera circolazione di persone e servizi tra gli Stati membri dell’UE. Essa garantisce ai cittadini degli Stati membri di esercitare una professione in uno Stato diverso da quello in cui hanno acquisito la relativa qualifica professionale. Tuttavia, la direttiva prevede anche che il riconoscimento del titolo estero permetta l’accesso alla professione nello Stato ospitante solo se il titolo è prescritto nello Stato membro d’origine per esercitare la stessa professione.
Il T.A.R. per il Lazio ha quindi posto alla Corte di giustizia UE due quesiti fondamentali:
1. Se l’art. 13 della Direttiva 2005/36/UE debba essere interpretato nel senso che osta all’interpretazione di una normativa nazionale che consenta il riconoscimento di un titolo di formazione specialistica non legalmente riconosciuto nello Stato membro d’origine.
2. Se, in mancanza di un effetto ostativo, le autorità competenti debbano valutare il contenuto di tutti i documenti presentati dalla persona interessata, anche se il titolo non è abilitante nello Stato membro d’origine, e applicare eventualmente misure di compensazione.
La risposta della Corte di giustizia UE a questi quesiti avrà implicazioni significative per il riconoscimento delle qualifiche professionali all’interno dell’UE. Se la Corte confermerà la necessità di un titolo legalmente riconosciuto nello Stato d’origine, potrebbero emergere nuovi ostacoli per i professionisti che desiderano esercitare in altri Stati membri. Al contrario, una risposta favorevole all’interpretazione estensiva potrebbe facilitare ulteriormente la libera circolazione dei professionisti all’interno dell’Unione.

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